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Chi è Giuseppe Pignatone, l'ex procuratore antimafia indagato per favoreggiamento ai boss. Ritratto

di redazione cronache

Da Palermo alla Calabria, la carriera - incidentata - dell'attuale presidente del tribunale vaticano

Chi è Giuseppe Pignatone, l'ex procuratore antimafia indagato per favoreggiamento ai boss. Ritratto

C’è anche l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone tra gli indagati dalla Procura di Caltanissetta per il presunto insabbiamento dell’indagine sugli imprenditori mafiosi Nino e Salvatore Buscemi e i loro rapporti col gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini. A raccontarlo è il quotidiano Repubblica che spiega come all’ex procuratore capitolino sia stato inviato un invito a comparire.

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Già sostituto e procuratore aggiunto a Palermo, poi al vertice delle procure di Reggio Calabria e di Roma, oggi Pignatone presiede il tribunale di Città del Vaticano. A Caltanissetta è indagato per favoreggiamento alla mafia, reato commesso – secondo le accuse – in concorso con l’ex procuratore Pietro Giammanco (morto nel 2018 e considerato “l’istigatore” dell’insabbiamento dell’indagine), con l’allora collega Gioacchino Natoli e con il capitano della Guardia di Finanza Stefano Screpanti, oggi generale al vertice del Nucleo frodi contro l’Ue. “Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato. Mi riprometto di contribuire, nei limiti delle mie possibilità, allo sforzo investigativo della Procura di Caltanissetta”, ha detto Pignatone all’agenzia Ansa.

Figlio di Francesco Pignatone, deputato della Democrazia Cristiana negli anni '50, Giuseppe Pignatone si laurea in giurisprudenza all'università di Palermo nel 1971. Entra in Magistratura nel 1974 e dopo una parentesi come Pretore a Caltanissetta, nel 1977 viene trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo come sostituto procuratore. Qui lavora a Palazzo di giustizia per oltre 30 anni, ed è uno dei collaboratori più vicini al procuratore Pietro Giammanco insieme a Guido Lo Forte. Nel 1991 Giovanni Falcone nei suoi diari scrive di forti contrasti con lui, che lo costringono ad andare via da Palermo.

Nel 1996, sempre durante la guida della procura di Giancarlo Caselli, si trasferisce alla procura presso la pretura di Palermo, prima come aggiunto e poi come reggente. Già nel 1997 la Procura di Caltanissetta aprì un'indagine nei suoi confronti e dei magistrati Pietro Giammanco, Guido Lo Forte e Ignazio De Francisci per i reati di abuso e corruzione di atti giudiziari, a seguito delle accuse del collaboratore di giustizia Angelo Siino, il quale sosteneva di averli corrotti per ricevere una copia del rapporto del ROS dei Carabinieri su "Mafia e Appalti" depositato in Procura. Ma nel 2000 l'indagine è stata archiviata del GUP del tribunale di Caltanissetta perché non si riuscirono a trovare prove alle accuse di Siino.

Nel 2003 ha messo sotto indagine Totò Cuffaro, allora Presidente della Regione Siciliana, poi condannato definitivamente a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, e ha anche coordinato le indagini che hanno portato all'arresto del superlatitante Bernardo Provenzano.

Nel 2008 è stato nominato dal Consiglio Superiore della Magistratura Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, dove continua la sua attività contro la criminalità organizzata assestando numerosi colpi alla 'ndrangheta. Per il suo impegno ha subito alcune intimidazioni e minacce, in particolare il 5 ottobre 2010 viene trovato, a seguito di telefonata anonima, un bazooka dinanzi alla sede della Procura della Repubblica di Reggio Calabria indirizzato proprio a Giuseppe Pignatone.

Nel marzo 2012 è stato nominato dal CSM, con voto unanime, procuratore della Repubblica di Roma. Il 2 dicembre 2014 Pignatone coordina un'indagine - sugli intrecci tra criminalità mafiosa e politica nel Comune di Roma - denominata "Mafia Capitale" che porta a 37 arresti tra membri della criminalità capitolina capeggiati da Massimo Carminati, esponenti del centrodestra della giunta Alemanno, esponenti del PD, nonché del consiglio comunale di centro sinistra. Più di 100 gli indagati. La sentenza di primo grado del 20 luglio 2017 fa decadere per tutti gli imputati l'accusa di associazione mafiosa, un anno dopo quella di secondo grado invece la conferma in toto. A ottobre del 2019 invece la Corte di Cassazione, al termine di un procedimento acceso, ha escluso che Mafia Capitale fosse una organizzazione secondo i criteri previsti dall'articolo 416 bis del Codice Penale. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto esistenti due diversi organizzazioni criminali semplici. Il teorema accusatorio, dunque, è definitivamente crollato. Il 3 ottobre 2019 Papa Francesco lo ha nominato presidente del Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano. È anche editorialista del quotidiano la Repubblica.