Smeriglio, la famiglia full metal master: l'adolescenza esorcizzata su carta
L'ultimo romanzo di Massimiliano Smeriglio raccontato da Andrea Catarci, un viaggio nella dura verità: “Mio padre non mi ha insegnato niente”
L’ultimo romanzo di Massimiliano Smeriglio, edito da edizioni Fuori Scena, è molto più di un racconto autobiografico e di un memoriale: le vicende personali, “in gran parte vere per non dire che lo sono per intero”, si mischiano con un affresco efficace e profondo della propria città in un’ottica neorealista.
Ma è una spietata esposizione pubblica dei sentimenti, che non lascia spazio alla reticenza ed evita di inciampare in quei luoghi comuni che imporrebbero di addolcire le realtà “scorrette” o di non nominarle. Diventato Emme, in omaggio a un concetto integrale di verità, l’autore non si fa sconti né decide di farne ai suoi mondi e ai suoi familiari e dà alle stampe un libro marcatamente introspettivo, in cui l'osservazione dei fatti di coscienza viene compiuta dal soggetto mediante la registrazione autonoma delle proprie esperienze.
Ben 176 pagine di estrema durezza
Fin dal titolo, "Mio padre non mi ha insegnato niente", si affaccia la durezza con cui saranno passate in rassegna, nelle seguenti 176 pagine scritte in stile asciutto, scorrevole e pieno di riferimenti letterari e descrizioni dal forte impatto emotivo e comunicativo, molte delle condizioni umane che nell’arco di una vita può capitare di attraversare. Il padre gli ha suscitato prima una ricerca spasmodica di contatto e affetto non ricambiati, né nella simbologia delle lezioni di guida negate né nella sfera più profonda dell’anima, poi un incrocio di rifiuto, rabbia, rancore e odio. Per la madre il discorso cambia di poco: sopperisce all’assenza e alle fughe dell’altro genitore con una presenza unicamente fisica, aggressiva e incapace di affetto e protezione.
Quando i figli sono vittime designate
Sacrifica il corpo dedicandosi alle fatiche prostranti dei lavori più umili e restando votata al martirio fino alla fine, senza riuscire a liberarsi mai dalle catene dell’obbedienza e dalla coazione a ripetere; trova ristoro solo nel fumo e resta schiava eterna di un rapporto diseguale, di cui i figli sono vittime designate. Anche per lei c’è una dose abbondante di rabbia e rancore; come rabbia, rancore e odio traspare per i nonni paterni, ostili nelle convinzioni bigotte e fasciste, cattivi fin da prima della nascita, quando spingevano per assecondare le paure di due giovani non in grado di confrontarsi con le responsabilità della genitorialità e per risolvere il tutto con un aborto clandestino; e, ancora, trasuda rabbia e odio per le memorie nitide delle violenze quotidiane consumate sotto il tetto coniugale, botte, urla, minacce e dispotismi vari dei pater familias condivisi tra donne nel quartiere e testimoniati da lividi, occhi tumefatti, tremarelle e repentine risalite alle abitazioni. Le uniche figure di riferimento sono i nonni materni, con la loro presenza forte e costante, che lo accudiscono fin da neonato, stelle polari della crescita: lei “la porta a cui bussare, sempre la stessa” e lui, facchino all’Ostiense, che “è stato il corrimano a cui mi sono aggrappato per non venire spazzato via dalla potenza inerziale degli eventi”.
Nella case non c'è perdono nè amnistia
Per le famiglie d’origine non fa capolino nessuna amnistia e perdono; prende forma gradualmente il distacco, in una rassegnata e potente indifferenza rafforzata da episodi, scelte e motivazioni conosciuti in età adulta: è il trampolino di lancio per riscatto, realizzato tramite le potenti leve dell’impegno politica, dell’amore verso la famiglia che ha scelto di formare con la moglie Francesca e i tre figli, dello studio, delle esperienze multiple di lavoro, della lettura e della scrittura dopo che “da bambino nessuno mi ha mai regalato un libro”. A completare l’esplorazione interiore resta il rammarico e la delusione per aver abbandonato presto le sorelle a confrontarsi con le ombre del sangue che le ha generate; a loro, arrivate dopo, Emme indirizza le sue scuse appassionate, per la guida e il conforto che da fratello maggiore avrebbe dovuto dare e di cui non è stato capace.
