Juventus, Fagioli: "Scommettevo per noia. Dipendenza? Non smetto di combatterla"

l centrocampista di Juventus e Nazionale racconta i mesi della squalifica e la dipendenza dalle scommesse. "Penso ora che il gioco sia una cosa da sfigati"

di Redazione
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Nicolò Fagioli (foto Lapresse)
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Juventus, Fagioli: "Scommettevo per noia, il gioco mi aveva divorato la vita"

La squalifica alle spalle, il ritorno in campo con la maglia della Juventus  e poi anche la chiamata di Spalletti, tra i 30 giocatori da cui uscirà la lista dei convocati per l’Europeo: Nicolò Fagioli sta tornando alla normalità dopo i mesi lontani dal calcio giocato e in un’intervista alla Gazzetta dello Sport parla dell’abisso in cui era sprofondato a causa del vizio del gioco. “Mi aveva divorato la vita, era diventato un assillo, un incubo”.

"Quando sono scoppiato a piangere, nella partita con il Sassuolo, non era solo per aver messo in difficoltà la mia squadra, ma perché in quel momento è scesa una cappa nera, tutto mi sembrava negativo, tutto scuro. Avevo sbagliato un pallone, ma il mio errore più grande era dentro di me. Il problema è che non ero più padrone di me stesso. Il gioco mi aveva divorato la vita, era diventato un assillo, un incubo", racconta il centrocampista della Juventus. "Lo so che sono un ragazzo fortunato, che ci sono miei coetanei in condizioni più drammatiche della mia, che non ho titolo per invocare comprensione. Ma non voglio neanche essere ipocrita. Sono stato inghiottito da un vuoto che non guarda in faccia nessuno, che non distingue per classe sociale, non premia né assolve in base al talento. Mi sentivo soffocare ma non trovavo il modo di venirne fuori".

"È cominciato tutto come un gioco. Scommettevo, tanto, ma non sulla mia squadra o su di me. Non volevo violare dei principi ai quali credo. So che sembra grottesco che io usi questa parola, ma per me è importante. Pensavo che giocare al calcio e alle scommesse, se le due rette non si incrociavano, non fosse grave. Non ho fatto male allo sport, non ho condizionato risultati o leso diritti di altri", le parole di Nicolò Fagioli alla Gazzetta.

"Quando finiscono le 4-5 ore di allenamento, ti si spalanca il vuoto. Se non hai altri interessi, quell’abisso ti attira. Io mi annoiavo, sembra assurdo ma è così. Il successo non è un’armatura che resiste alla solitudine, non ti consente, come una corazza, di far rimbalzare le coltellate del tempo vuoto. Pensi a quanti attori, scrittori, musicisti sono precipitati in dipendenze ancora più letali. La noia mi ha rovinato la vita. E poi ogni problema, anche il più stupido come un litigio o una partita sbagliata, dovevo compensarlo con le scariche di adrenalina che mi dava il gioco. Ogni volta che usavo quel male detto cellulare, ogni giorno e tante volte al giorno, mi sentivo come se fossi in campo. Non ne ho mai parlato con nessuno perché mi vergognavo. Ho perso completamente il controllo di me stesso nel gennaio 2023. Giocavo male, mi allenavo peggio. La testa era altrove. Mi faceva schifo quello che stavo vivendo, ma non potevo farne a meno. Il centro della mia vita erano le scommesse, non più il calcio. Mi sentivo capovolto. Se sbagliavo un passaggio, mi dicevo che la colpa era di quell’ossessione", ha spiegato alla Gazzetta dello Sport.

Juventus, Fagioli: "La dipendenza? Non smetto di combatterla. Ora la domino"

Nicolò Fagioli racconta: "Quando si può sconfiggere la dipendenza? Non lo so, forse mai. So che io non ho smesso e non smetto di combatterla. Sarei un bugiardo se dicessi che non riaffiora, che non fa sentire ogni tanto il suo canto seducente. Ma ora lo domino pensando semplicemente a quanto male mi ha fatto. E so che non esiste “lo faccio una volta sola” perché quella biscia ti avvinghia e non ti molla più. Penso ora che il gioco sia una cosa da sfigati", ha detto Fagioli.

Nicolò Fagioli e il sogno di Euro 2024 con l'Italia di Spalletti

Ora il campione di Juventus e Nazionale italiana guarda al futuro: “Avevo una gran voglia di rivincita. Più su me stesso che sugli altri. Dal giorno dopo la squalifica ho cominciato ad allenarmi. Sono stati sette mesi di agonia, contavo i giorni. La mia vita è qui, su questi campi verdi, a vincere o perdere in ragione del talento mio e della mia squadra, non a buttare le giornate e centinaia di migliaia di euro, tanto ho perso, rovinandomi e sentendomi in colpa". E chissà che nel futuro più immediato non ci sia già la Nazionale. “Non mi aspettavo la convocazione di Spalletti, ma ci speravo. Ora voglio dare la vita per essere nella lista per l’Europeo. Se non dovessi riuscirci, tiferò per gli azzurri”.