Cronache

Una sentenza dissennata, di Armando Verdiglione

 

Di Armando Verdiglione

Il fantasma di evirazione (Entmannung) è il fantasma materno. Gaia consiglia all’ultimo dei Titani, Crono, di evirare Urano. L’ultimo dei Titani è il settimo o è il dodicesimo?

Al di qua del sistema di cielo e di terra, Gaia (la Terra) consiglia a Crono – il tempo, il taglio, il falcetto – di evirare Urano (il Cielo). Crono è armato di falcetto: con la mano sinistra afferra i genitali di Urano, con la mano destra brandisce il falcetto e taglia. Dal Cielo, in virtù del taglio, sgorgano gocce di sangue. E nasce la dea triforme, la dea triplice, e le tre Erinni.

La dea triforme: Ecate, Demetra, Persefone. Le tre Erinni: Aletto, Tisifone e Megera. Alcune gocce cadono sulla terra. Altre gocce vanno nel mare e nasce la dea, bella: Afrodite. Secondo un’altra ricostruzione, invece, nascono le ninfe Meliadi, che non sono come le Erinni, dee della vendetta, sono dee benigne.

Che cosa vendicano le Erinni? La morte della madre o la morte del padre? Crono, a Roma, si chiama Saturno. Ha una sorella, che sposa: si chiama Rea.

L’Areopago: due più due recherebbe il segno uguale. Questa è l’assurdità dell’Areopago. Anche Leibniz si rende conto che due più due non reca il segno uguale. Ma, qui, interviene la purezza. Qual è l’idea, la dea pura? L’idea, la dea che non ha bisogno della madre per nascere, per prosperare, per regnare, per governare, per trionfare. Non ha bisogno del malinteso. Ha bisogno dell’intesa. È vergine non madre. Sullo scudo di Atena, Medusa è madre non vergine. Atena delibera.

Eraclito: “Il sole non oltrepasserà le misure, altrimenti le Erinni, soccorritrici della Giustizia, lo scopriranno”. Il sole deve morire e rigenerarsi.

Le Parche, o Moire (Cloto, Lachesi, Atropo), le Erinni, le Eumenidi, le Grazie (Aglaia, Eufrosine, Talia), le Arpie (Aello, Ocipete, Celeno). Le Parche: il fantasma di origine, il fantasma di durata, quindi senza tempo, il fantasma di fine del tempo. La dea triforme. La repubblica ideale, l’istituzione ideale: l’istituzione triforme. Così, l’ideale costituzionale è algebrico, l’ideale istituzionale è geometrico. Il risultato dell’ideale geometrico è la necropoli. Il probabilismo, il possibilismo, la necessità ontologica, la statistica, la giustizia ontologica osservano il culto della donna triforme o della dea triforme. E così ogni copertura istituzionale, ogni corporazione, ogni casta. Ciò che importa, sempre, è il successo del cerchio.

Apoteosi del madrinaggio (marrainage): la donna è signora del cielo, signora della terra, signora dell’inferno. Domina. Presiede l’istituzione pura.

Ci sono rappresentazioni, raffigurazioni, iconografie della donna triforme: con tre teste, con sei braccia, con tre corpi. Ecate tiene la chiave, il serpente e la ruota. Ecate è la dea della renovatio, la dea della salvezza, la dea della “soluzione finale”. Ecate, Demetra, Persefone: la dea triforme dà e toglie la vita, genera e rigenera. Così, le Parche: il principio di piacere come principio di economia della morte. È il fantasma materno eretto a sistema: a sistema del mondo divino, a sistema del mondo umano e a sistema del mondo dei morti. Ecate è la salvatrice del sistema. Tutto ciò diventa sistema ontologico tra Platone e Aristotele, sistema di cielo e di terra: nasce la politica affidata alle Parche, alle Erinni, alla donna triforme. La politica senza la parola. La politica della parola è la politica narrativa. Sorge con il rinascimento come la politica del tempo, che si scrive, politica appunto narrativa.