L'infanzia nella Garbatalla degli Anni '70
L’intensità del vissuto privato e l’intreccio intimo di emozioni contrastanti è tanta parte del romanzo di Massimiliano Smeriglio ma non è tutto. C’è uno spaccato sociale di infanzia e preadolescenza nella Roma degli anni ‘70, vista dal guscio vitale e impetuoso di Garbatella e dalle sabbie nere ingurgitate all’Idroscalo di Ostia, tra sobrietà e dignità a fare da contraltare a miserie economiche e valoriali, lotta di classe e Mercati Generali, Resistenza, eccidio delle Fosse Ardeatine e assassinio di Valerio Verbano per mano neofascista, gerarchie patriarcali e normalità omofoba, froci e tossici, osterie e bar, cultura popolare, dialetto e canzone romanesca.
Ci sono le difficoltà a vivere serenamente le mura domestiche che esplodono in chiusure, timori, incapacità e abitudini bollate come stranezze, come l’incanto e il trasporto per televisione e pubblicità. C’è il calcio giocato in campetti irregolari e improvvisati insieme a quello tifato nella fede per la Roma. Ci sono le mamme del quartiere che si occupano dell’intero gruppo e hanno un occhio e un incoraggiamento per ognuno. C’è Padre Guido e il suo oratorio, con le regole rigide da rispettare e l’affetto smisurato indispensabile nell’impresa di salvare vite complicate fin dalla giovane età. Ci sono la strada in cui non si guarda in faccia nessuno, la sopravvivenza e gli espedienti con annesse angherie, prepotenze e prevaricazioni esercitate su chi è più debole.
L'Itis Francesco Severi e il rapporto con l'esistenza
C’è l’adolescenza e la post-adolescenza in cui sopravviene la perdita di orientamento e la conseguente ripresa, tra l’amore per il cagnolino perduto e i primi approcci con le ragazze in un iniziale sesso acerbo e primitivo, foriero di dubbi sulla mascolinità. C’è la cesura con il mondo di provenienza, nell’impatto della scuola superiore, quell’Itis “Francesco Severi” di Tormarancia dove gli stimoli e gli incontri portano a un differente approccio all’esistenza: qui si fortifica il carattere e scopre la politica come militanza, sfogo taumaturgico dalle incomprensioni intorno, luogo di confronto e scontro in cui la violenza da cui sfuggiva dentro casa quando gli veniva inflitta con le mani e le cucchiarelle arriva persino ad acquistare una logica, sia nell’antifascismo consapevole che nella riappropriazione di diritti, come quello alla musica dei grandi concerti. Un giorno lontano la politica sarà lavoro e professione ma un pensiero del genere non può nemmeno sfiorare l’Emme di allora!
La verità: "Si può essere branco senza diventare iene”
Ci sono, infine, gli inseparabili amici di sangue del lotto legati da vincoli inossidabili, testimonianza del fatto che “si può essere branco senza diventare iene”, che accompagnano l’intero cammino, dalla resistenza nella prima vita da comprimario al riscatto e alle successive stagioni da protagonista: perché Massimiliano Smeriglio, per le comunità politiche che ha attraversato nella sinistra autonoma, antagonista e libertaria prima e poi in Rifondazione Comunista, Sinistra Ecologia Libertà e in varie esperienze civiche, per una schiera di compagne e compagni venuti dopo è diventato uno degli “indispensabili”, come Stefanino che a suon di gol trascinava la squadra in cima alla classifica.
Tutti insieme, vecchie e nuove compagnerie, amici di sangue e incontrati strada facendo, si preparano a sostenerlo alle elezioni europee del prossimo giugno, in cui Massimiliano Smeriglio si candida con l’Alleanza Verdi e Sinistra con il consueto spirito combattivo e la solita ricerca di connessione con i mondi popolari di provenienza, alternando l’impegno per un’Europa della pace e del disarmo e l’opposizione intransigente a sovranismi e neofascismi di ritorno alle presentazioni della sua fatica letteraria, da leggere d’un fiato anche per darsi un motivo per recarsi alle urne e scrivere un nome e un cognome sulla scheda.
Andrea Catarci, Assessore al Personale
e al Decentramento di Roma Capitale