Parchi e agricoltura, insieme si può: il libro di Gubbiotti smentisce l'impossibile coesistenza

Con Zootecnia&Parchi di Maurizio Gubbiotti smentiti i falsi miti dell'incompatibilità tra le aree protette e l'economia della terra. Da leggere

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Roma

Con “Zootecnia&Parchi”, “Costruire un futuro di sostenibilità ambientale e sociale per un nuovo rapporto tra persone, natura e animali”, edito da Point Veterinaire Italie, a partire dalla sua formazione professionale e dal suo ultimo impegno di dieci anni come Presidente di un sistema di parchi, Maurizio Gubbiotti ha cercato di declinare temi molto attuali attraverso un binomio non sempre così scontato.

A monte la convinzione che i parchi oggi oltre alla mission della conservazione e della protezione della natura debbano raccogliere anche le sfide sociali, come il contribuire a un rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso uno sviluppo sostenibile locale e a una migliore qualità della vita.

I parchi sono luoghi di produzione

Da qui la volontà di declinare le sostenibilità ambientali e sociali anche attraverso i parchi come luoghi di produzione, ricerca ed esercizio delle attività e delle professionalità, perché proprio parchi e riserve possono essere, ora più che mai, ne è convinto l’autore, titolati a proporsi come modello di sviluppo per l’intero territorio. La politica di conservazione delle aree protette va integrata, afferma Gubbiotti, anche con le attività che da tempo rappresentano un valore aggiunto per le aree protette come le pratiche agricole e zootecniche. Anche i parchi a loro volta devono rappresentare però un valore aggiunto nei confronti di zootecnia e agricoltura, divenendo laboratori per politiche di sostenibilità, gestione del territorio e cosi via, per quei territori più marginali, aree interne, collinari, e da lì per l’intero territorio nazionale. Rusticità, sistemi di produzione rispettosi per l’ambiente ed equilibrio degli ecosistemi sono oggi temi di fortissima attualità, che si concretizzano in allevamenti ecosostenibili collinari, spesso presenti all’interno dei parchi naturali. Il libro mostra un settore zootecnico che si è evoluto in modo parallelo ad un processo di produzione ecosostenibile ed ecocompatibile, integrandosi spesso perfettamente nei nuovi disciplinari e nelle pratiche “biologiche”.

La difesa e la gestione del territorio, i sistemi di produzione nella zootecnia sostenibile sono oggi una realtà economicamente valida e in netta ascesa con un incremento del consumo di carni di qualità e una conseguente rivalutazione delle razze rustiche che, prestandosi maggiormente a un’alimentazione al pascolo, presentano una carne di notevole interesse qualitativo. Dopo la nuova pandemia che ci ha colpito, scrive Gubbiotti, credo che tutti abbiano compreso che per affrontare virus come Sars-CoV-2, da cui ha avuto origine il Covid-19 che ha costretto alla quarantena il pianeta, le politiche di contenimento non bastano e abbiamo l’obbligo di “utilizzare” quest’ultima emergenza per provare a raggiungere la radice del problema, legata al rapporto squilibrato fra l’invasività delle attività e dei consumi dell’uomo e l’ambiente che lo circonda, e questa è l’unica strada da percorrere per impedire in futuro un nuovo “salto di specie” come quello del pipistrello. Dobbiamo guardare alla salute come a un sistema che interagisce con gli altri sistemi del pianeta, comprese le sue componenti inanimate.

Lo studio delle aziende inserite nei parchi

Nel libro prendendo ispirazione da uno studio realizzato presso diverse aziende presenti in molti parchi italiani e partendo dai tanti elementi riscontrati sul campo, l’autore ha inteso mostrare opportunità di futuro importanti non solo per i parchi, l’allevamento, la zootecnia, ma per l’intero Paese e soprattutto per il nostro patrimonio naturale e produttivo. Ha focalizzato l’attenzione sulle attività di produzione animale presenti nelle aree protette italiane alle quali, istituzionalmente, spetta la salvaguardia degli ambienti naturali e la valutazione dell’impatto che le attività umane esercitano sugli stessi, con la volontà di arricchire i pochissimi dati ufficiali relativi alle produzioni animali e al loro ruolo nella gestione delle risorse naturali all’interno delle aree protette italiane. Con la convinzione appunto che l’allevamento animale e l’agricoltura, ben integrati negli ambienti naturali, contribuiscano in modo determinante alla conservazione, alla valorizzazione e al recupero della fauna e della flora selvatiche.

La biodiversità è un enorme capitale naturale

E’ un invito a misurarsi con la centralità che l’enorme capitale naturale del quale disponiamo dovrebbe avere, e con quanto è fondamentale difendere la biodiversità,

animale, vegetale e zootecnica. Pensando che dentro un nuovo e innovativo protagonismo del mondo dei parchi, si legge nel libro, si possa e si debba valorizzare e rilanciare anche il mondo della medicina veterinaria capace di spaziare dalla fauna selvatica, ai tanti animali di allevamento. Dall’etologia al benessere animale, alla qualità del cibo, una veterinaria protagonista delle politiche innovative dei parchi sul fronte della gestione della fauna selvatica, nella dieta dell’animale da allevamento, e quindi della qualità dell’alimento finale.