 

 

Ecate: l’idealità materna. La garante della topica dei sistemi, della prima topica freudiana. La garante delle tre lune: le tre lune sono il nodo borromeo. È la donna della vendetta, del ricatto e del riscatto, della colpa e della pena. Senza la sintassi (la struttura in cui funziona lo zero), senza la frase (la struttura in cui funziona l’uno), senza il pragma (la struttura in cui funziona l’Altro). Senza la madre, senza il mito della madre, senza l’impresa, senza l’industria, la struttura dell’Altro.

Sono triformi anche le dee Arpie o le Furie degli inferi. Come triforme è la donna di denaro, la donna fallo e la donna fenice. Le donne uccello. Tutto ciò pone in risalto il varco dal fantasma materno al sistema e alla funzione materna come funzione di morte. Le Parche hanno, come corrispettivo, le Arpie. La falloforia si fonda sul matricidio. Le funzionarie di Ecate. Le professioniste di Ecate. È tutto ciò che presiede alla lite. La lite nel celeste, nel terrestre e nell’inferno è metalinguistica. È pettegolezzo: commérage, cancan, potin, ragot. È la pratica chiamata polemica, dialogo, botta e risposta, in breve monologo. È la pratica che abolisce l’equivoco, la menzogna propria dell’uno diviso dall’uno e il malinteso. La donna triforme non tollera la struttura, la struttura originaria. Non tollera la funzione di zero, la funzione di uno, la funzione di Altro. Non tollera la lealtà, cioè non tollera che le cose si dicano. Ciò che invece tollera è il detto, che le cose siano dette, ma che non si dicano. Metalinguaggio. Principio dell’intolleranza contro la diade, contro la triade, contro la struttura. Sicché la paura si fa soggettività. La paura, come il fantasma materno, si fa soggettività.

Il pettegolezzo è pratica psicoterapeutica, pratica psicofarmacologica, pratica criminologica, pratica gnostica. È quella che si chiama lite, attraverso quella che Leonardo chiama la “lingua dei litiganti”, che produce un “rumore perpetuo”. Ha due aspetti il pettegolezzo, il discorso come causa. Per un aspetto, tutto è eterno, senza tempo; per un altro aspetto, tutto è presente, sincronico. In entrambi i procedimenti, senza sessualità. La sessualità è negata dalla conoscenza, dalla gnosi. Il pettegolezzo: il tribunale del nudo è il tribunale del pettegolezzo, tribunale della messa a nudo. Il pettegolezzo è contro la diade, contro la triade, contro la struttura, contro l’Altro, contro il tempo. Ma è anche contro lo specchio, contro lo sguardo, contro la voce. Negazione dello specchio, negazione dello sguardo, negazione della voce. Sulla negazione dello specchio s’istituisce la specularità. Sulla negazione dello sguardo, la visibilità. Sulla negazione della voce, la finitezza, il pluralismo, la popolarizzazione, la luminosità. Senza lo specchio, la specularità. Senza lo sguardo, la visibilità. Senza la voce, la luminosità. Che cosa evita il tribunale del pettegolezzo, che è il tribunale della messa a nudo? La sobrietà, proprietà della rimozione; la discrezione, proprietà della resistenza; e la prudenza, proprietà dell’Altro.

Abbiamo indagato intorno all’“avvocato del diavolo”, un attante sociale del diritto canonico, ma anche intorno alla “notizia del diavolo”, che rientrava nelle modalità del diritto canonico. Il tribunale del pettegolezzo si avvale sia dell’“avvocato del diavolo” sia delle “notizie del diavolo”. Il senso sull’Altro, il sapere sull’Altro, la verità sull’Altro. L’Altro, espunto, viene rappresentato nell’animale anfibologico.

Per Tucidide, i rapporti di forza rappresentano il migliore tribunale. I rapporti di forza: la dinamica, la termodinamica, la psicodinamica, la sociodinamica, l’antropodinamica.

Che cosa, di decennio in decennio, contraddistingue l’epoca? L’epoca dell’informale, negli anni cinquanta. L’epoca della pop art, negli anni sessanta. L’epoca concettuale, negli anni settanta. L’epoca del riflusso o postmoderno, negli anni ottanta. L’epoca New Age, negli anni novanta. L’epoca dell’ombelico, negli anni duemila. L’epoca del pettegolezzo, negli anni duemiladieci.

