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Fabrizio Corona: “Volevano uccidermi. Mai amato né Nina Moric né Belen”

In libreria dal 12 novembre l'autobiografia di Fabrizio Corona: "Come ho inventato l’Italia" (La nave di Teseo)

Fabrizio Corona: "Il denaro la mia grande malattia: mi dà il senso del successo e dell'identità"

"La chiamo (sua madre, ndr) di continuo, ma da piccolo mi sentivo sempre il meno amato. Il mio auto-sabotaggio nasce lì: se amo e sono bravo, temo di restare fregato. A Nina Moric e a Belen ne ho fatte di ogni. Infatti, oggi so che non era amore. E anche nella vita ne ho combinate sempre tante per dirmi che me l’ero cercata". Lo svela Fabrizio Corona in un'intervista al Corriere della Sera in occasione dell'uscita del suo libro "Come ho inventato l’Italia" un'autobiografia edita da La nave di Teseo.

Corona racconta alcuni episodi della sua vita a partire dalla volta che un 'recupero crediti' nei suoi confronti sarebbe stato sul punto di provocarne l'uccisione. "Arrivano in ufficio due albanesi. Uno dice: Corona, hai un problema con xx, vedi di dargli i soldi. E io: ah sì? Usciamo e vediamo. Scendo, il mio autista mi segue e scatta la rissa. Accorrono baristi, tabaccai, gli albanesi scappano. Dopo un po', un tale mi dice che c'è uno pesante di una famiglia balorda che mi vuole parlare. Era grossissimo e sul cucuzzolo della testa aveva tatuata la sigla Acab: all cops are bastards , tutti i poliziotti sono bastardi. Mi fa: sono venuti due albanesi per comprare una pistola e noi, prima di vendere una pistola, vogliamo sapere a che serve", una pistola che serviva "a uccidermi o gambizzarmi. Il soggetto con Acab sulla testa, poi condannato a 21 anni con aggravanti mafiose, dice che lui e suoi si sono messi di mezzo perché mi rispettano. Insomma, combiniamo un appuntamento, lui, io, gli albanesi, il creditore. Che ha capito il messaggio e non s' è più visto".

Quando gli viene chiesto se la sua incolumità è ancora a rischio Corona risponde: "no, ma penso che morirò ammazzato". E spiega così la sua previsione: "Ho fatto sei anni di carcere, anche con criminali efferati di cui ho dovuto essere amico per salvare la pelle e che, quando escono, sanno dove trovarmi. Ora, arrivano e dicono: 'prestami diecimila euro'. E io: 'sto cavolo"' Poi, dai domiciliari, esco per andare allo Smi, un centro di recupero di esecuzione penale, e trovo altri criminali, che pure vogliono favori. Prima, davo retta, ora, li mando a quel paese. Ma è gente che se la prende. Tanti mi vorrebbero morto". "Non sono un criminale, sono un furbo che non ha fatto male alla povera gente, ma ha sfruttato e fregato un sistema già corrotto. Ora ho incontrato tante case di produzione per trattare i diritti per film e docuserie e tutti mi hanno detto: non pensare che ne esci bene. Sicuramente è così, ma anche 'Il Lupo di Wall Street' , quando ha dato i diritti, era una persona diversa da quella che si vede nel film", sostiene poi CORONA e spiega che il titolo della biografia 'Come ho inventato l'Italia': "Da quando quattordicenne mi sono tuffato in una piscina vuota, ho battuto la testa e non sono più stato l'angelo che ero, ho vissuto dall'interno tutto quello che ha segnato questo Paese: la moda, Tangentopoli, il berlusconismo... Ora immagino d'aver creato questo mondo a mia immagine e somiglianza perché l'ho strumentalizzato, ci ho guadagnato e l'ho colpito da anarchico. Il mio obiettivo era entrarci per distruggerlo, perché mio padre, da quel mondo, è stato sconfitto e io l'ho voluto vendicare".

A proposito del padre racconta: "Era un grande giornalista ed è stato fatto fuori dal sistema. Dalla Rai, nel '92, per un titolo sui politici e la Cupola; da Mediaset, perché non appoggiò Berlusconi nel '94. Andò alla Voce con Indro Montanelli e quando hanno chiuso, non ha più potuto lavorare", spiega Corona, che definisce poi il denaro "la mia grande malattia: mi dà il senso del successo e dell'identità. Sto cercando di curarmi con due psichiatri"