Nardò, 'Su.pr.Eme. Italia' vs. sfruttamento lavoro nei campi

Nardò racconta le buone pratiche di una comunità “attiva” per contrastare lo sfruttamento lavorativo nei campi.

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Si è tenuta a Nardò la seconda Agorà della condivisione, il format inserito nel programma  Su.pr.Eme Italia, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito dei Fondi Amif, per promuovere azioni di divulgazione e sensibilizzazione al delicato tema del fenomeno dello sfruttamento lavorativo nelle campagne

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E proprio a Nardò Su.Pr.Eme. Italia (Sud protagonista nel superamento dell’emergenza in ambito di grave sfruttamento degli stranieri nelle cinque regioni del sud Puglia Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia) ha incontrato una comunità attiva, impegnata a tutti i livelli in azioni e attività tese a favorire una filiera legale del lavoro, che passa dalle buone condizioni di vita e dal rispetto dei diritti.

Una comunità del fare, dunque. A cominciare dalle istituzioni locali, impegnate sul territorio per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori stranieri stagionali impegnati nei campi. “L’amministrazione comunale di Nardò - ha affermato Maria Grazia Sodero, assessora al welfare - ha sempre avuto a cuore il tema dell’accoglienza di questi cittadini. Quest’anno con l’aiuto della Regione Puglia è stata riaperta la foresteria Boncuri che ha permesso a molti lavoratori stranieri, in possesso di regolare contratto, di avere un tetto sulla testa e condizioni dignitose di permanenza sul nostro territorio. L’impegno dell’amministrazione, con il supporto del terzo settore e della Caritas, è stato massimo”.  

Ma l’assessora Sodero è consapevole che non basta. “È vero - ha ammesso - il campo è decentrato rispetto al centro abitato, ma il nostro sforzo insieme a quello della comunità che ci supporta, sarà quello di provare ad accorciare questa distanza tra Masseria Boncuri e centro abitato, pensando a soluzioni diverse”.

Che la foresteria Boncuri non sia la soluzione ideale al problema, lo ha detto chiaramente anche don Giuseppe Venneri, direttore della Caritas Diocesana Nardò-Gallipoli, che dal 2018 gestisce il servizio mensa del Campo. E a voler guardare gli aspetti positivi: “C’è di buono - ha sottolineato Venneri - che la nostra entrata nella foresteria ha permesso di cambiare la percezione sbagliata che all’esterno si aveva degli ospiti del campo, assimilati il più delle volte a stranieri clandestini e non a lavoratori regolarmente presenti sui nostri territori. Una percezione cambiata anche grazie al coinvolgimento del Centro di Ascolto cittadino che ora è attivo nel campo con tutti i servizi di accompagnamento, legale, sanitario, psicologico”.    

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Un'altra testimonianza di buona prassi di sensibilizzazione è il progetto di economia civile Opera Seme, che Caritas ha sviluppato sul territorio coinvolgendo aziende agricole eticamente certificate, nella produzione di ortaggi che vengono consumati nelle mense. Un altro modo per allungare la filiera della legalità e dell’inclusione.

Non di accoglienza, ma di diritto alloggiativo hanno parlato Francesca Zuccaro, presidente dell’Associazione Finis Terrae e Antonio Caputo di Homa cooperativa s.p.a. che insieme ad Innova.Menti, Cir, Aeos Onlus e Croce Rossa Italiana, hanno attivato a Nardò uno Sportello Casa, ovvero un servizio di mediazione alloggiativa che favorisca l’autonomia abitativa dei cittadini stranieri e dei lavoratori migranti.

Il progetto, inserito nel programma P.I.U. – Su.pr.Eme. (Percorsi Individualizzati di Uscita dallo sfruttamento) ha come obiettivo non solo l’inserimento abitativo dei cittadini stranieri, ma anche una serie di servizi di supporto e accompagnamento. Per abbattere il muro di diffidenza, lo sportello prevede garanzie anche per i proprietari di casa: pagamento di mensilità anticipate di affitto, comunicazione costante con gli inquilini, redazione e registrazione dei contratti, esperienza nel settore immobiliare.

Un nuovo approccio e un nuovo modello di accoglienza. “Dobbiamo cominciare a parlare di diritto ad abitare - ha sottolineato Francesca Zuccaro - lasciandoci dietro il concetto di accoglienza che è un bisogno emergenziale. Le persone straniere che lavorano sul nostro territorio non hanno bisogno di essere accolte, ma di case, di luoghi dove vivere anche al di là dei tre o quattro mesi di raccolta nei campi. Non si può parlare di inclusione abitativa tenendo le persone fuori dai centri abitati”.

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“Il primo step del progetto - ha precisato Antonio Caputo - è stato l’ascolto, l’individuazione dei bisogni che ci ha portato ad identificare delle tipologie di lavoratore in cerca di casa: stagionali, stanziali, lavoratori che vorrebbero ricongiungersi con le loro famiglie. Il secondo step è stato la mappatura delle case disponibili, il terzo, quello più difficoltoso su cui c’è più da lavorare, è stato quello di far incontrare la domanda e l’offerta. Un passo quest’ultimo che richiede uno sforzo di sensibilità da parte dei proprietari, che oggi si sentono rassicurati dalla nostra mediazione, ma potremo dire di aver fatto un buon lavoro di inclusione quando non ci sarà più bisogno di intermediari e questi cittadini saranno percepiti come normali lavoratori in cerca di una casa”.

(gelormini@gmail.com)