Morto Claudio Garella, addio al portiere simbolo del calcio che non c'è più

Tra i portieri della "generazione Billy" simbolo di un'Italia che non c'è più, Garella, soprannominato Garellik insegnò gli italiani a inseguire i propri sogni

Claudio Garella
Sport
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Claudio Garella, morto a 67 anni il mitico portieri di Napoli e Verona che insegnò agli italiani che i sogni possono avverarsi per tutti

La morte di Claudio Garella, storico portiere anni ‘80 e mitico personaggio numero 1 nelle squadre di Napoli e prima Verona scudettate, mi fa venire in mente una domenica pomeriggio ceranese. Le domeniche pomeriggio ceranesi sono sempre state o troppo fredde o troppo calde, ma c'era sempre un pizzico di speranza di uscire dal borgo e tornare vincitore e campione.

Garella rappresentava, anche se nato in una grande città come Torino, l'esempio della provincia sana anni ’80, quella del “voglio perché posso” e non con troppi salamelecchi o giri di parole, ma con concretezza! “Ho parato anche con il culo”, sarebbe il titolo più azzeccato per una sua autobiografia o biografia perché lui parava tutto e con tutti. Ma specialmente con la Juventus, e questo me lo rendeva simpatico. Mi faceva tornare bambino ogni volta che sentivo il suo nome e ricordavo le mitiche domeniche a giocare al campo Bellotti di Cerano con ragazzi scarsi come me ma che si atteggiavano a Pelè…

In porta non voleva andare nessuno e io ci andavo con molto piacere perché non far fare goal a dei piccoli esaltati esibizionisti non aveva prezzo e non badavo alla tecnica o classe, ma a non dare gioia e quei brutti stronzi. Il giorno che me lo trovai davanti con tutta la sua mole e altezza e naso da direttore sportivo di una piccola società torinese mi sentì in paradiso. Un uomo di poche parole e molti fatti che resterà nei cuori di tutti gli amanti del vero calcio, quello senza veline e letterine senza troppi tatuaggi ma tantissimi momenti da condividere.

La mia generazione Billy, "dal succo di frutta più popolare tra i ragazzi anni ‘80”, non dimentica quei pomeriggi infiniti a cercare di addomesticare un pallone e a sognare una bibita fresca dopo l'enorme sudata dove il grasso non era nemmeno contemplato nei nostri fisici sottili come un giunco. Si badi bene che qualche fenomeno e sentore dello schifo attuale c'era già, ma in quegli anni i genitori erano figure che vedevi solo durante i pasti e feste e che temevi più ogni punizione non ventose come ora.

Tornavamo a casa a vedere la tv e le poche partite trasmesse in quegli anni e tra le grida di mia madre perché ero tutto sporco e le mie risate perché avevo parato pure col sedere come Garella. Un mito perché non è importante quanto vinci ma come e soprattutto dove! Mi ricordo quella storica stagione 1984/85 dove tutti aspettavano il crollo del piccolo Verona, ma poi fu la gioia più grande e segno del destino. Quell'anno secondo arriva il suo Torino di cui era tifoso fin da bambino.

In quegli anni era possibile che Davide battesse Golia e che una provinciale trionfasse nel campionato più juventino del mondo. Il bello del calcio sono queste leggende che portano in trionfo la città di Giulietta e Romeo e il tricolore per la prima volta al Napoli.

In quell'estate 1987 un litigio con il mister Ottavio Bianchi lo allontana dalla città partenopea e lo porta in cadetteria nella città friulana di Udine, dove dopo un anno lo riporta nella massima serie. Stagione 1989/90 l'ultima in A della sua carriera e mi ricordo una sfida con la Juventus dove veramente parò tutto e con tutto pure col fondoschiena, portando un punto in cassaforte pure al ritorno. In quegli anni Udinese giocava vero con la Signora…

Un grande rammarico che non abbia mai vestito la maglia della Nazionale. O un vero scandalo? Magari no, però sarebbe stato un bel gesto fargli vestire almeno una volta la maglia azzurra. Il calcio moderno, e soprattutto i giornalisti, sembra voglia mettere un velo per nascondere quel decennio magico e toglierlo solo per ricordare il mondiale ‘82 e Maradona, ma tutto il fenomeno calcistico di schedina tra le dita di quegli anni sembra non essere troppo gradito.

Forse perché anche squadre non troppo etichettate potevano vincere? Forse perché molti giocatori erano troppo pane e salame? O forse perché in un paese cosi gessato e immobile l'ascensore sociale fa paura in ogni sua specie? Mi sono sempre chiesto come mai un personaggio di così ampio respiro e di imprese calcistiche epiche non fosse mai ospite di programmi calcistici e intervistato.

Avrei voluto intervistarlo, scrivere la sua biografia, ma il tempo con lui non è stato cauto e lo ha portato via a soli 67 anni nell'Olimpo dei campioni. Un esempio di Italia concreta ed efficace dove l'essere era meglio dell'apparire e dove si poteva fare strada pure partendo dal nulla. Non dimenticherò mai quel pomeriggio con un omone fiero e silenzioso che vanta un campionato di Serie D con il Casale, uno di B col Verona e lo storico scudetto sempre con gli scaligeri, uno scudetto con il Napoli di Maradona e una Coppa Italia.

Chiude la sua carriera da portiere nel 1991 con l'Avellino. Anche lui, come tutti i miti del decennio colorato, non supera la prova con gli anni ‘90 come il suo più illustre compagno in maglia azzurra che chiuderà la sua carriera sempre in quell'anno per doping (le parentesi dopo non contano). Uno scherzo o una coincidenza per il nostro Garellik (come lo chiamavano i tifosi) è che Verona e Napoli, le squadre che gli hanno dato tanto e a cui lui ha dato tutto, si sfidino a tre giorni dalla sua morte.

Un giusto tributo spero verrà fatto ad un uomo, personaggio e atleta che ha vinto tanto ma non ha mai avuto il giusto riconoscimento dalla critica in un paese provinciale che molto spesso esalta troppo e dimentica assai i propri “figli”. Garellik, il super eroe che litigava col pallone, lo bastonava ma difficilmente lo faceva andare in rete. Con lui muore e si chiude definitivamente il periodo poetico del pallone fatto di musica, magia e tanta ironia e semplicità, della schedina tra le dita sperando di cambiare la vita.

L'Italia del Bar dello sport, del mezzo destro mezzo sinistro, “dell'allenatore nel pallone”, con lui si chiude anche un capitolo fondamentale del decennio ‘80 dove il calcio si preparava alla pioggia di miliardi e popolarità ma conservava ancora la genuinità di nazional popolare. Spero in una grande festa di ricordo per lunedì tra Verona e Napoli per un uomo discreto, poco considerato, che avrà parato anche con il culo ma è rimasto nei nostri cuori.

Persone come lui hanno fatto diventare popolare il calcio che molti oggi stanno portando a stare sul culo. Ciao Garellik, non dimenticherò mai quella domenica di inizio anni ‘90 a Cerano dove al mio dire “Ho parato come Garella”, tu risposi “Io facevo pure peggio”. Non ti avevo visto e quasi mi spaventai, ma con la tua manona mi avevi dato l'ok....

Un altro mito della generazione Billy che se ne va per restare nei nostri ricordi e discorsi per tornare felici e bambini, perché davanti a Garella siamo tutti innocenti come bambini. Rendiamogli onore, perché lui ci ha dato la speranza che i sogni possono avverarsi per tutti, ma proprio tutti.