Emigrazione e terrorismo, gli errori del Pd e della sinistra
La furia assassina del terrorismo jihadista che sulla Rambla di Barcellona ha provocato 14 morti e 130 feriti di 35 nazionalità dimostra la perdurante inadeguatezza (politica, ma non solo) dell’Europa di fronte a un fenomeno che continua a colpire dove vuole e quando vuole. Le manifestazioni di cordoglio al grido di: “Io non ho paura” rischiano di trasformarsi in mera testimonianza perpetuando riti che, senza sbocchi politici, non cambiano la sostanza e la gravità del problema. In questo quadro allarmante, l’Italia, pur non macchiata direttamente dal sangue del terrorismo ma pressata dall’ondata migratoria, resta l’anello più debole e a rischio con i partiti impegnati a strumentalizzare la situazione per fini elettorali e di potere. Tornare sulle cause storiche del terrorismo e sulle responsabilità del colonialismo è oggi un esercizio di lana caprina. Qui siamo di fronte a chi, usando la religione come detonatore ideologico realizza una strategia a colpi di stragi e al grido “Allahu akbar” vuole la distruzione dell’Occidente e dei suoi valori per imporre la propria aberrante egemonia. O l’Occidente, superando colpevoli ritardi e incertezze legate alla salvaguardia di interessi di parte, è cosciente di questo rischio e sradica con ogni mezzo la malapianta fin dalla radice o ne sarà travolto. L’Italia non è fuori dall’occhio del ciclone. Anzi, essendo in questo caso perno dell’Occidente, anche per l’esclusività di San Pietro capitale della Chiesa cattolica, è nel mirino quale obiettivo “eccellente”, fin ora fuori dall’azione operativa dei terroristi solo perché utile approdo – non solo geograficamente – e baricentro per questa strategia sanguinaria. Quanti terroristi hanno approfittato del flusso dei migranti accolti nel nostro Paese per giungere e agire in Europa? E non era stato forse in Italia uno degli jihadisti autori dell’ultima strage in Spagna? Pur nel ripetersi di questi assassinii è giusto non farci travolgere dalla irrazionalità mantenendo fermi i principi, i valori, la nostra identità culturale, senza chiusure razziste, non abdicando al diritto-dovere del dialogo e dell’integrazione di chi vuole essere integrato in una Italia degli italiani che ha le sue regole e le sue leggi basate sulla democrazia e sulla libertà. L’Italia non è un’isola felice e gli attentati in Europa non finiranno, purtroppo, con la strage della Rambla.
L’Isis, avviato verso la sconfitta militare in Siria e in Iraq e fallito quindi il suo tentativo di governare come Califfato il territorio, torna a riproporsi come organizzazione terroristica, pur divisa e con leadership articolate ma non per questo più debole e meno feroce soprattutto reclutando alla causa, in Occidente, immigrati arabi di seconda e terza generazione, per lo più emarginati e magari neppure musulmani praticanti, al comando di “burattinai” esperti sul piano ideologico e anche dell’azione terroristica. Per questo disegno servono Paesi compiacenti (per l’ospitalità o semplicemente per linee internet fuori traccia) o anche solo Paesi come l’Italia dove è facile nascondersi in mezzo agli immigrati. Oggi il ministro Minniti avverte: “Non militarizziamo le città”. Non servono, ovvio contraeree o bombe H. Ma serve la consapevolezza che tutta l’Europa, l’intero Occidente sono in guerra, una guerra fuori dagli schemi, ma una guerra assai distruttiva rispetto alla quale bisogna attrezzarsi di conseguenza, anche con i militari in strada. Invece siamo di fronte a sottovalutazioni e a inadeguatezze di ogni tipo anche nei più elementari servizi di intelligence. Non c’è una guerra da fare contro gli immigrati: oltre che inutile e insensata, non ci salverebbe dal terrorismo. Ma l’Italia non è al sicuro perché accoglie gli immigrati e non è vero dire che non c’è un rapporto fra immigrazione clandestina e terrorismo. Anche in Italia è in atto una destabilizzazione sociale con la gente che ha paura per la propria sicurezza e per il futuro del Paese proprio a causa di un terrorismo che tutti sentono più vicino di dove si materializza con le stragi e anche a causa dell’ondata continua di immigrazione incontrollata. Centinaia di migliaia di persone, utili al business di entità ben individuabili, persone cui non è stata garantita adeguata integrazione, senza lavoro, alimentando una spirale perversa che via via porta alcuni alla frustrazione, alla protesta, all’odio, alla violenza, alla criminalità, fino al terrorismo. La paura degli italiani non è data solo dal ripetersi di attentati ma dal senso di di impotenza perché non è chiaro qual è il nemico, dove è esattamente, chi e come lo può fermare e annientare.
Chi è più in difficoltà è proprio la sinistra, in primis il Pd, in ritardo nel recepire la gravità della situazione, il peso della questione irrisolta, proteso a pensare di vincere le prossime elezioni senza comprendere la scala di priorità della gente. C’è confusione fra estetica e politica, fra valori e ideologie, si confonde quel che è corretto con quel che è praticabile. Non basta ribadire il refrain che essere di sinistra vuol dire stare dalla parte degli “ultimi”, oggi gli immigrati, come ieri gli operai e i lavoratori in genere. Sbaglia oggi la sinistra tutta (anche il Pd) quando sui migranti alza la bandiera dell’estremismo ideologico dimenticando che – come ha detto pochi giorni fa l’ex presidente della Camera Luciano Violante: “Non esiste un valore assoluto dell’accoglienza” e dimenticando lo stesso monito di Papa Francesco di accogliere: “finchè è possibile”. Su un nodo così complesso e angosciante, gli italiani non hanno bisogno di “serenate” dicendo che il problema non esiste e che non c’è collegamento alcuno fra migrazione e terrorismo, ma di proposte concrete e originali - una piattaforma di obiettivi intermedi – capaci di riconoscere il problema per quello che è e di non spingere gli elettori nelle braccia del populismo grillino, di Salvini o di Berlusconi. Non sono pochi, impauriti e indifesi, a invocare l’uomo solo al comando nella speranza, per lo più illusoria, di fermare il terrorismo, riportare sicurezza, risolvere la crisi economica.