Cronache

"Il carcere va abolito". In un libro la proposta del senatore Pd

LA SCHEDA DEL LIBRO 

Non è una provocazione. Nel 1978 il parlamento italiano votò la legge per l’abolizione dei manicomi dopo anni di denunce della loro disumanità. Ora dobbiamo abolire le carceri, che, come dimostra questo libro, servono solo a riprodurre crimini e criminali e tradiscono i principi fondamentali della nostra Costituzione. Tutti i paesi europei più avanzati stanno drasticamente riducendo l’area del carcere (solo il 24 per cento dei condannati va in carcere in Francia e in Inghilterra, in Italia l’82 per cento). Nel nostro paese chi ruba in un supermercato si trova detenuto accanto a chi ha commesso crimini efferati. Il carcere è per tutti, in teoria. Ma non serve a nessuno, in pratica. I numeri parlano chiaro: la percentuale di recidiva è altissima.

E dunque? La verità è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani non ha idea di che cosa sia una prigione. Per questo la invoca, ma per gli altri. La detenzione in strutture in genere fatiscenti e sovraffollate deve essere quindi abolita e sostituita da misure alternative più adeguate, efficaci ed economiche, capaci di soddisfare tanto la domanda di giustizia dei cittadini nei confronti degli autori di reati più gravi (solo una piccola quota dei detenuti) quanto il diritto del condannato al pieno reinserimento sociale al termine della pena, oggi sistematicamente disatteso. Il libro indica Dieci proposte, già oggi attuabili, per provare a diventare un paese civile e lasciarci alle spalle decenni di illegalità, violenze e morti.

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’università Iulm di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Nel 2001 ha fondato A Buon Diritto. Associazione per le libertà.

Stefano Anastasia è ricercatore di Filosofia e sociologia del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Perugia, dove coordina la Clinica legale penitenziaria. È stato presidente dell’associazione Antigone.

Valentina Calderone è direttrice di A Buon Diritto. Associazione per le libertà e autrice di saggi sul tema della detenzione.

Federica Resta è avvocato, dottore di ricerca in Diritto penale e funzionario del Garante per la protezione dei dati personali.

ESTRATTO DAL LIBRO "ABOLIRE IL CARCERE", per gentile concessione di Chiarelettere

È stata Belén, all’anagrafe María Belén Rodríguez, a esprimere le considerazioni più pertinenti a proposito della condanna a tredici anni e due mesi di carcere inflitta a Fabrizio Corona. La donna, a quanto si sa, non viene da severi studi giuridici ma è evidentemente dotata di buon senso e, soprattutto, conosce la personalità del condannato, col quale ha avuto una lunga relazione, e la sua particolare patologia.

«Lui ha un problema, ha fatto degli errori, ma in realtà l’unico problema che ha sono i soldi.» E ancora: «Secondo me la condanna che dovevano dargli è una grandissima multa salata e basta. Lui è in galera perché ha una malattia per i soldi» afferma Belén in una intervista al settimanale «Oggi», il 22 dicembre 2014. Nelle parole della donna c’è l’eco (poco importa se inconsapevole) della più avanzata dottrina penalistica e della più ragionevole pedagogia per l’età adulta. Entrambe le ispirazioni tengono conto, nel ponderare qualità ed entità della sanzione per chi infrange le regole, della personalità del reo e dell’esigenza di rendere la pena effettivamente deterrente – dunque utile alla società – oltre che non inutilmente vessatoria nei confronti del condannato. Ed entrambe intendono sottrarre la misura punitiva al cupo e ottuso automatismo del «chiudere la cella» per tot anni o per sempre e "gettare via la chiave". E, infatti, nel caso di Corona, solo un tipo di sanzione capace di intervenire efficacemente sulla sua "patologia", la dipendenza dal denaro, può rispondere a quanto previsto dalla Carta costituzionale e dal nostro ordinamento.

Può, cioe, sia svolgere una funzione preventiva – ovvero dissuaderlo dall’acquisire illegalmente risorse economiche – sia perseguire una finalità rieducativa, inducendolo a riflettere criticamente sulle conseguenze della propria dipendenza dal denaro. Le parole di Belen aggiungono, quindi, un’ulteriore motivazione, se mai ve ne fosse stato bisogno, alla pertinenza e alla urgenza dell’interrogativo: possiamo fare a meno del carcere? Questo libro ambisce a dimostrare l’opportunità di una simile domanda e la fondatezza della nostra risposta positiva. Si, abolire il carcere e possibile, innanzitutto nell’interesse della collettività, di quella maggioranza di persone che pensano di non essere destinate mai a finirci e che, con lo stesso, mai avranno alcun rapporto nel corso della intera esistenza.

L’abolizione del carcere e, insomma, una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, che ne avrebbero tutto da guadagnare. Perché, dunque, fare a meno del carcere? Semplice: perché a dispetto delle sue promesse non dissuade nessuno dal compiere delitti, rieduca molto raramente e assai più spesso riproduce all’infinito crimini e criminali, e rovina vite in bilico tra marginalità sociale e illegalità, perdendole definitivamente. E perche mette frequentemente a rischio la vita dei condannati, violando il primo degli obblighi morali di una comunità civile, che e quello di riconoscere la natura sacra della vita umana anche in chi abbia commesso dei reati, anche in chi a quella vita umana abbia recato intollerabili offese. E sia per questo sottoposto alla custodia e alla funzione punitiva degli apparati statali. Sono passati più di trent’anni da quando, prudentemente, si cercava una strada per «liberarsi dalla necessità del carcere».

LA PRESENTAZIONE A ROMA

20.5 Roma

ore 18.00 presentazione di ABOLIRE IL CARCERE

Con gli autori: Luigi Manconi Stefano Anastasia Valentina Calderone Federica Resta

Intervengono anche: ASCANIO CELESTINI e STEFANO RODOTA’

Libreria Ibs, via Nazionale 255