Ciò che contraddistingue l’epoca del pettegolezzo è l’istituzione, ovunque – è questo che lo rende globale –, della denigrazione e della degradazione. Assenza dell’intellettualità, del dispositivo intellettuale, dello spessore intellettuale. La denigrazione è la reazione al sembiante, la reazione allo specchio, allo sguardo, alla voce, cioè la reazione all’oggetto, all’ostacolo assoluto e alla causa. Questa reazione poggia sull’idea che ognuno ha: l’idea che deve rendere ognuno nel successo e, quindi, nella specularità, nella visibilità e nella luminosità. Senza progetto, senza programma. Il teorema del colore è questo: non c’è più denigrazione.

Ma l’epoca del pettegolezzo è anche l’epoca in cui tende a divenire globale l’istituto della degradazione. Sono due generi di erotismo: la denigrazione è un erotismo, la degradazione è un altro erotismo. La denigrazione attiene al cannibalismo proprio del pasto senza amore, al cannibalismo paterno. E la degradazione attiene al cannibalismo proprio del pasto senza odio, al cannibalismo materno. Sia la denigrazione sia la degradazione sono erotiche, cannibaliche, demonistiche.

La degradazione: degradazione dell’impresa, della struttura, dell’industria, della città. Cioè, niente gradus. Niente dispositivo di direzione. È l’impresa senza senno, l’industria senza senno, il giudizio senza senno. La sentenza senza senno.

“Senno” indica “direzione”. L’impresa intellettuale e il dispositivo intellettuale dell’impresa. È l’impresa assennata. Da qui, il senno di poi. Che non è soltanto il senno après coup. Après coup è l’effettualità dell’itinerario: il senso e il dispendio; il sapere e la ripetizione; la verità e il riso. Ma questa è un’accezione. Il “senno di poi” è ben altro: è che le cose s’intendono. Il giudizio senza senno è il giudizio senza direzione, senza dispositivo di direzione. E senza disegno. Il teorema del disegno è questo: non c’è più degradazione del tempo. La degradazione attiene alla mentalità. Attiene allo standard ideale. E la stessa sordità è figlia della mentalità. Sordità mentale.

Il senno: oltre il diritto dell’Altro e oltre la ragione dell’Altro. Il senno esige la lingua diplomatica. Nessuna direzione senza la lingua diplomatica. Soltanto con la lingua diplomatica la politica si scrive, diviene narrativa. Entra nell’oralità, anziché nella lite.

Il senno, quindi il dispositivo di direzione, e anche il dispositivo d’intendimento, è senza fantasma di padronanza e senza fantasma di possessione.

L’epoca del pettegolezzo è l’epoca in cui è molto accentuata, caricata, l’intolleranza verso la “cosa”, l’intolleranza verso l’autismo e l’intolleranza verso l’automatismo, l’intolleranza verso la sessualità. La donna triforme è asessuata. Anche le funzionarie e le professioniste di Ecate, funzionarie e professioniste della morte e della salvezza, sono asessuate. Tutto ciò viene accentuato in questa epoca in cui Talete viene sottoposto alle donne di Tracia e ritenuto pazzo. Talete, esperto degli astri, guarda, osserva, ascolta lontano. Ma, proprio per questo, le donne di Tracia hanno un’idea per Talete, per potere ritenerlo pazzo: l’idea che, mentre egli guarda gli astri, cada nel pozzo. E lo buttano nel pozzo.

Nella nostra epoca è stata inaugurata, proprio in questi giorni, a Milano, una mostra di arte con un grande scritta per chi entra: “Piace” “Non piace”. E chi ha organizzato la mostra ha commentato (il commento fa parte del pettegolezzo): Questo è il criterio, questo è il principio: piace - non piace.

La questione della donna triforme è la questione della giustizia. Le Erinni, le Eumenidi, Atena: è la questione di Dike, della giustizia ideale. La giustizia ideale deve vendicare l’ingiustizia. Il mondo è ingiusto. La “cosa” è intollerabile, il narcisismo è intollerabile, quindi è ingiusto. Gli atti sono ingiusti, i gesti pure, le immagini altrettanto. Le parole, le cose sono ingiuste. Allora, bisogna che ci sia un risarcimento, una vendetta per questa ingiustizia, bisogna che ci sia una “compensazione”. La giustizia ideale vendica l’ingiustizia. Erinni e Eumenidi: la giustizia anfibologica. Il ritorno all’origine. La cosa è ingiusta, deve giustificarsi attraverso la vendetta, quindi attraverso la colpa e la pena, attraverso il ricatto e il riscatto. L’ingiustizia del mondo deve essere “compensata“, deve essere vendicata con un ritorno alla divina proporzione, all’origine. La parola è senza giustificazione. La cosa è senza giustificazione. E questo non è tollerato. Il modello della giustizia ideale è il modello della giustizia sociale, procedendo dalla logica predicativa, dalla logica modale, dalla logica distributiva, che assumono il fantasma materno.

