Lo sguardo libero
Fabio Accinelli: “Mercato e concorrenza? Si riparta da Luigi Einaudi"
Il vero monarca del mercato è il consumatore. L’economia deve essere sottratta alla politica
Le libertà economiche e politiche garantiscono competitività e autonomia di scelta tra le diverse alternative
Il tema della concorrenza è una spina del fianco dell’Italia e dei suoi rapporti con l’Unione europea. La messa al bando delle concessioni balneari è l’esempio più clamoroso, ma la questione va rivista complessivamente con un cambio di paradigma. È quanto sostiene in questa intervista l’economista Fabio Accinelli.
Fabio Accinelli, partiamo dall’attualità. La stagione turistica è alle porte e per gli operatori la questione della messa al bando delle concessioni è esplosiva.
L’Esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha confermato il proprio impegno nel continuare la trattativa con la Commissione europea sul tema della scarsità della risorsa spiaggia e delle concessioni demaniali. La data finale per le concessioni demaniali marittime è fissata per il 31 dicembre 2024 e, in assenza di nuovi provvedimenti, i Comuni stanno organizzando bandi per la riassegnazione delle spiagge, uno difforme dall’altro.
Perché non se viene a capo?
Il problema è già stato sentenziato dalla Corte di Giustizia europea ed anche dal Consiglio di Stato. Entrambi hanno ribadito che le concessioni non potevano e non potranno più essere prorogate in maniera automatica avviando così contro l’Italia una procedura d’infrazione. Con la promulgazione del dicembre 2023, da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della legge annuale per il mercato e la concorrenza, si è raggiunto uno dei traguardi del Pnnr. Il primo obiettivo è quello di rimuovere tutte le barriere normative oggi esistenti sulla concorrenza, promuovere e quindi agevolare l’apertura di tutti i mercati anche ai piccoli imprenditori tutelando così direttamente il consumatore.
Lei sostiene che bisogna cambiare paradigma, che il problema è complessivo.
Bisognerebbe aprire una grande discussione sui grandi temi delle “teorie economiche e politiche sulla concorrenza”. A tal proposito non si può prescindere dal pensiero dell’economista e politico liberale Luigi Einaudi, poi diventato presidente della Repubblica il 11 maggio 1948. Il centro delle sue riflessioni si è sempre rivolto verso le interconnessioni dei rapporti tra Stato e mercato, ovvero tra la libertà di iniziativa economica dei singoli e i limiti posti ad essi dalle leggi dello Stato e quindi dall’intervento pubblico. Il tutto si rifaceva alla stretta natura delle regole da applicare al mercato in una società a carattere liberale.
Come si declina tutto ciò?
È necessario, da un lato disporre di norme base a garanzia dell’ordine di mercato e della concorrenza, dall’altro definire obiettivi politici, economici e quindi sociali. In un sistema così ipotizzato, le norme antitrust - che in Italia avrebbero poi preso vita molti anni dopo, negli anni Novanta - stazionavano sul crinale che divideva le regole base a garanzia di un libero svolgimento del processo di mercato e quelle che ne mettevano in discussione un autonomo operare. Ecco quindi focalizzarsi il paradosso di emanare, in una società liberale, una legge dello Stato a tutela della concorrenza. È il cosiddetto “paradosso della concorrenza”.
Einaudi ricordava i danni, anche politici, causati dalle grandi concentrazioni industriali e dai cartelli promossi dai regimi totalitari di quegli anni.
È vero. Ciò riveste carattere di grande attualità anche oggi dove esistono endemiche preoccupazioni derivanti dal gigantismo industriale a livello globale determinato dalla rivoluzione tecnologica foriera di impatti economici, socio-democratici e geopolitici. Non per niente sempre Einaudi nel suo pensiero asseriva che “… il frutto spirituale immateriale più alto della economia di mercato è quello di sottrarre l’economia alla politica… dove l’unico vero padrone del mercato è l’uomo consumatore…”.
Possiamo quindi dire che sia la libertà economica che quella politica siano realmente due facce della stessa medaglia.
Certamente. Qualsiasi mercato venga preso in considerazione rivela come il vero re sia sempre e solo il consumatore. Nessuno lo può obbligare ad acquistare un certo bene, piuttosto egli si comporta in piena liberalità di scelta seguendo il proprio interesse e gusto determinati dal limite dalla propria ricchezza personale posseduta. La propria decisione, quindi, induce le aziende (imprenditori) a produrre quei tali beni e/o servizi di cui il consumatore faccia richiesta. Si viene così a creare una struttura economica nella quale l’iniziativa, di una certa produzione industriale, viene molto spesso non dall’alto ma dal basso, da qui parte e poi si crea e sviluppa una certa situazione di mercato.
Esiste un rapporto causale tra libertà economiche e politiche?
Non possiamo, a questo proposito, tralasciare il pensiero sulle libertà economiche di Milton Friedman (1912–2006) contenuto nel libro “Capitalismo e libertà “. Anche se su piani differenti le libertà economiche (libera scelta di beni e servizi) e le libertà politiche (liberalità di voto, di critica etc.) sono di fatto per entrambi gli economisti uno strumento atto ad incentivare in piena liberalità la competizione e la pluralità di scelte.
È però un errore pensare che la libertà economica sia una condizione necessaria e sufficiente per ottenere una libera competizione nel potere politico.
Esattamente. La sola libertà economica non basta a garantire la libera competizione nel potere politico, ma per contro la libertà politica è fondamentale e necessaria per difendere e consolidare le libertà economiche. Un Paese liberista che non permette però libera concorrenza politica finirà per tutelare solo e solamente quei gruppi di interesse che sostengono la politica già al potere, facendo così degenerare il sistema economico liberista nel cosiddetto capitalismo di Stato e quindi in un sistema di trade-off tra libertà economiche e politiche. La libera concorrenza, quindi, acclara la necessità di impedire alle grandi corporation di influenzare le scelte politiche, fatto che limiterebbe una corretta competizione per il potere. Solo le piene libertà economiche e politiche possono garantire ad ogni individuo la possibilità di competere e scegliere in piena autonomia fra le diverse alternative.