Trifone Gargano, 'Dante: calcio, insulti e letteratura'

La curva Fiesole a Firenze emula quella partenopea del S. Paolo e ricorre a Dante alighieri per 'ammonire' Dušan Vlahović il beniamino passato alla Juventus.

Dante allo stadio
PugliaItalia
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di Trifone Gargano

La tifoseria organizzata della ACF Fiorentina, curva "Fiesole", in occasione della partita di "Coppa Italia" Fiorentina - Juventus, del 02.03.2022, disputata allo stadio "Artemio Franchi" di Firenze, ha scelto Dante Alighieri come tema della coreografia pensata per dare un bentornato canzonatorio a Dušan Vlahović, calciatore serbo, attualmente in forza alla Juventus FC, e titolare nella squadra della nazionale serba, ritenuto tra i maggiori talenti del momento del calcio mondiale, come attaccante di grande potenza, dal tiro preciso e irresistibile, mancino puro, specialista nei tiri piazzati e nei calci di rigore.

Dal 2018, infatti, Vlahović aveva militato proprio nella Fiorentina, ma nel mese di gennaio di quest’anno, durante la sessione invernale del calcio-mercato, ha cambiato casacca, passando nelle fila della Juventus (per un ingaggio pari a 70 milioni di euro, più bonus). Allo stadio, si sono sentiti cori pesanti, insulti razzisti, e si son visti anche striscioni sfottò, all’ingresso di Vlahović, giudicato colpevole, da parte della tifoseria più accesa e organizzata dei viola, di aver tradito la squadra.

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Calcisticamente parlando, la partita si è risolta al 91’, a favore della Juventus, grazie a un autogol di Lorenzo Venuti, difensore della Fiorentina. Non è stata una gran partita. Essa, infatti, passerà alla storia calcistica (e del costume italiano) per la coreografia dantesca, e per il richiamo ai versi dell’Inferno nei quali Dante punisce, appunto, i traditori. Il cerchio IX dell’Inferno dantesco (ai canti XXXII-XXXIV) è un lago ghiacciato, alimentato dal fiume infernale Cocito, sul quale spira un vento gelido che proviene direttamente dalli ali di Lucifero. Il IX cerchio è suddiviso in quattro zone, dove scontano la loro pena i traditori di coloro che si fidano:

1) nella Caina, i traditori dei parenti

2) nella Antenòra, i traditori della patria

3) nella Tolomea, i traditori degli ospiti e degli amici

4) nella Giudecca, i traditori dei benefattori

Dunque, coloro che in vita hanno tradito la lealtà nei confronti delle persone (parenti), o delle istituzioni (patria / partito), così come hanno meditato con freddezza i loro inganni, insensibili al calore degli affetti altrui, adesso, sono immersi fino al collo nel ghiaccio. I dannati delle prime due zone del IX cerchio (trattate da Dante nel canto XXXII) piangono, ma, tra questi, quelli dell’Antenòra (utilizzata negli sfottò indirizzati al traditore della squadra, Dušan Vlahović, da parte dei tifosi viola, allo stadio «Artemio Franchi», lo scorso 2 marzo), pur tenendo il capo dritto, non riescono a mantenere gli occhi aperti, perché le loro lacrime si ghiacciano immediatamente.

I versi sventolati allo stadio di Firenze, facevano riferimento a un dannato, in modo particolare: Bocca degli Abati, collocato, appunto, da Dante Alighieri, tra i traditori della patria / del partito, nella seconda zona di questo cerchio, nell’Antenòra:

"Omai", diss'io, «non vo' che più favelle,

malvagio traditor; ch'a la tua onta

io porterò di te vere novelle» (vv. 109-111)

["Ormai", diss’io, «non desidero più che tu parli (favelle), malvagio traditore;

porterò sulla terra precise informazioni su dite, a tua infamia (onta)]

Dante e Virgilio, passeggiando tra le teste di questi dannati, si sono trovati nel mezzo del lago ghiacciato, nell’Antenòra, appunto, dove sono puniti i traditori della patria e della propria parte politica [i tifosi viola hanno inteso assimilare a questa categoria di traditori anche il loro ex beniamino, Dušan Vlahović, reo di aver tradito una parte calcistica, la tifoseria della curva "Fiesole", e tutta la città di Firenze]. Dante calpesta, non avvedendosene, la testa di un dannato, che lo insulta, pronunciando la parola "Montaperti" (v. 81). Con il consenso di Virgilio, Dante si ferma un momento, per parlare con lui, e gli chiede, quindi, chi sia; l’anima dannata, però, insolentemente, si rifiuta di rispondere, specie quando sente dire da Dante ch’egli è vivo, e che, quindi, potrà raccontare di lui sulla terra, una volta finito il viaggio nell’aldilà, inserendo il suo nome "tra l’altre note" (v. 93). Nemmeno dinanzi a questa precisazione il dannato cambia idea, e continua a tacere la sua identità. Dante, allora, indispettito da questo atteggiamento scortese, afferra il dannato per i capelli, provocando il lamento di costui, per il dolore, senza, però, che riveli il nome, che, invece, verà pronunciato da un altro dannato, che gli si rivolge, chiamandolo per nome, per chiedergli la ragione dei suoi lamenti:

quando un altro gridò: "Che hai tu Bocca?" (v. 106)

Si tratta, dunque, di Bocca degli Abati.

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Vistosi scoperto, Bocca, per dispetto, rivela a Dante sia il nome del dannato che lo ha tradito, sia il nome di molti altri dannati lì presenti. Bocca degli Abati, comunque, perseverando nel suo comportamento insolente, caccia Dante, e gli dice che non gliene importa proprio nulla di quello che egli potrà o vorrà raccontare, nel poema, una volta tornato sulla terra:

"Va via2, rispuose, "e ciò che tu vuoi conta"

Bocca degli Abati era stato nobile fiorentino di parte guelfa, che, durante la battaglia di Montaperti, nel 1260, a tradimento, aveva mozzato la mano a Jacopo de’ Pazzi, vessillifero della cavalleria fiorentina. I fiorentini, dunque, in quella circostanza, vedendo cadere la bandiera, si sbandarono, e furono sconfitti malamente. Montaperti è una località della Toscana, situata a sud di Siena, dove, ripeto, nel 1260, i senesi e i ghibellini toscani (sostenuti e appoggiati da Manfredi di Svevia) si scontrarono con i guelfi fiorentini, in una battaglia tra le più sanguinose che si ricordi (e che Dante cita, per la sua ferocia, nel canto X dell’Inferno, ricordando, appunto, le acque del fiume Arbia, nei pressi di Siena, colorate di rosso, per il sangue versato da entrambe le parti). A capo dei ghibellini c’era Farinata degli Uberti (il nobile Manente degli Uberti, detto Farinata), che Dante ha già incontrato tra gli eretici, nel VI cerchio infernale (come si legge nel canto X dell’Inferno).

Proseguendo il suo viaggio, subito dopo, sempre nell’Antenòra, Dante incoccerà nell’anima di un altro (gigantesco) dannato, il conte Ugolino della Gherardesca, che, condividendo una buca ghiacciata con un altro dannato, l’arcivescovo Ruggieri, sovrastandolo, gli morde il capo, in preda a un brutale istinto animalesco ("come ‘l pan per fame si manduca", v. 127). Il poeta, allora, chiederà a questo nuovo dannato il perché di tanto odio, promettendogli di raccontare la sua storia ai vivi («nel mondo suso», v. 138). Ma tutto questo Dante lo racconterà del canto successivo, il XXXIII, penultimo dell’Inferno. E noi ci fermiamo qui.