Maximilien de Robespierre: il Terrore è la giustizia severa come lo strumento della virtù morale. Questo è ciò che Robespierre enuncia nel 1794. La virtù morale è ciò che segue Hitler in funzione dell’Olocausto, rispetto al compito che assume, rispetto all’Europa, a est e a ovest: egli fa tutto in nome della virtù morale. Che cosa dice Hitler? Gli umani vogliono. Che cosa vogliono? Vogliono l’avventura, la gloria, il sacrificio di sé. La volontà sacrificale: il sacrificio di sé e il sacrificio dell’Altro. La volontà sacrificale come volontà di bene per affermare la giustizia universale, il purismo universale, per affermare la rigenerazione del mondo, la palingenesi cosmica, la renovatio sotto l’impero della virtù morale. Sotto l’impero, oggi, dell’islam: distruggere i crociati, distruggere tutti coloro che non si sottomettono.

Distruggere o con la sottomissione o con lo sterminio è il compito assunto dalla virtù morale, dalla volontà di bene, anche come volontà sacrificale. Il sacrificio di sé. Il sacrificio dell’Altro.

Sono in buona fede le Erinni? Sono in buona fede e sono per quello che, per loro, è un buon affare. La buona fede è il fantasma di padronanza. Volontà di bene. Volontà sacrificale. Il buon affare è la soppressione dell’affare della parola, del fare, della struttura dell’Altro. Sul principio della negazione della parola nel suo numero e nella sua cifra.

L’epoca del pettegolezzo è l’epoca in cui il valore intellettuale è abolito. Il valore intellettuale, cioè la cifra della città, la cifra dell’impresa, la cifra della parola, la cifra della vita. È l’epoca senza qualità. È l’epoca della vita senza qualità. Anche della vita civile e sociale senza qualità. Lo abbiamo notato nei miti che poi diventano mitologie, diventano sistema: la dea triforme, le Parche, le Moire, le Furie, le Erinni.

 

Così tre giudici – una più due – e tre accusatrici – una più due. Dunque, la sentenza senza direzione, la sentenza dell’intolleranza verso la realtà intellettuale, verso l’impresa intellettuale, verso il dispositivo intellettuale.

Gli aggettivi e gli avverbi sono dominanti. In assenza di prove. In assenza di narrazione. Appartengono alla lingua di legno.

La parola che più ricorre è la parola “francamente”. “Francamente” viene esposta la “superstizione” che si chiama ideologia della vendetta. È una religio sociale. È la religione del valore sociale che non è il valore intellettuale. Il valore sociale è quello della specularità, della visibilità, della luminosità. È il valore del pettegolezzo. La religio sociale è quella della divina proporzione. Ma è una superstizione che esige la volontà sacrificale, la messa a nudo attraverso la falsificazione e il pettegolezzo.

Viene recuperata tutta la demonologia del processo precedente, ancora più volgarizzata. È il fantasma di plagio e il fantasma di contaminazione sul modello algebrico. È il fantasma d’infezione e il fantasma di telepatia sul modello geometrico. Trionfa il principio d’intolleranza rispetto all’impresa, al fare, al tempo, all’Altro. Trionfa il principio di degradazione cannibalica.

Viene ripreso quello che si chiamava, nel processo dal 24 giugno 1985 al 28 ottobre 1992, il “capo carismatico”, qui chiamato anche il “leader carismatico”. Ma sempre dominus, sempre fantasma di padronanza. Ma non la padronanza ontologica. Ricorre la zoologia fantastica, ricorre “il sistema”, “il meccanismo”. Tutto ciò che è realtà intellettuale, quindi il servizio, l’opera d’arte, il restauro – il valore del restauro, il valore delle opere d’arte, il valore dei servizi –, il valore intellettuale della vita, l’intervento di ciascuno come dispositivo: tutto ciò viene chiamato “gratuità”. La “gratuità” denota che i servizi, le opere d’arte, il restauro, gli immobili, nel loro valore, non “sussistono”.