Il valore della zootecnia nel contenimento delle emissioni dei gas

D’altra parte il quantitativo di emissioni di gas climalteranti in atmosfera è da troppo tempo

inaccettabile e insostenibile, ed è provato che la zootecnia sostenibile può dare il suo contributo nella battaglia globale per contenere l’impatto del cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni. Tra le misure più efficaci per la mitigazione, che nel libro vengono illustrate, ci sono il miglioramento della dieta e dell’alimentazione dell’animale, la cura per il benessere, l’uso delle deiezioni zootecniche per produrre energia rinnovabile, la gestione dei reflui zootecnici per la fertilizzazione di campi. Ed esiste anche un ruolo chiave svolto dal miglioramento delle prestazioni produttive per ridurre l’intensità di emissione. Serve una drastica riduzione del carbon footprint, impronta di carbonio della carne prodotta, calcolata a partire da una serie di dati raccolti quali la superficie aziendale, gli animali allevati, le colture, l’alimentazione e il tipo di allevamento, includendo i gas ad effetto serra emessi sia nell’ambito dell’allevamento, sia per produrre i mangimi acquistati, i fertilizzanti, le sementi, i fitofarmaci, i combustibili e l’energia elettrica. Non stiamo parlando solo di buone pratiche ma di quello che saranno o dovrebbero essere la zootecnia e i parchi del futuro, ma anche la medicina umana e la medicina veterinaria del futuro con la filosofia One Health. Oggi le soluzioni a disposizione sono molte, si afferma, e vertono ad esempio sulla necessità di operare sulla scelta genetica dei riproduttori delle razze autoctone per ripristinarne il pool genico, incoraggiare programmi comuni (Stato, Regioni, Enti territoriali) per la conservazione sostenibile in situ (nel sistema produttivo tradizionale). Serve un approccio concreto che eviti di perdere definitivamente dei genotipi irripetibili valorizzando il legame razza/ambiente, la resistenza alle patologie endemiche e le capacità di fornire prodotti migliori per il contenuto in molecole bioattive.

La tutela del germoplasma animale autoctono rientra a pieno titolo nelle finalità e negli obiettivi di conservazione delle aree protette italiane, del resto, e l’allevamento di queste razze si configura anche come la migliore e più economica attività per il recupero delle aree marginali che, per sottrarsi alla competizione con le zone più produttive, dovranno puntare ai medesimi strumenti e obiettivi previsti per la zootecnia praticata già nei parchi. Il ricorso cioè a tecniche moderne di pascolamento o a forme di allevamento estensive con bassi impieghi di manodopera e all’utilizzo di razze autoctone, caratterizzate da bassa produttività ma elevata adattabilità all’ambiente di origine e in grado di fornire prodotti tipici e di qualità.

Le storie di chi è riuscito a coniugare gli interessi

Nel libro viene dato molto spazio poi alle storie delle aziende visitate per la stesura del testo, dimostrando che tutto questo non è solo la giusta direzione, ma spesso è già realtà. In nessuna di loro si riscontra il problema dello smaltimento del letame o del liquame, a dimostrazione che la chiusura del cerchio nel campo dello smaltimento dei rifiuti e possibile. Le aziende nei parchi quasi sempre hanno allevamenti, attività zootecniche, unite all’attività agricola, con un ricongiungimento fondamentale, con una zootecnia più estensiva, più legata ai territori, alla qualità e anche al benessere animale. Lo stesso rapporto tra zootecnia, fauna selvatica e predazioni riscontra casi di maggiore positività se non dei casi di vera e propria eccellenza, proprio quando si è in un’area parco, stesso luogo dove la fauna selvatica trova l’habitat più naturale. La diffusione di alcune patologie e quindi a loro volta l’utilizzo della farmacologia e della stessa profilassi, sono affrontate in modo molto interessante e ad esempio tutte le analisi effettuate, hanno mostrato molto presente l’elemento di “tranquillità sanitaria”. Una situazione dove l’animale sta meglio sia dal punto di vista del proprio benessere, sia dal punto di vista sanitario, e dove gli interventi da parte delle strutture sanitarie sono sicuramente ridotti.

Le criticità infine, interessano soprattutto gli elementi di vincolo del parco rispetto alle attività di allevamento e coltivazione legate soprattutto alle aziende, che intendono investire in modo costante dal punto di vista anche di una maggiore efficienza e della diversificazione dell’azienda, e il bisogno di maggiori strumenti di valorizzazione e promozione per i prodotti dei Parchi, mentre sul fronte sanitario una maggiore attenzione ai trattamenti.