Cronache
Cecilia Sala arrestata in Iran, la giornalista italiana paga la mancanza di lavoro di prevenzione. Parla l'ex 007 Mancini
Marco Mancini, ex capo del Controspionaggio, spiega ad Affaritaliani cosa si doveva fare prima e cosa si può fare oggi
Cecilia Sala arrestata in Iran, parla l'ex 007 Mancini
“La cosa principale è sempre la prevenzione. Ora però è tardi. Adesso sarà un lavoro molto difficile…”. Sono ormai passati più di 10 giorni da quando Cecilia Sala è stata arrestata nell’albergo di Teheran dove soggiornava e da qui condotta in carcere ed il lavoro diplomatico e di intelligence per cercare di risolvere la situazione e portarla a casa è febbrile. Marco Mancini, ex capo del controspionaggio e che in passato ha gestito diverse situazioni analoghe, ci fa subito capire come in questo caso siano stati commessi degli errori, ora difficili da recuperare.
“Quando parlo di prevenzione intendo tutta quella serie di azioni che vanno fatte per cercare di evitare poi di trovarsi in situazioni come quella che sta vivendo la nostra giornalista. Per prima cosa bisogna conoscere con chi abbiamo a che fare. L’Iran purtroppo oggi è il paese più complesso al mondo; la guerra di Israele ad Hezbollah, ad Hamas ed agli Houthi di sicuro rende tutto molto difficile. Il paese non è una democrazia ma si trova in mano dei Pasdaran e di autorità religiose poco propense al dialogo ed al rispetto dei diritti umani. Quando Cecilia Sala ha fatto richiesta di un visto di ingresso si è trasformata in una carta da giocare in caso di bisogno. E purtroppo il bisogno è arrivato…Lei oggi è un ostaggio politico”.
Si spieghi meglio. Sta parlando della famosa vicenda dell’iraniano arrestato a Malpensa?
“Esattamente a quello. E qui abbiamo commesso un errore politico e di intelligence. Nel momento in cui gli Stati Uniti hanno chiesto al nostro paese il fermo di Mohammad Abedini Najafabadi avremmo dovuto guardare avanti pensando che l’azione avrebbe potuto comportare una reazione degli ayatollah contro l’Italia ed in questo la figura di Cecilia Sala era l’identikit perfetto. Così prima di entrare in azione con l’operazione all’aeroporto di Milano avremmo dovuto per prima cosa rimpatriare la nostra giornalista ed eventuali altri italiani presenti in Iran e che sarebbero stati possibili oggetto di ritorsione. Questo non è stato fatto e così ora dobbiamo stare alle condizioni dei Pasdaran”.
Si immagina oggi la presenza di personale dell’intelligence in Iran?
“Lo escludo. Sarebbero riconosciuti e scoperti in poco tempo. Anche in questo caso bisogna lavorare prima che le cose accadano. La speranza è che l’Italia abbia creato contatti, abbia degli informatori all’interno del regime per sapere non solo con chi parlare ma soprattutto quali siano le reali intenzioni di Teheran. Ma da questo punto di vista non ho molte speranze…”.
Una partita quindi tutta in salita…
“Di sicuro una partita difficile. Per risolverla credo sarà necessario il lavoro di un paese terzo, in contatto sia con l’Italia e l’occidente che con l’Iran; penso ad esempio alla Turchia…”.
Cosa rischia Cecilia Sala?
“La giornalista al momento si può ritenere al riparo da torture e da altre azioni violente. Lo si capisce dal fatto che non si trovi nelle sezioni più malfamate e pericolose del carcere di Evan dove, va ricordato, si trovano altre 400 donne colpevoli di non si sa nemmeno cosa se non di una generica opposizione al regime. Ci sono infatti settori dove si sa che le persone in cella sono vittime di atti di violenza di vario tipo. Sala invece si trova in una situazione meno sfavorevole”.
Il fattore economico può essere decisivo per risolvere questa situazione?
“Se per fattore economico si intende che si possa pagare una sorta di riscatto beh quello è da escludere. Ma si sa che certe situazioni vengono risolte anche economicamente, magari mettendo di mezzo contratti con aziende o società di questa o quella nazione come passaggio di denaro da un paese all’altro. Ma non è questo il caso”.