Giustizia, i Tribunali di Sorveglianza implodono. L'impotenza dei giudici

Il caso. Da sempre sottorganico, i Tribunali non riescono a contribuire alla rieducazione. Negati colloqui di lavoro e funerali di famiglia

Roma

Detenuti ai domiciliari o affidati ai Servizi Sociali: se il Tribunale di Sorveglianza implode, negati i permessi per colloqui di lavoro o persino la partecipazione a funerali di familiari. E così la "Rieducazione" prevista dalla Costituzione resta pura teoria.

Oggi scelgo di inserirmi anche io nel novero di tutti quelli che per i motivi più diversi si stracciano le vesti per difendere la “Costituzione più bella del mondo” dagli attacchi più o meno reali e lo faccio relativamente ad uno degli articoli “scomodi” ma che segnano in maniera profonda la direzione che i Padri Costituenti scelsero di dare, non solo alla Carta, ma al Paese che usciva da un periodo buio dopo il quale la criminalità e la delinquenza erano dilaganti.

Cosa dice la Costituzione Italiana

“Le pene – si legge all’art. 27 della nostra Costituzione – devono tendere alla rieducazione del condannato”. Con queste parole i legislatori dell’epoca hanno inteso esplicitare, senza possibilità di replica, che non esistono criminali che nascono tali e che, per questo, devono morire tali. Anzi, è preciso dovere dello Stato occuparsi della loro rieducazione e del loro reinserimento ed è per adempiere a questo dovere che esistono le pene alternative alla detenzione e Tribunali di Sorveglianza.

La scarsità di organici impedisce ai giudici l'esame delle richiesta

Helene Pacitto
 

Come spesso succede in Italia sulla teoria siamo fortissimi, ma cosa accade nella pratica? Accade che i Tribunali di Sorveglianza denunciano uno stato di sottorganico cronico che impedisce ai giudici di esaminare le istanze e le richieste di pene alternative e di permessi che restano mesi nei cassetti a prendere polvere. Succede che chi si trova in affidamento in prova ai Servizi Sociali, in detenzione domiciliare o in qualsivoglia misura diversa dal carcere non riesca a dare l’ultimo saluto alla propria madre morente, a partecipare al funerale di un proprio caro, a condividere momenti di vita preziosi e irripetibili dei propri figli, a cambiare il proprio domicilio nel periodo estivo per restare accanto alla propria famiglia e ai propri bambini, ma anche e soprattutto a svolgere un colloquio di lavoro o a rispondere alla chiamata di un ufficio di collocamento; ricordiamoci che è proprio il lavoro che permette ad una persona di cambiare e vivere nei binari della legalità.

Le pene alternative diventano una prigione senza sbarre

Succede che allora il compito rieducativo delle pene alternative assomiglia più ad un carcere senza sbarre che, dando l’illusione di una vita diversa a portata di mano, impedisce di fatto a questi particolari detenuti la possibilità di viverla quella vita, di coltivare affetti e relazioni, di prendersi cura di sé, di cercare e trovare un lavoro che consenta di fare un passo, anche piccolo, verso quella vita giusta, di immaginare se stesso e i propri cari in una condizione diversa da quella che lo ha portato a delinquere e che, inevitabilmente, rischia di aspettarlo nuovamente al di là di questa prigione alternativa.E se siamo abituati ad imputare i ritardi della giustizia o i casi di errori giudiziari a giudici e procuratori, in questo caso la situazione è molto diversa. È la burocrazia ad impedire ai magistrati di sorveglianza di svolgere un lavoro che loro stessi sanno essere estremamente importante nel percorso rieducativo dei detenuti. Il decentramento delle funzioni degli uffici che ha convogliato tutte le istanze agli operatori di cancelleria, che sono sottorganico, l’esclusione dei Tribunali di Sorveglianza dai fondi PNRR che ha creato una situazione di stallo ormai insostenibile, le cui conseguenze impattano in maniera devastante sulle vite di chi aspetta un’autorizzazione.

Le Cancellerie non riescono ad iscrivere a registro le istanze dei "detenuti"

I giudici di sorveglianza, che avrebbero il preciso compito di guidare il reinserimento nella società civile, non sono più in grado di svolgere il loro compito dato che sempre più spesso le Cancellerie non riescono neppure ad iscrivere a registro le istanze presentate. E come può un magistrato di sorveglianza lavorare affinché i detenuti scelgano la via della legalità e una nuova vita se gli viene persino negata la facoltà di esaminare le richieste? I Tribunali di Sorveglianza sono il vero ponte tra la detenzione e la vita al di là delle sbarre, l’unico istituto che consente realmente di perseguire la finalità rieducativa della pena. Un ponte a cui gli interventi politici, economici e amministrativi, intrapresi in questi anni, rischiano di erodere le sue arcate in modo irrimediabile fino a far crollare l’intero impianto, portando con sé tutti coloro che lo stanno attraversando.

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma costretto a indicare le "priorità"

A questo stato di sostanziale abbandono dei Tribunali di Sorveglianza ha provato a mettere un punto il neo presidente del Tribunale di Roma, la dottoressa Marina Finiti, che in una circolare ha indicato alla sua Cancelleria una lista di motivazioni prioritarie attraverso la quale smistare le numerosissime richieste che arrivano ogni giorno. Un’autodenuncia in cui si legge tutta la frustrazione di chi crede molto nel ruolo sociale che svolge ma che è costretto ad alzare bandiera bianca di fronte all’impossibilità di svolgerlo nel modo giusto.

Un’ammissione di responsabilità in cui si percepisce tutta l’impotenza di chi conosce bene il valore di ogni singola richiesta ma è costretto a stilare una classifica, stabilendo dei criteri di priorità, sapendo già che le istanze che non rispondono a quei criteri finiranno in un archivio destinato a restare chiuso per mesi. Una situazione di sconforto e frustrazione per tutti gli avvocati che non sanno neanche più cosa raccontare ai propri assistiti e che loro stessi per la loro professione si sentono davvero disarmati.

I doveri dello Stato

Lo Stato deve urgentemente supportare i Tribunali di Sorveglianza, aumentare il personale degli uffici e delle cancellerie affinché i giudici possano finalmente lavorare con tranquillità tutte le istanze che vengono presentate mettendo in atto quei percorsi riabilitativi che sono vitali per chi decide di percorrere la via della legalità.

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