Commissario Ue, ecco perché anche il Pd dovrebbe dire sì a Fitto

Sulla nomina e sulle deleghe di Fitto si è fatta molta dietrologia, sminuendo molto, da parte delle opposizioni, quello ottenuto da Giorgia Meloni. Commento

di Vincenzo Caccioppoli
Politica

Ue, ecco perché anche il Pd dovrebbe dire sì a Fitto 

Anche ieri alla Camera la premier italiana, Giorgia Meloni, durante il dibattito sul Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi, si è a lungo soffermata sulla necessità di votare, anche da parte del Pd, il candidato italiano alla commissione europea, Raffaele Fitto. Si è parlato spesso, anche ieri, del fatto che dire sì al commissario designato dall’Italia sarebbe legato al patriottismo e al senso della nazione che dovrebbe unire tutti maggioranza ed opposizione, quando si tratta di questioni di carattere internazionale.

Ma in questo caso non si tratta solo ed esclusivamente di una mera questione di patriottismo. Anche perché se si facesse solo affidamento sul senso patriottico di molti esponenti della sinistra, sarebbe sinceramente arduo aspettarsi qualche aiuto da loro nell’ appoggiare il candidato italiano nelle forche caudine a cui i socialisti europei vorrebbero sottoporlo, durante le audizioni in parlamento prevista per il 12 novembre prossimo.

Perché è ormai evidente che la sinistra, anche quando si parla di temi legati all’Europa e alla politica estera in genere, fatica a riconoscere i meriti del governo, ed invece di fare squadra, come invece fanno spesso Francia e Germania, non perde occasione per gettare discredito sul paese pur di colpire la maggioranza e il governo italiano. Ma nel caso di Fitto e del suo auspicato successo ad avere il via libera dal parlamento europeo, la questione è più complicata e potrebbe riguardare non solo la patria e l’evidente prestigio che ne deriverebbe a livello di paese, ma riguarderebbe, anche e soprattutto, quello che attiene all’interesse economico della nazione per i prossimi dieci anni almeno.

Perché sulla nomina e sulle deleghe di Fitto si è fatta molta dietrologia, sminuendo molto, da parte delle opposizioni, quello ottenuto da Giorgia Meloni, per uno dei suoi uomini migliori (se non il migliore in assoluto). Il paragone, nel classico e stucchevole leitmotiv della polemica politica italica, che spesso si specchia troppo in sé stessa e nelle sue profonde contraddizioni ed incongruenze, trasformandosi nel più classico dei teatrini dell'opera, per sfumare in certi casi in quello dell’assurdo, verte sulle deleghe assegnate a Fitto che sarebbero inferiori a quelle appartenute a Gentiloni nella passata legislatura. A parte il fatto che molto spesso è vero l’assioma secondo cui è la persona che fa il ruolo e non viceversa.

Perché se proprio si vuole essere puntigliosi non è che il commissario Gentiloni, così come per esempio Federica Mogherini (nominata da Renzi in maniera piuttosto discutibile e controversa, da destare anche molti dubbi in diversi esponenti del suo stesso partito) alto rappresentante dell'Unione due legislature fa, solo per citare gli ultimi due commissari italiani in ordine di tempo, abbiano lasciato, anche se in ruoli assai di peso, un segno così tangibile e decisivo del loro passaggio.

Tornando all’oggi, la posizione di Fitto, a capo della coesione e del Pnrr (anche se in coabitazione con quello all’economia Dombrovskis), oltre che con la supervisione su agricoltura, pesca, trasporti, turismo e allargamento. Si tratta di questioni che sono di vitale importanza per il nostro paese nei prossimi anni. E se a questo si aggiunge anche il fatto che Fitto dovrebbe anche occuparsi di riforme, beh a noi sembra che si tratti di temi che dovrebbero convincere senza sé e senza ma non solo il Pd, ma anche Cinque Stelle. Sinistra e verdi a votare convintamente per il politico pugliese. Senza contare che sulla figura di Fitto nessuno sembra voler obiettare alcunché, considerando anche il gran lavoro svolto dall’ex ministro per gli affari europei, nato a Maglie 55 anni fa, sul tema dei fondi del Pnrr.

Ma tant’è quella strana tentazione di mettere in difficoltà il governo, colpendo magari anche gli interessi nazionali, in perfetto stile taffazesco, è sempre presente in qualche esponente del Pd nostrano. D’altra parte secondo le ultime voci raccolte a Bruxelles, i socialisti spagnoli sarebbero intenzionati a non rischiare un possibile ripicca sulla loro candidata forte, terse Ribeira, e sarebbero per il sì a Fitto, mentre quelli francesi sarebbero assai più incerti e cauti. Ecco allora che la delegazione italiana che è anche la più numerosa potrebbe trovarsi in mezzo al guado.

Si vedrà cosa decideranno i vertici del partito, ma la sensazione è che qualcuno alla fine, sotto sotto, voglia fare uno scherzetto a Fitto, per colpire la Meloni. Ma si tratterebbe dell’ennesimo errore strategico di una sinistra, che da troppo tempo pare aver perso il contatto con la realtà e sembra muoversi in ordine sparso e senza una linea politica precisa che segua un filo conduttore comune. Giorgia Meloni ha vinto anche e soprattutto perché ha fatto leva sulla sua coerenza e su una linea politica chiara ed uniforme. Si vedrà adesso, se a prevalere alla fine sarà per una volta la ragione e l’interesse nazionale, che dovrebbe essere il primo motore dell’attività politica di ogni eletto dal popolo, oppure se a farla da padrone saranno ancora una volta i piccoli e meri interessi di bottega, utili magari per traccheggiare nel mare malmostoso della politica nostrana, ma che certo non elevano il livello della politica italiana e soprattutto non fanno il bene della nazione.

 

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