Una Commissione slegata dai governi nazionali: il progetto di Ursula (e il ruolo di Fitto in Europa)

Nasce il secondo esecutivo continentale di von der Leyen

di Vincenzo Caccioppoli
Politica

FITTO, L'UOMO FORTE DELLA COMMISSIONE

Le dimissioni improvvise e clamorose, anche se forse non troppo inaspettate, per chi conosce le dinamiche della Commissione europea, del commissario designato da Macron, Thierry Breton, offrono due importanti riflessioni sulla commissione appena nata. La prima è che Ursula von der Leyen appare molto più forte di quello che molti vogliono far credere.

Aver imposto al presidente francese, anche se molto indebolito, la sostituzione di un suo uomo di fiducia, è certamente una prova di forza non indifferente. La presidente della commissione e il commissario Breton non si sono mai amati, per usare un eufemismo, e questa certo non è una novità.

La sua presenza era ingombrante e avrebbe certamente rappresentato un problema per chi, come la presidente von der Leyen, vuole approfittare della debolezza di Scholz e Macron per riuscire dove, per esempio Romano Prodi, aveva clamorosamente fallito, e cioè rendere la commissione europea più indipendente dai governi nazionali.

Ma per fare ciò bisognava liberarsi di quella ultima presenza scomoda all’interno della commissione (gli altri non erano stati riconfermati dagli stessi governi nazionali e Timmermans si era fatto fuori da solo un anno e mezzo fa), il francese Thierry Breton.

La neo presidente, con una astuta mossa, ha giocato la carta di offrire a Macron una delega ancora più pesante pur di liberarsi di chi era per lei un ostacolo al suo preciso disegno politico. Un presidente francese forte non avrebbe mai accettato quello che appare una sorta di ricatto.

Ma il Macron di adesso con i problemi interni che ha di fronte, non può permettersi di aprire altri fronti anche con Bruxelles. Ursula dimostrando coraggio e anche una certa autorevolezza, che forse molti non le hanno mai riconosciuto, ha ottenuto quello che voleva, senza nemmeno troppo sforzo.

Ma la seconda cosa importante che questo fatto ci racconta è che da tutto questo bailamme, indubbiamente a uscire rafforzati sono Meloni e il suo super commissario Raffaele Fitto, che al di là delle deleghe che avrà, inevitabilmente diventa ora il vero uomo forte della commissione.

Alla luce di tutto ciò, è innegabile che tutto quanto accaduto a luglio, al Consiglio europeo prima e a Strasburgo poi, con il voto per la presidenza della Commissione, assumano contorni e conclusioni assai differenti da quelli che una certa stampa e la sinistra italiana avevano paventato allora per il nostro paese. Altro che isolata, Giorgia Meloni, come dimostra anche l'incontro di ieri con il premier britannico Starmer, è la vera leader forte di questa Europa.

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E quanto sta accadendo ora con la formazione della nuova Commissione non fa altro che confermarlo. Può apparire assai verosimile, a questo punto, che anche il voto contrario di FdI del 18 luglio fosse stato in qualche modo concordato con la von der Leyen, proprio per agevolarla, e non metterla in difficoltà con eventuali franchi tiratori di verdi e socialisti, in caso di un voto favorevole del partito della Meloni.

Fantasie o verità, poco importa ormai, ma è indubbio che a uscire vittoriosa dalla contesa per la commissione, sia proprio Giorgia Meloni, che con la presidente della Commissione ha sempre avuto un ottimo rapporto, anche durante le trattative per la presidenza. La sinistra e i liberali escono invece con le ossa rotta, anche perché, e questo è un dato di fatto, sono stati sconfitti alle urne.

Forse proprio per cercare di reagire a quella che appariva una chiara marginalizzazione (la nuova Commissione avrà ben 15 esponenti del Centrodestra e 4 ciascuno per socialisti e liberali, nessuno per i verdi) hanno provato a fare la voce grossa, mettendo il veto su Fitto e sulla intenzione di affidargli una vicepresidenza esecutiva.

Ma i Popolari, i veri vincitori delle urne, hanno subito rintuzzato questo sconclusionato tentativo, difendendo a spada tratta il candidato italiano. E questo fatto rafforza ancora di più quello che sarà il ruolo forte all’interno della Commissione del candidato italiano, che in una Commissione senza nomi altisonanti, non potrà che fungere da vice forte della presidente.

Il candidato francese, il 38enne Stephane Sejourne, ex compagno dell’ex premier francese Attal, non ha certo l'understatement europeo che può vantare invece Fitto. I fatti di ieri e la presenza del candidato forte italiano nella Commissione, indeboliscono certamente i socialisti e i liberali (i Verdi sembrano ormai ai margini) e rafforzano l’Ecr, il gruppo di cui Fitto è stato non solo il co-presidente per anni (ruolo passato ora a Nicola Procaccini) ma anche quello che ha contribuito al riavvicinamento con i popolari europei.

Ora questo sforzo può arrivare al suo compimento, senza arrivare a un cambio di maggioranza vero e proprio, appare naturale che, come accaduto già nella passata legislatura, i due gruppi votino compatti su alcune delle questioni determinanti della prossima legislatura, a cominciare dal tanto contestato green deal, su cui i Popolari la pensano esattamente come i conservatori dell’Ecr.

E questo potrà nel tempo rafforzare il sodalizio, spostando inevitabilmente gli equilibri politici verso il Centro-destra, assecondando così anche il risultato uscito dalle urne il 9 giugno.

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