Cronache
Taxi, la Consulta fa crollare il castello del monopolio: sì a nuove licenze Ncc. Ora palla ai Comuni
Ora possiamo dire che è incostituzionale il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente
Finisce l'epoca del terrore dei taxi, la Consulta: "Incostituzionale non rilasciare nuove licenze Ncc". Ora la palla va ai Comuni
Il mercato non si addice all’Italia. O almeno ai servizi pubblici in Italia. Tantomeno se si parla di trasporto pubblico locale. Speriamo che la decisione della Consulta sulle licenze Ncc possa far crollare il castello di carte che imprigiona la libertà di circolazione dei cittadini (e dei turisti, è opportuno rammentare anche questa categoria di preziosi utenti in questa torrida estate, che ha riacceso l’attenzione degli stranieri per il Bel Paese).
Il blocco delle licenze degli Ncc - da più di cinque anni - ha contribuito a consolidare il monopolio dei taxisti, che a loro volta - soprattutto nelle grandi città italiane - hanno potuto aggiungere arroganza a fronte del mancato mercato del trasporto pubblico locale di linea.
Ora possiamo dire che è incostituzionale il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente (Ncc), contenuto nel decreto Semplificazioni del 2018. L’attesa della piena operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenze taxi e di autorizzazione Ncc, è stato per tutto questo tempo la scusa per “alzare una barriera all'ingresso dei nuovi operatori” - usiamo le parole dei giudici costituzionali - compromettendo gravemente “la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea”.
La Corte ha ribadito che è stata “del tutto inascoltata” la preoccupazione dell'Antitrust, volta a evidenziare che “l'ampliamento dell'offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all'esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall'incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione”.
La norma censurata ha pertanto causato, in modo sproporzionato, “un grave pregiudizio all'interesse della cittadinanza e dell'intera collettività”. Non si tratta solo di aver compromesso il benessere del consumatore, ma c’è “qualcosa di più ampio, che attiene all'effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all'interesse allo sviluppo economico del Paese”.
Insomma, i barocchismi dovrebbero essere finiti e ora tocca ai Comuni. Occorrono bandi e licenze per gli Ncc, ma a cascata la questione non può non considerare i taxi. La concorrenza dovrebbe essere garantita, e i monopoli non più ammessi. Una corporazione di poche migliaia di persone (meno di ottomila a Roma, dove sono più numerosi) mette in ginocchio da anni la libertà di accedere a un servizio pubblico in concessione.
Un anno fa il ministro Adolfo Urso cantava vittoria, dopo l’approvazione del decreto “Asset”, sostenendo che avrebbe “scritto agli oltre 60 sindaci che potranno da subito realizzare concorsi straordinari per le nuove licenze taxi, senza alcun vincolo, in 15 giorni. Cioè 1.500 licenze in più a Roma, oltre 1.000 a Milano”.
Non dubitiamo che abbia scritto. Contestiamo l’avverbio “subito” e i numeri. A Milano i 700 partecipanti al bando per 450 (non mille!) nuove licenze di taxi non hanno ancora potuto iniziare le prove. A Roma si attende per fine luglio il bando per 1000 (non 1500!) licenze in più. Ma intanto si è deliberato l’aumento delle tariffe.
In un caso come nell’altro - in questo pessimo esempio Milano e Roma si somigliano: moneta cattiva scaccia moneta buona - avremo una goccia in un mare di inadeguatezza. Le cronache cittadine di Roma e Milano - ma anche di Bari e Firenze - segnalano quotidianamente lo scandalo di file interminabili di utenti (cittadini residenti e turisti) alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti o alle fermate urbane dei taxi.
Tutto ciò nell’indifferenza sostanziale dell’amministrazione comunale che gioca a scaricabarile con il Governo nazionale, di fatto rendendo le città ostaggio di una corporazione che ha impedito qualunque modalità di innovazione nel servizio, osteggiando ogni formula che si proponesse di offrire un’alternativa a cittadini e turisti: da Uber agli Ncc, almeno finora.
In questo la Consulta è stata fin troppo chiara. Non si possono comprimere le licenze Ncc a fronte dell'incapacità “del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione”. Taxi e trasporto pubblico di linea restano due monopoli inattaccabili: entrambi derivanti dalla sfera pubblica, ma affidato l’uno a una casta di intoccabili privati, l’atro a società pubbliche prive di confronto concorrenziale di mercato.
C’è da sperare che i Comuni si attivino rapidamente. Auguriamoci che la decisione della Corte Costituzionale sul trasporto pubblico locale non finisca inascoltata come la sentenza del Consiglio di Stato a proposito dell’inammissibilità della mancata concorrenza nella concessione delle licenze balneari.