Ue, ecco perché il Manifesto di Ventotene non è un inno alla democrazia

Il commento dopo la piazza europea di sabato a Roma

di Vincenzo Caccioppoli
Politica

Ma qualcuno dovrebbe spiegare alle 30.000 persone accorse a Piazza del popolo a Roma, sabato scorso, tutte bardate solo delle bandiere blu dell’Europa, che in realtà quel manifesto di democratico e di libertario ha davvero molto poco

Nella chiamata alle armi nata “spontaneamente” da un giornalista come Michele Serra, che sull’elitarismo e il fighettismo ha costruito parte delle sue fortune, si è inneggiato al celebre manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli. Secondo alcuni a sinistra questo manifesto sarebbe una sorta di vademecum da seguire in questi tempi difficili per costruire un'Europa più unita, libera e democratica. Ma qualcuno dovrebbe spiegare alle 30.000 persone accorse a Piazza del popolo a Roma, sabato scorso, tutte bardate solo delle bandiere blu dell’Europa, che in realtà quel manifesto di democratico e di libertario ha davvero molto poco. Altiero Spinelli è un signore che aveva aderito nel 1924 al partito comunista, per poi esserne espulso nel 1937. Nel 1941, internato a Ventotene, insieme ad Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni redasse il manifesto "Per un'Europa libera e unita" (più comunemente noto come Manifesto di Ventotene), considerato un precursore del processo di integrazione europea.

Nel 1943 fu fondatore del Movimento Federalista Europeo e poi cofondatore dell'Unione dei Federalisti Europei. Ricoprì diversi incarichi nelle istituzioni comunitarie e italiane, tra cui: membro della Commissione europea dal 1970 al 1976, poi del Parlamento italiano (1976) e quindi del primo Parlamento europeo nel 1979. Fu promotore di un progetto di trattato istitutivo di un'Unione Europea con marcate caratteristiche federali che venne adottato dal Parlamento europeo nel 1984. Ma se qualcuno avesse letto meglio il manifesto capirebbe che di pacifista e democratico ha ben poco.” Attraverso questa dittatura del partito si forma il nuovo Stato ed intorno ad esso la nuova vera democrazia”.

Si tratta di un visione assolutamente antidemocratico e che mette in risalto la contrapposizione evidente tra le elite e il popolo ( ma in realtà questa è forse una delle grandi contraddizioni in seno alla sinistra italiana in questi ultimi due decenni almeno). Non si può proporre un’ermeneutica politica del Manifesto di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, se non si tiene conto del fatto che, nel bel mezzo del secolo dei totalitarismi, esso si pone anzitutto come una reazione allo stato, soggetto politico nato dalla cultura mediterranea, divenuto invasivo e pervasivo, al quale si può soltanto contrapporre, con la forza dell’ideologia atlantica liberatrice, un modello federale dell’Europa. Dalle pagine del Manifesto emerge anzitutto la volontà di reazione, di risposta; un rinnegare le proprie radici teoretiche, necessitato, conseguenziale. Il modello federalista diviene, nella prospettiva del Manifesto, prima ancora di ogni analisi argomentativa di approfondimento politologico, la panacea politica rispetto alla negatività sperimentata del modello dello stato-nazione.

Questa caratterizzazione che punta al conflitto e alla eliminazione di stati e confini in nome di un nuovo ordine europeo del Manifesto di Ventotene, può essere considerata forse come una delle grandi contraddizioni, su cui si è fondata l’ Unione Europea. E non poteva essere altrimenti dal momento che il concetto di Europa è rimasto sempre un’astrazione e tema di conflitti tra chi vorrebbe un Europa federale e chi invece propende per un Europa confederale ( nel manifesto si va anche oltre ai due concetti, forse). Per gli Autori del Manifesto: “Il problema che in primo luogo va risolto e, fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”, i quali ultimi mostrano anche, non solo l’inutilità, ma la “dannosità”, delle società tra stati, quali per esempio “la Società delle Nazioni”.

E’ chiaro che partendo da queste premesse diventa difficile poter costruire un progetto comune, basato solo sul frangente storico in cui fu scritto. In realtà le istituzioni europee erano nate con tutt’altra ispirazione molto diversa di quella del Manifesto per principale impulso dei tre statisti, tutti e tre cattolici, i quali avevano preso le mosse dalle comuni radici cristiane dell’Europa ed avevano assunto come riferimento simbolico il Sacro Romano Impero (attualmente il massimo riconoscimento europeo è proprio e non a caso un premio intitolato a Carlo Magno) e pochi sanno che le stelle che circondano la bandiera europea, rappresentano le 12 tribù d'Israele che cingono la testa dell'Assunta, mentre il blu richiama al mantello della Madonna.

È chiaro che alla luce di tutto ciò, il manifesto appaia come un’idea dell’Europa oligarchica e mondialista, vuole superare le differenze nazionali e non è pensata come il coronamento di un’unità di popoli europei, basata sui loro caratteri comuni (etnici, culturali, religiosi), ma come l’embrione di una futura aggregazione di livello mondiale, che elimini definitivamente dalla faccia della Terra ogni confine, ogni differenza culturale e che riunisca tutti i popoli del Mondo.

Ecco allora che rifarsi ad un manifesto così tranchant e per certi versi dal forte sapore rivoluzionario, in tempi così incerti, appare come un pericoloso e paradossale tentativo di voler togliere sovranità agli Stati e ai popoli, in nome di un superstato che ancora non esiste, ma che proprio dal riarmo, così contestato dagli stessi che celebrano il Manifesto, potrebbe cominciare a prendere una sua prima forma embrionale. Insomma la sinistra sta celebrando un testo che in realtà invece di appianare i conflitti, rischierebbe di aggravare quelli in essere e forse di crearne nuovi. Chissà che gli organizzatori della manifestazione di Sabato, vista la totale incapacità dei politici di sinistra di creare un'alternativa valida alle destre, non pensino a tagliare il problema alla radice, eliminare gli Stati nazionali e creare un superstato che tutto decide. Ma, a ben pensarci,  è proprio quello che il loro popolo (o quel che ne rimane) vede come fumo negli occhi.

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