Trifone Gargano e 'Pasolini maestro di emozioni'
L'esperienza pedagogica di Pier Paolo Pasolini narrata da Vincenzo Cerami e Nico Naldini, e analizzata da Trifone Gragno con la lente
di Trifone Garrgano *
Per i primi anni Cinquanta, in Italia, sostenere che l’insegnamento dovesse suscitare nei ragazzi emozioni e curiosità era come parlare cinese. Eppure, Pier Paolo Pasolini, a Casarsa e a Ciampino, nelle sue due brevi (ma intensissime) esperienze di professore di Letteratura e di Grammatica italiana, lo sosteneva e, soprattutto, lo praticava.
L’esperienza didattica più lunga e significativa fu svolta da Pasolini nel Comune di Ciampino, una volta trasferitosi a Roma, agli inizi del 1950, con sua madre. Prese, infatti, servizio nel mese di dicembre del 1951, come professore di Lettere, presso la scuola media parificata “F. Petrarca” di Ciampino, e vi restò fino al mese di dicembre del 1954, per tre anni scolastici interi (il quarto anno, invece, 1954-55, lo avviò soltanto, e poi si dimise, per dedicarsi con maggiore impegno e tempo alla sua attività di sceneggiatore, lasciando la supplenza, per quell’anno scolastico, a Nico Naldini, suo cugino, e, poi, suo amorevole e attento biografo).
A Ciampino, tra i suoi allievi, figura Vincenzo Cerami (1940-2013), futuro scrittore, giornalista e sceneggiatore, che ha ricordato, del Pasolini insegnate, quanto segnasse in blu, negli scritti dei suoi alunni, banalità e luoghi comuni, stimolandoli, quindi, a essere sempre teste pensanti e critiche, teste ben fatte e divergenti. Tra il 1947 e il 1949, aveva insegnato nella scuola media di Valvasone, sede staccata di Pordenone, dove non solo curava la formazione linguistico-letteraria dei suoi studenti, ma faceva anche da allenatore di calcio. Il calcio è stata la grande passione sportiva di Pasolini, praticandolo pure, grande tifoso del Bologna.
Memorabile, direi leggendaria, la partita disputata a Parma, con gli undici di Pasolini (che si trovava lì perché stava girando il film Salò e le 120 giornate di Sodoma), contro gli undici di Bernardo Bertolucci, suo ex aiuto-regista (impegnato a girare il film Novecento). La partita fu vinta dalla squadra di Bertolucci, ma Pasolini, che sul campo di calcio metteva tutta la passione e grinta necessarie, lanciò mille accuse e sospetti sulla vittoria, guadagnata - a suo dire - con un trucco.
La scuola media unica e i nuovi programmi d’insegnamento sarebbero arrivati soltanto nel 1963, con mille contraddizioni, che Pasolini, puntualmente, intravide prima degli altri, segnalò e denunciò, giungendo anche ad affermare che quella scuola media unica e quei programmi così concepiti, strumento del genocidio che lui già vedeva in atto nella società italiana (e che poi avremmo registrato e compreso tutti, ma con decenni di ritardo rispetto alla vista profetica di Pasolini), tanto valesse chiuderla.
Lo intuì, nel 1965, anche il priore di Barbiana, don Lorenzo Milani, e lo denunciò in Lettera a una professoressa, che quella scuola, di fatto, restava una scuola classista, nient’affatto inclusiva, che agisse, nei confronti dei figli dei contadini e degli operai, come una porta girevole di albergo, facendoli entrare, ma scaraventandoli fuori dopo il solo primo giro (anno scolastico). Anche don Lorenzo Milani non fu ascoltato, e il suo modello di scuola democratica, esigente, rigorosa ma accogliente fu ignorata (e derisa).
Con riferimento alla sua esperienza didattica, Pasolini scrisse alcune riflessioni e articoli sul senso di fare scuola, sui libri di testo, sull’educazione al bello e alla poesia, e altro ancora, di grande e sorprendente modernità, anche a leggerli oggi, cioè oltre settant’anni dopo (questi testi pasoliniani sono stati raccolti, sempre a cura di Nico Naldini, in un volume Guanda: Un paese di temporali e di primule).
Dalla lettura di questi articoli di Pasolini, quelle che sono le sue prime riflessioni e che, poi, gli studiosi avrebbero definito come la sua «naturale vocazione pedagogica» (proseguita anche negli anni della maturità, e al di fuori della scuola come istituzione, attraverso i romanzi, gli articoli giornalistici, i film, gli interventi in quanto acuto intellettuale, sempre corsaro e critico, disilluso sul nostro futuro, ma con uno sguardo mai cinico), emergono proposte metodologico-didattiche di grande attualità. Provo a farne un minuscolo elenco, rinviando il lettore al mio (imminente) Pasolini pop, per i tipi Progedit (di Bari):
- le storie, le narrazioni (le favole) come strumento didattico (in quegli anni scrisse, ad uso dei suoi studenti, un racconto-favola sul mostro «Userum», per spiegare loro, in maniera fascinosa ed emozionante, le tre desinenze del nominativo di seconda declinazione, per la lingua latina: -us; -er; -um)
- insegnamento (e meta-insegnamento) come missione etica, che dovesse partire da precise riflessioni e motivazioni sulle scelte e sui metodi della lezione, preparare con scrupolo una lezione, affinché, cioè, non si esaurisse in un vuoto bla-bla privo di senso
- scuola attiva, insegnamento attivo, per stimolare nei ragazzi curiosità e giudizio critico, per suscitare in loro emozioni
- insegnamento non convenzionale (Pasolini ripete, in questi scritti, che il suo obiettivo polemico non sono i colleghi severi, ma i colleghi convenzionali)
- lo studio dev’essere scoperta e avventura
- incuriosire e trovare il giusto "gancio", per ciascun ragazzo
- insegnante animatore del processo didattico (oggi, con lessico nuovo, diciamo «insegnante allenatore», ma è la stessa cosa già scritta e praticata da Pasolini)
- l’insegnante non deve bamboleggiare, ma deve portare il ragazzo a innalzarsi (per uscire dal mondo, spesso, deprivato e deludente nel quale vive)
- l’insegnante, restando tale, deve però far emergere, in classe, la sua umanità, compresa la sua fragilità quotidiana, di persona di contatto, non distante
- dare un ruolo maggiore alla poesia, proprio perché "inutile", non funzionale cioè ai processi strettamente economico-produttivi
- partire dalla poesia contemporanea, perché più vicina alla sensibilità (e ai linguaggi) degli studenti
- leggere a voce alta, per ascoltare e percepire le parole, il loro fascino, il loro essere vettori delle emozioni
- emozioni, giochi e scoperte linguistiche, leggendo a voce alta
- finalità dell’insegnamento è dar vita al pensiero creativo ...
Nei ricordi di una collega di Pasolini, presso la scuola media di Valvasone, in provincia di Pordenone, Elda Schierano, Pasolini a scuola, per tutti, per gli studenti e per i colleghi, era il "5 P" (Professore, Poeta, Pier Paolo, Pasolini). Anche a noi, uomini e donne di scuola di oggi, piace ricordarlo così, il "5 P", del quale avvertiamo tutto il dramma dell’assenza, nell’intero panorama intellettuale italiano contemporaneo.
* Pugliese, Docente Didattica Lingua Italiane e Informatica per la Letteratura, nonché dantista e divulgatore letterario.