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Cronache
Rimpatri flop, Salvini peggio di Minniti

 

Matteo Salvini aveva promesso 600mila rimpatri durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018. Dopo dieci mesi di Governo ne ha fatti poco più di seimila, ovvero l'1%. La politica dei rimpatri del ministro dell’Interno è un flop rispetto alle aspettative create. A dirlo è direttamente il ministero dell’Interno, sollecitato da Linkiesta (www.linkiesta.it). I numeri inviati dal Viminale sono implacabili: 7383 rimpatri nel 2017, 7981 nel 2018 e 2143 fino al 23 aprile del 2019. Tradotto: siamo passati da una media di 20,2 rimpatri al giorno con il ministro Marco Minniti durante il governo Gentiloni a 19,30 del ministro Salvini. A questo ritmo il Viminale ne farà 7046 nel 2019, il dato peggiore degli ultimi tre anni, molto lontano dai diecimila rimpatri l’anno promessi da Salvini durante la campagna elettorale. Per rimandare tutti gli irregolari a casa ci vorranno 85 anni. Senza contare che secondo l'Ispi il decreto sicurezza voluto dal Governo farà aumentare di 140mila il numero di migranti irregolari nel nostro Paese e secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni l’offensiva del Generale Haftar su Tripoli potrebbe causare la partenza di altri 200mila migranti verso l’Italia. A quel punto non basterebbero 113 anni per risolvere il problema.

Roberto Maroni quando era al Viminale aveva uno stile completamente diverso e disse: «Fare il ministro dell'Interno nel modo giusto vuol dire stare in ufficio dalle 9 del mattino alle 21 di sera». «Come ministro dell’Interno ho il DOVERE di garantire la sicurezza e di non sottovalutare questi fenomeni che, guarda caso, vedono come protagonisti immigrati extracomunitari arrivati in Italia grazie ai porti aperti» ha scritto Salvini su Facebook commentando due aggressioni di extracomunitari dell’ultima settimana che fino a pochi mesi fa sarebbero rimaste nelle pagine della cronaca locale ma da quando c’è il governo Conte sono diventati anche fatti politici. Sabato sera un georgiano è stato colpito alla gola con un coltello alla stazione Termini di Roma da un marocchino che doveva essere espulso. A Pasqua, un senegalese ha aggredito due poliziotti colpendoli con una sbarra di ferro, ferendone uno alla testa.

Per affrontare l’emergenza, Salvini ha convocato una riunione al Viminale su immigrazione, sbarchi ed espulsioni: «Scrivo a tutti i prefetti e questori per aumentare controlli e attenzione in luoghi di aggregazione di cittadini islamici, per prevenire ogni tipo di violenza contro cittadini innocenti». Un po’ per la campagna elettorale per le europee, un po’ per la realtà delle cose, il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha attaccato Salvini per la gestione dei rimpatri, inviando una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Dopo Torino, Roma. I tristi fatti di cronaca di questi giorni, con l'aggressione prima a due agenti della polizia da un soggetto che sarebbe dovuto essere già espulso, poi con l'accoltellamento di oggi dimostrano che il vero problema sono i quasi 600mila irregolari che abbiamo in Italia. E sui rimpatri non è stato fatto ancora nulla. Il problema ce lo abbiamo in casa, non è che scrivendo una lettera o una circolare si risolvono le cose. Bisogna fare di più sui rimpatri che sono fermi al palo». Un'altra partita sarà quella di capire quanti migranti irregolari ci sono veramente nel nostro Paese. Stando al contratto di governo dovrebbero essere 500mila ma il Viminale fa sapere che sono molti meno. In ogni caso il problema politico si pone: perché in campagna elettorale è stato detto che il numero di migranti irregolari da espellere è 600mila? E perché non è stato ancora chiarito?

Lo stesso M5S ha ammesso che il governo dovrebbe cambiare strategia promuovendo i rimpatri volontari e incentivandoli grazie ai fondi europei. "L’Unione europea ha un potere negoziale decisamente superiore rispetto a quello dei singoli Stati membri". In ogni caso i rimpatri sono ancora pochi rispetto a quelli promessi perché il problema principale riguarda gli accordi con i Paesi di provenienza, annunciati più volte dal ministro e mai portati a termine. A oggi esistono delle intese di massima con Tunisia, Marocco, Nigeria ed Egitto, ma mancano quelli con gli Stati da cui provengono oltre la metà dei migranti irregolari arrivati nel 2019: Algeria (dove le tensioni interne potrebbero portare a un nuovo caso libico), Bangaldesh Senegal e Iraq. Finora il ministro Salvini ha fatto molti viaggi nei Paesi di provenienza dei migranti ma non è riuscito a stringere degli accordi bilaterali. L’unico è quello siglato a novembre del 2018 con il ministro dell’Interno del Ghana. L’accordo portato a casa da Salvini si è tradotto in un finanziamento di 6 euro al giorno per 800 giovani ghanesi che avranno così vitto, alloggio e formazione professionale. Un aiuto generoso ma non si capisce come dovrebbe risolvere il problema dei migranti irregolari in Italia. Non solo perché in Italia solo lo 0,47% dei migranti è ghanese, ma parliamo della seconda economia degli stati dell’Africa Occidentale e uno dei Paesi più stabili del Continente. Aveva veramente così senso spendere energie politiche per un accordo isolato e senza una visione nel lungo periodo? Perché per 800 giovani ghanesi a cui abbiamo garantito un futuro ce ne sono centomila di altre nazionalità pronti a partire per la Libia. L’accordo col Ghana è sembrato più un manifesto elettorale per dare l’idea di affrontare il problema alla radice ma così si rischia di voler svuotare l’oceano con un cucchiaino.

Lo stesso Movimento 5 Stelle ha ammesso il 21 aprile in un post sul blog delle Stelle che il governo dovrebbe cambiare strategia promuovendo i rimpatri volontari usando i fondi europei. «L’Unione europea ha un potere negoziale decisamente superiore rispetto a quello dei singoli Stati membri. Ecco perché proponiamo che gli accordi di riammissione vengano conclusi a livello europeo. Ad oggi sono una ventina quelli conclusi dall’UE più una serie di accordi bilaterali tra Stati membri e Paesi terzi. Bisogna fare di più». Ecco bisognerebbe fare di più. Ma forse questo è il massimo che può fare un ministro dell'Interno con le risorse, i mezzi e gli accordi a disposizione. Sarebbe bastato non alzare così tanto l'asticella durante la campagna elettorale e spiegare che seicentomila rimpatri sono impossibili da fare in un secolo, figuriamoci in una legislatura. Andando avanti così ci vorrà più tempo a rimpatriare tutti gli irregolari che a restituire i 49 milioni. O ad abbassare le accise sul carburante.

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