Quirinale, le beghe dei partiti rischiano di “bruciare” Draghi mandando...

Processo di cambiamento a Palazzo Chigi, con possibile destabilizzazione dell’attuale maggioranza di governo

Di Massimo Falcioni
Mario Draghi
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La bonaccia nel governo finirà, innestando ondate che possono produrre uno tsunami politico, anche restando Draghi premier

 

Pure in un Paese come l’Italia dove i partiti sono capaci di tutto pur di sopravvivere, dopo l’elezione del presidente della Repubblica, il quadro politico difficilmente resterà quello di prima. Se non si arriverà unitariamente, con bandiere e fanfare, all’elezione del nuovo inquilino del Colle, (e a dieci giorni dall’inizio del voto fra i partiti soffiano venti di guerra) comunque la bonaccia nel governo finirà, innestando ondate che possono produrre uno tsunami politico, anche restando Draghi premier.   

Ancora alla vigilia del voto sul nuovo capo dello Stato sono proprio quelli che nei partiti e sui media dicono di voler rispettare Mattarella che proprio non lo rispettano insistendo sul bis dell’attuale inquilino del Colle, palesemente una forzatura, dato la propria ribadita indisponibilità.

Tale forzatura, evidentemente, non è tanto o non è solo basata sulla presa d’atto delle qualità dimostrate da Mattarella nei suoi sette anni al Quirinale quale custode attivo degli equilibri tra istituzioni e sistema politico quanto, soprattutto, dovuta a calcoli politici, a interessi di parte riguardanti i singoli parlamentari, i singoli partiti e le rispettive leadership a tutti i livelli, nonché forze imprenditoriali e sociali, nazionali e internazionali, tutt’altro che disinteressate all’evoluzione del quadro politico-istituzionale, tutt’altro che super partes.  

In particolare, come noto, l’uscita di scena di Mattarella può portare all’unico sbocco credibile: Draghi al  Colle. Ciò innesca inevitabilmente un processo di cambiamento a Palazzo Chigi, con possibile destabilizzazione dell’attuale maggioranza di governo di “emergenza” e conseguenti elezioni politiche anticipate ben prima del 2023. Elezioni che tutti i partiti, meno FdI oggi all’opposizione, temono più della pandemia.

Elezioni che potrebbero costar caro, in termini di voti e quindi di prospettive sulla formula di un governo del “dopo Draghi”,  soprattutto al centro-sinistra (in particolare al M5S ma anche al Pd), ma pure alla Lega, oltre che rendere palese la crisi del rapporto fra elettori e sistema politico-istituzionale, con un probabile astensionismo record dovuto anche agli strascichi non solo sanitari della pandemia.

Insomma, uno tsunami per la politica. In tale eventualità di ulteriore fragilità del quadro politico, e sul Colle con un personaggio dalle qualità e dalle caratteristiche di Draghi, il Presidente, inevitabilmente, assumerebbe il ruolo di “commissario” di fatto, anche di un nuovo esecutivo, con un premier longa manus del capo dello Stato. Se la priorità è data dall’elezione del presidente della Repubblica, non ci sono oggi sul tavolo le carte per fare in Parlamento il pieno di voti al di fuori di Draghi.

Poi, solo poi, si ripropone la questione-governo. Da qualche parte si deve pur ripartire e non c’è altra via se non quella di farlo dall’alto del Colle. Se poi la legislatura non arriva al 2023 si vedrà. Chi teme le urne non può continuare nel gioco delle tre carte, nascondendosi all’ombra di Draghi premier insostituibile.

Continuando la manfrina fra i partiti e nei partiti, il rischio non è quello di Berlusconi presidente della Repubblica (presto sarà lo stesso Cavaliere a fare dietrofront ergendosi a “salvatore della patria” ) ma quello di “bruciare” Draghi, comunque: fuori dal Colle e ostaggio dei partiti a Palazzo Chigi. In quel caso Draghi saluterebbe la compagnia lasciando gli italiani in braghe di tela e il Paese nel “cul de sac”.