Trump, l'attentato lacera il governo. Imbarazzo Meloni. Lite Salvini-Tajani

La premier non può sganciarsi dall'Ue, che tifa Biden nonostante la solidarietà a Trump

Di Alberto Maggi
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Politica

Salvini accelera, attacca e scava un solco nella maggioranza. Meloni oscilla (e traballa)

 

L'attentato a Donald Trump scava l'ennesimo solco nella maggioranza di governo e rende l'esecutivo di Centrodestra sempre più fragile e a rischio implosione. Lo si vede perfettamente nelle dichiarazioni soprattutto dei due vicepremier. Antonio Tajani, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, ha detto "noi stiamo con l'America, chiunque sia il presidente".

Matteo Salvini, leader della Lega, ha affermato che "Trump è l'uomo giusto per guidare l'America". Aggiungendo addirittura che anche in Italia c'è il rischio di attentati o di violenza politica con le dichiarazioni contro le riforme del governo "fasciste", dall'autonomia regionale al premierato, che potrebbero portare qualcuno a passare "ai fatti". In mezzo c'è Giorgia Meloni, come al solito, che in cuor suo è più vicina ai repubblicani che ai democratici, ovviamente, ma che sa perfettamente che il programma di Trump è quello di fatto di smantellare la Nato, smettere di aiutare l'Ucraina e adottare una politica estera completamente autonoma rispetto a quella europea.

Meloni non è più la leader di un piccolo partito di destra che andava alle convention negli Stati Uniti dei Conservatori organizzate dal GOP (il partito repubblicano Usa), oggi è presidente del Consiglio di un Paese, come l'Italia, con un debito pubblico enorme e con una procedura di infrazione aperta da Bruxelles che costa 12 miliardi di euro all'anno. Un dettaglio (eufemismo) che non si può certo sottovalutare.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, ovvie e scontate di tutta Europa, a partire da Ursula von der Leyen e passando per Emmanuel Macron e Olaf Scholz, di condanna ferma e totale dell'attentato a The Donald, a Bruxelles e nelle principali cancellerie europee sono molto preoccupati che quanto accaduto in Pennsylvania nella notte tra sabato e domenica possa dare il colpo finale al claudicante e traballante Joe Biden facendo volare Trump verso la Casa Bianca con una maggioranza ampia e netta sia al Senato sia alla Camera.

E con in mano anche il Congresso, con i repubblicani trascinati dal voto per le Presidenziali, il tycoon potrebbe rapidamente passare dalle parole ai fatti e sganciarsi economicamente, politicamente e militarmente dall'Europa. Meloni dunque, dietro le quinte, teme uno scenario del genere e pur essendosi astenuta all'ultimo Consiglio europeo su von der Leyen sta trattando proprio con Ursula una sorta di desistenza/astensione nel segreto dell'urna del Parlamento europeo per strappare un commissario di peso e per restare agganciata a Macron nella richiesta di una maggiore flessibilità sul Patto di Stabilità.

E in questo contesto il rapporto con l'altra sponda dell'Atlantico è fondamentale, soprattutto ma non solo per la guerra in Ucraina in corso ma anche per le mire cinesi di dominare il mondo, almeno per gli equilibri a Bruxelles. Meloni oscilla e si barcamena, quindi, tra la sua storia ancorata a destra e trumpiana e la necessità di non venire ulteriormente isolata in sede Ue. È ovvio che le bordate di Salvini, che di mestiere fa il vicepremier, sono una bella grana per la premier, non solo per la contrapposizione sempre più evidente con Tajani, ma perché le parole del leader leghista rimbalzano in tutte le capitali europee e rendono l'azione politica sottotraccia di Meloni più complicata.

D'altronde il segretario del Carroccio è già in campagna elettorale per il referendum abrogativo sull'autonomia (per farlo fallire con il mancato quorum) e, di fatto, è in perenne campagna elettorale visto il sorpasso di Forza Italia alle Europee di giugno. E stavolta sulle armi all'Ucraina ha anche il sostegno di Luca Zaia che ha affermato "è il momento della diplomazia". Una situazione che già era esplosiva per la maggioranza e che ora l'attentato a Trump rende ancora più complicata e pericolosa per la stessa tenuta del Centrodestra e dell'esecutivo.

I conti, in tutti i sensi, si faranno con la Legge di Bilancio (quando non ci saranno soldi, e su questo Giancarlo Giorgetti è più vicino a Meloni e a Bruxelles che a Salvini), soprattutto sull'assenza di interventi sulle pensioni (come invece vorrebbe la Lega per superare la Legge Fornero), salvo colpi di scena e scivoloni sul premierato che potrebbero far saltare prima ancora il banco. D'altronde, a chiudere il cerchio, c'è lo stallo totale sui vertici Rai, da sempre cartina di tornasole degli equilibri politici.

Tutto fermo in Viale Mazzini, una situazione figlia di una maggioranza che ha perso compattezza e smalto, anche se a breve potrebbe tenersi un infuocato e delicato vertice della coalizione. Vedremo che toppe troveranno questa volta per giustificare le tante divisioni.

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