Chi interviene in un’impresa propria di una società, attraverso i suoi dispositivi, quindi con un dispositivo intellettuale, in quanto partecipa a un’associazione culturale che è socia di questa società, non lo fa per percepire una remunerazione: lo fa rispetto all’impresa stessa della società. Allora, ciò che una società fattura a un altro ente, a un’altra società, non ha valore, non sussiste, perché è “gratuito”? Ma sta nello statuto di ciascuna associazione (che è socia di una società) che il contributo associativo di ciascuno è libero, quindi gratuito (“gratuito” in questa accezione!). Ma l’intervento di una società rispetto a un’altra, dove i soci partecipano e prestano la loro opera (anche gli amministratori, anche non pagati), non può essere “gratuito”, deve essere formalizzato, deve scriversi.

Questa è la questione dei servizi, dei lavori o delle opere d’arte. Se io vendo un’opera d’arte a una società e appartengo a un’associazione, allora io non ho fatto la vendita? L’idea che guida la sentenza è quella del dominus – quindi del fantasma di plagio e del fantasma di contaminazione, del fantasma d’infezione e del fantasma di telepatia. Il tribunale agisce mettendo a nudo il dominus.

Se noi leggiamo la sentenza con un certo distacco, come leggiamo documenti, sentenze, in varie epoche, in vari paesi, riscontriamo un sistema morfologico, un canone, una modulistica, un’impalcatura ideologica.

Allora, fin dall’inizio della sentenza leggiamo: “Motivi della decisione”. Che non sono i motivi della sentenza. Bisogna distinguere tra “decisione” e “sentenza”. Chi redige questo scritto – fra le tre donne giudici – parte dalla sintesi, perché scrive che intende “fornire un quadro di sintesi sull’attività del movimento”. Attenzione: “attività del movimento” sì, ma attività dell’impresa no! “Movimento” o “giro”. “Movimento” di fatture, “movimento” di assegni e bonifici, o “giro” di fatture, “giro” di assegni e bonifici. Come “movimento“ sì, ma nessun controllo della rispondenza fra assegni o bonifici e fatture, perché questo atterrebbe all’attività d’impresa. Infatti l’impresa non viene tollerata. Quindi: “Un quadro di sintesi sull’attività del movimento riconducibile” al dominus, “punto di riferimento e terminale decisionale di ogni iniziativa […]”. Poi: “In tale ottica”. Quindi, il “quadro di sintesi” è già l’”ottica”: cioè non è che, subito, le donne giudici dicano che tutto il movimento era criminoso: no, concediamo. Che cosa? “In tale ottica, tuttavia, e per evitare equivoci”, per evitare equivoci, per evitare malintesi, per evitare la menzogna dell’uno, “occorre tenere sin da subito ben distinti due diversi piani”: qui li chiama “piani”, poi li chiamerà “linee”, “piani della attività operativa concretamente realizzata”, è una cosa carica, supercarica, secondo un concentrato sostanziale e mentale, “concretamente realizzata” dal dominus “e dai suoi più stretti collaboratori”.

