E' stato bello, certo, ma...è proprio finita. Cari colleghi editori, rompiamo le righe. Google, Facebook ed Apple ci hanno uccisi. Hanno saccheggiato per anni gratis i nostri costosissimi contenuti di qualità, hanno fatto i soldi alle nostre spalle drenando il grosso della pubblicità e dissanguandoci. E ora... Ora basta, arrendiamoci, fargli la guerra da impari non ha senso. Non ci resta che convincerli quanto meno a sedersi attorno a un tavolo e provare a girargli una parte dei costi delle nostre dispendiosissime uscite di scena.
Discorso storico quello pronunciato martedì 21 giugno da Carlo De Benedetti davanti a Jeff Bezos e al gotha dell'editoria mondiale, in occasione della festa per i 150 anni della Stampa. Ha anticipato di poche ore l'ufficializzazione della sua uscita dal mondo dell'editoria e l'annuncio che al suo posto, alla guida della nascitura joint venture Repubblica-La Stampa va, senza troppe pretese, il figlio Marco (e non Rodolfo, suo delfino in Cir), a riprova di un progressivo disimpegno anche della famiglia, a favore dell'altro socio John Elkan e della Exor.
Diagnosi drammatica e da ultima spiaggia, quella dell'Ingegnere. Con prognosi inevitabilmente infausta sulla salute e sul futuro dei giornali. Tanto più significativa in quanto provieniente dal proprietario del più grande gruppo editoriale italiano, l'Espresso-Repubblica. E da un uomo d'affari da sempre open mind che, nonostante i molti errori imprenditoriali compiuti (Olivetti, Omnitel, Sorgenia, Sgb), ha sempre avuto un gran fiuto per i cambiamenti e i nuovi trend internazionali.
E' il discorso dell'uscita di scena, il racconto di una sconfitta, un grido di dolore acutissimo, la cronaca di una morte annunciata ma a lungo esorcizzata, nascosta, rimossa dai big dell'editoria, italiana e non solo. Una morte che ha una causa: Internet e la rivoluzione digitale, che si sono abbattuti come uno tsunami sulla sonnacchiosa e sclerotica editoria tradizionale sconvolgendone l'organizzazione, la gestione, i modelli di business, le prospettive.
Si capisce che per De Benedetti, il primo editore pentito, l'editoria tradizionale che ha al centro il giornale cartaceo - un business che aveva a lungo concupito quando era ancora lo sconosciuto presidente degli industriali di Torino e, infine, a metà degli anni '80, aveva conquistato con le maniere spicce scalando la Mondadori in guerra con Silvio Berlusconi e poi, dopo la pax andreottiana, "accontentandosi" del quotidiano, del settimanale e dei giornali locali fondati da Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo - è ormai decotto e al capolinea.
Per De Benedetti la malattia si chiama disintermediazione e quindi morte degli editori e dei giornali tradizionali, a favore dei nuovi "ri-mediatori" che "sfuggono alla verifica collettiva e surrogano i modi ma non le qualità di chi li ha preceduti".
Il loro nome? Google, Facebook, Apple e gli altri cosiddetti Over the top.
De Benedetti dice di ammirarli per quello che hanno immaginato e realizzato. Ma non nasconde i rischi della loro gigantesca, incontrastabile crescita dimensionale. Basti pensare agli investimenti di Google nell'intelligenza artificiale, dalla quale, ricorda l'Ingegnere, dipenderà il futuro sociale ed economico globale. Ma anche i loro poteri straordinari "che non sono bilanciati da nessuno".
Il discorso va letto integralmente. Aiuta a capire tante cose. Anche se esplicita una consapevolezza arrivata troppo in ritardo.
Non era difficile per i professionisti dell'editoria capire per tempo i colpi della disruption, ossia la discontinuità e lo scompiglio portari da Internet nella comunicazione globale.
Invece i nostri editori improvvisati (più o meno tutti senza un dna specifico e mossi per brama di potere, visibilità e lobbing) hanno nascosto per anni sotto il tappeto i buchi di bilancio, non hanno avuto il coraggio di prendere di petto le ristrutturazioni e i tagll inevitabili, non hanno investito in nuovi prodotti e nuovi modelli di business, hanno premiato direttori e manager tanto rapaci e incompetenti quanto incapaci di gestire la svolta internet.
E ora, inevitabilmente, i nodi vengono al pettine. Il mercato, di cui si son riempiti per anni la bocca, presenta il conto. Che è molto salato.
Addio Ingegnere e in bocca al lupo per le attività sue ma soprattutto dei suoi figli in Cir. Lei non era un editore puro ma un finanziere, coi giornali si è divertito, ha munto la mucca finché ha potuto ed è anche diventato qualcuno nel Palazzo e nella politica. What else?
Ora è giusto lasciar fare i nuovi giornali a chi li sa fare. Lei lo ha capito e ha gettato la spugna. I suoi colleghi editori impuri chissà. Intanto chapeau per la sua lucidità e il suo harakiri.