Trifone Gargano e Il 'Dante vivo' di Giovanni Papini

Il concetto di un "Dante vivo", cioè di un Classico vivo e un Autore capace, lo aveva già espresso, nel 1932, Giovanni Papini (1881-1956)

Papini
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Il concetto di un "Dante vivo", cioè di un Classico vivo, di un Dante autore capace, nonostante i secoli di distanza tra lui e chi legge, di dire e di dare ancora qualcosa ai suoi lettori, lo aveva già espresso, nel 1932, Giovanni Papini (1881-1956), intitolando così un suo libro:

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Il tormentato (e vulcanico) Giovanni Papini, infatti, neo-convertitosi al cristianesimo, già nel marzo del 1931, aveva scritto, in una lettera privata a don Giuseppe De Luca (1998-1962), futuro fondatore delle "Edizioni di Storia e Letteratura" e dell’«Archivio Italiano per la Storia della Pietà»,

la vivida intenzione di cimentarsi con una biografia di Dante Alighieri:

"...una vita di Dante quale potrebbe scrivere un artista e un cattolico non c’è, mi pare, e a momenti ho la tentazione di scriverla io"

Ricevendo in risposta, nel giro di pochissimi giorni, da quel raffinato intellettuale romano (ma lucano di nascita), qual era, appunto, don Giuseppe De Luca, amico e corrispondente di intellettuali del calibro di Croce e di Prezzolini (per citarne solo due), di papi come Roncalli e Montini, di politici come Bottai e Togliatti (e Rodano e Ossicini), un vivo incoraggiamento:

 "...il fiorentino, il letterato preso di filosofia, il poeta vulnerato di speranze ultraterrene e nettamente cristiane, il politico intinto d’ideologie grandiose e soggetto alle correnti, non sempre pulite, dell’eresia serpeggiante, l’esule povero e logoro di veste e d’animo, gli ultimi anni tra la Venezia e la Romagna e la sua morte ove morì l’Impero. Il cristiano, laico e teologo, che nel cielo dei dottori è a suo agio... [...]. Il poeta dell’universo, e il maggior padrone e Dio della nostra lingua... Che vuol che le dica, Papini? [...] non sto più nella pelle"

Papini lo avrebbe scritto di getto, e lo avrebbe dato alle stampe un anno dopo, nel 1932, per i tipi della Libreria Editrice Fiorentina, con una curiosa (ma efficace) precisazione ai Lettori:

"Sarà meglio dir subito, a scanso di malintesi e dispiaceri, che questo non è un libro di professore per scolari, né di critico per critici, né di pedante per pedanti, né di un pigro compilatore per uso di pigri lettori. Vuol essere il libro vivo d’un uomo vivo sopra un uomo che dopo la morte non ha mai cessato di vivere. È il libro, innanzi tutto, d’un artista sopra un artista, d’un cattolico sopra un cattolico, d’un fiorentino sopra un fiorentino".

Per precisare, poi, nel corpo del libro che la

«Divina Commedia è solo in apparenza [...] un libro come gli altri. In realtà [...] è un atto, uno strumento di azione, un’opera nel senso originario della parola, cioè un tentativo di cambiare e trasformare la materia: in questo caso l’umana materia [...]. La Commedia, insomma, vorrebbe essere il libro-strumento, il libro-martello, il libro-frusta, il libro-ala, il libro-medicina [...]».

Per aggiungere, subito dopo, che Dante sia da intendere e da leggere non soltanto come

«uno scrittore, un filosofo, un moralista, ma un demiurgo»

[G. Papini, Dante vivo, Libreria Editrice Fiorentina, 1932, pp. 359-362].

Con Giovanni Papini, don Giuseppe De Luca, nel 1941, avrebbe dato alle stampe una poderosa (e preziosa) antologia di scritti cattolici, dalle origini al secolo XIX:

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Nella Introduzione a questa antologia, De Luca avrebbe tracciato, con uno stile di scrittura fulminante, arguto e profetico, una contro-storia della lingua e della letteratura italiane, sottolineando, in polemica con la vulgata geo-storica della cultura laica (e anti-cattolica), l’importanza di Autori e Opere cattoliche, nella costruzione della identità della lingua volgare italiana e della letteratura, cioè nella definizione di quel canone che avrebbe generato, dalle origini fino a oggi, l’identità stessa italiana, intorno a una lingua e a una letteratura, cioè a una visione del mondo e dell’uomo. De Luca, nella Introduzione, non risparmia sorprendenti giudizi severi su scrittori e intellettuali come Manzoni e Petrarca, celebratissimi, anche in sede cattolica, come identitari e della nazione italiana e della fede cattolica, ma che, per don De Luca, invece, peccarono, entrambi, e per diverse ragioni, di ignavia.

Come pure la sottolineatura sulla poeticità di prose d’uso (per usare un’espressione contemporanea, riguardante gli scritti d’uso quotidiano):

"Affermiamo risolutamente [...] che vi possono essere prose ispirate da fini pratici, pedagogici, apostolici, eppur tuttavia prose d’arte e d’arte vera".

Per rivendicare, con orgoglio di sacerdote e di intellettuale, che la

"prosa italiana nasce in prevalenza dal latino di Chiesa; da quel latino che [...] era divenuto la lingua delle due città, dei due imperi, dell’aquila e della Croce, della lupa e dell’agnello",

con l’esortazione a entrare in chiesa:

"bisogna, alla fine, decidersi ad entrare nella chiesa, la quale, almeno in Italia, non è soltanto la casa di Dio, ma anche la casa più bella degli uomini in mezzo alle città".

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Per aggiungere anche riflessioni e considerazioni di natura epistemologica sul concetto di fare antologia, cioè di allestire un manuale a uso delle scuole, con fini e scopi didattici, con la lamentela (tutta nostrana) sul rischio di monumentalizzare gli Autori, e non promuoverne, invece, per davvero, la lettura:

"La tradizione antologica italiana resta ancora, per questo verso, agli esempi di bello scrivere: dà brani vestiti e coperti e fa degli scrittori altrettanti monumenti sulle piazze"

Rinvio ad altro momento uno studio sistematico su questo libro, scritto a quattro mani da Giovanni Papini e don Giuseppe De Luca, Prose di cattolici italiani d’ogni secolo, SEI, 1941.

Ringrazio Antonio Coronato, per le informazioni fornitemi su don De Luca e sui suoi scritti danteschi. Colgo l’occasione per ringraziare le civiche amministrazioni di Sasso di Castalda e di Brienza, per l’invito al convegno di presentazione del recentissimo e prezioso volume di Giovanni Antonazzi, ma con la curatela di Paolo Vian, per le Edizioni di Storia e Letteratura, Ai confini del regno. Vita di don Giuseppe De Luca attraverso le lettere, Roma 2021, durante il quale ho avuto l’occasione di approfondire la conoscenza del pensiero e dell’opera di questo intellettuale italiano, attraverso le relazioni di studiosi come Marco Roncalli, Gaetano Lo Russo, Paolo Vian, Antonio Coronato, Giampaolo D’Andrea.

Segnalo, infine, un recente studio sulla figura e sull’opera di don Giuseppe De Luca, a firma di Gaetano Lo Russo, La tonaca e la penna, Telemaco Edizioni 2019 (con Prefazione di Maria Rosanna De Gasperi):