Questi due piani diventano, poi, due “lati”: “Da un lato, la condivisione di un progetto globale di natura culturale”, condivisione, “funzionale al cosiddetto ‘Secondo Rinascimento’”, il progetto sarebbe funzionale al “cosiddetto”!, “e alla diffusione di un messaggio teorico anti-ideologico”, ma se l’ideologia è quella dell’invidia, della vendetta, per ciò del ricatto e del riscatto, questo messaggio non è ideologico, non è anti-ideologico, è senza ideologia!, “con la conseguente: organizzazione di mostre di opere d’arte, convegni, conferenze, attività di brainworking”. Che cos’è, per loro, l’”attività di brainworking”? La conferenza del sabato e i corsi regionali per la formazione e basta! E, poi, per esempio, ci sono due corsi, quello del brainworker e quello del cifrematico, che, dicono, non sarebbero mai avvenuti. Eppure, abbiamo pubblicato due libri, Master del brainworker e Master del cifrematico, di cui abbiamo dato le fotocopie, che sono l’esito di questi corsi! Prosegue: “pubblicazione di libri e opere di autori anche stranieri; richiamo di artisti, poeti, psicologi […]”! Dal 1973, io non ho mai invitato uno psicologo in un congresso. “attività […] mai messa in discussione o negata neppure dalla Pubblica Accusa. Dall’altro, e in parallelo”: quindi, questo era un parallelo. Ecco le due linee parallele, il segno uguale, =. “Dall’altro, e in parallelo, la ossessionante”: le tre donne giudici sono psichiatre! “Ossessionante”, poi diranno “frenetica”, “spasmodica”: sono esperte di psicopatologia e di psichiatria. “[…] la preordinata costruzione o comunque sfruttamento di una galassia di società e associazioni”: questa è la “visione del mondo”, la superstizione. Per loro, la galassia è un mondo. Un mondo ingiusto.

E il processo scompare, il dibattimento pure. Tutte le acquisizioni, le prove, le testimonianze, i documenti, le dichiarazioni orali e scritte, tutto scompare. Che cosa, invece, ritorna, raffazzonato, affastellato in maniera frettolosa, precipitosa, ripetuto tante volte, sotto tanti cappelli e cappellini? Questo ritorno è il meccanismo benefico da parte di donne vendicatrici, cioè salvatrici, come Ecate, l’idea della salvezza. Le tre donne giudici riportano commenti, pettegolezzi. Riassumono, forzando e ulteriormente caricando, le informative della Guardia di Finanza (prima informativa, seconda informativa). Riassumono, deformando, stravolgendo, falsificando, commentando, “verbalizzando”, le intercettazioni, le segnalazioni da parte delle banche di anomalie (lo scarto fra il saldo liquido e il saldo contabile determina uno “sconfinamento” rispetto al fido accordato, lo “sconfinamento” viene chiamato “anomalia”). Le intercettazioni sono prese durante il periodo da aprile a luglio 2009, cioè dopo la “calata” dei trecento marescialli.

Le tre donne giudici riprendono anche i corsi di formazione di quindici anni or sono. Anche per questi corsi scrivono che, se un esponente del movimento, dell’associazione, ha tenuto un corso e ha ricevuto un contributo e lo ha donato all’associazione, questo significa che ha lavorato gratuitamente e allora questo lavoro non esiste. Ma i corsi di formazione, con formatori, si sono tenuti! Se queste persone, esponenti di un’associazione, l’hanno fatto come contributo, ciò non toglie il valore del loro servizio. Ciò che fa un esponente dell’associazione come contributo non può essere tolto perché contributo! I corsi erano di qualità e sono diventati anche libri ormai classici.

Queste cose non hanno nessuna incidenza rispetto al processo e neanche rispetto alla sentenza: vengono buttate qui per rendere speculare, visibile, luminoso il “bestiario” superstizioso, ideologico delle tre donne giudici. Infatti, la maggior parte delle pagine della sentenza sono semplicemente l’elenco delle fatture emesse, solo di quelle emesse!, e il resto sono ripetizioni entro lo stesso canone. Noi abbiamo risposto a ciascuna accusa enunciata nella requisitoria scritta e nella requisitoria orale del Pubblico ministero e nella memoria delle due avvocatesse, “patrone” delle due banche.

Io ho consegnato un volume con le risposte dettagliate a ogni quesito, a ogni accusa, e anche documenti importanti rispetto all’accusa, il 17 dicembre 2015: dopo quaranta minuti d’intervallo, la sentenza. A tutte le obiezioni ripetute nella sentenza io avevo già risposto anche nelle dichiarazioni del 31 marzo. E Cristina Frua De Angeli nella sua dichiarazione del 19 maggio e in quello che ha consegnato il 10 settembre. E anche Mariella Borraccino, Fabiola Giancotti, Enrica Ferri, Eveline Sautaux, Carla Vazzoler hanno risposto. E gli avvocati hanno efficacemente smontato ogni accusa.

Nella sentenza, questi due livelli, questi due piani, queste due linee, poi, si confondono. Infatti: “Il tribunale ritiene che siano state acquisite prove assolutamente certe”. “Ritiene”: se il tribunale ritiene, allora non ha prove. Sono probabili, cioè senza prove, perché, altrimenti, il tribunale non dovrebbe ritenere, ma constatare. Ma, qui, il tribunale non constata: “ritiene”, pensa, crede, opina, opta! Forse è questa la “decisione”? Un’opzione ideologica? Prove “acquisite”, quindi, in maniera metafisica. “Prove assolutamente certe”. Intanto la certezza riguarda soltanto la frase, la realtà frastica. Non riguarda la realtà sintattica né la realtà pragmatica.

Poi: “in ordine al ruolo di capo carismatico”. Ecco: ciò che attraversa l’intera sentenza è questa presunzione, questo pregiudizio: il capo carismatico, il leader carismatico. Nel primo processo, il Presidente aveva chiesto: “In che senso Lei è il capo carismatico?”. E io rispondevo che non condividevo in nessun modo l’ideologia della Scuola di Francoforte, che crede nel capo carismatico. “Il tribunale ritiene che siano state acquisite prove assolutamente certe in ordine al ruolo di capo carismatico di Armando Verdiglione in quanto l’occasione dell’ideazione del programma criminoso è riconducibile al suo progetto globale di attuare un secondo rinascimento”! Senza questo “riconducibile” non ci sarebbe il meccanismo criminoso, il programma criminoso. Poi, io avrei un “progetto globale di attuare un secondo rinascimento”! Il secondo rinascimento non è qualcosa che debba attuarsi: riguarda la scienza della parola, la sua aritmetica, la sua cifratica. Rinascimento “secondo”, perché originario. Non è che debba attuarsi. Per le tre donne giudici, è come se fosse un progetto ideale. Il secondo rinascimento non è un progetto, né un programma: è il rinascimento della parola e la sua industria, che procedono dal due, dall’apertura intellettuale. Non è un “progetto globale” da “attuare”. A questo punto, nella sentenza non ci sono più i due piani, c’è un solo piano: il programma criminoso è riconducibile al progetto globale – criminoso, quindi – di attuare un secondo rinascimento. La superstizione e l’ignorantismo garantiscono il cannibalismo.

Siccome l’incaricato del tribunale che ha trascritto gli interventi orali non sapeva che cosa fosse “cifrematica”, aveva scritto “cifra ematica”, per tutta la sentenza le donne giudici scrivono “cifraematica”! Una rivista s’intitola “La cifrematica”, alcuni libri s’intitolano Il manifesto di cifrematica, il Master del cifrematico, La rivoluzione cifrematica. Questi libri, li abbiamo prodotti, ma le donne giudici non hanno fatto nemmeno lo sforzo di leggere le copertine. La “cifraematica”: sarà la cifra che produce sangue? Saranno le gocce di Urano? Sarà questo il valore sociale delle tre donne giudici contrapposto al valore intellettuale?

Nella sentenza, “Il progetto globale di attuare un secondo rinascimento” dà “l’occasione” al dominus “per l’ideazione di un programma criminoso”: quindi io avrei cercato l’occasione per un programma criminoso! Come faccio a trovare questa occasione? Beh: devo attuare il progetto globale del secondo rinascimento! Non è nemmeno di copertura questo livello: è “l’occasione”. Loro, comunque, questa copertura la tolgono, per mettere a nudo, per mettersi a nudo.

E confondono tra grafiche e opere d’arte! Tutto quanto si acquisisce nel dibattimento in tribunale, da loro, non viene ammesso. Così, a un certo punto del dibattimento, la Presidentessa domanda al maresciallo Mincarini: “Non era il caso che Villa San Carlo Borromeo vende cento grafiche d’arte [grafiche, attenzione!] alla società X e lo stesso giorno le vende anche alla società Y?”. Il maresciallo risponde: “No”. La patrona di Banca Etruria, invece, cancellando, dice: È avvenuta nello stesso giorno. Qui la sentenza cancella ancora tutto e scrive che è avvenuto il passaggio di opere d’arte (confondendo, scrive: “opere d’arte” anziché “grafiche”) da una società all’altra, aumentando, ogni volta, il valore. Mai nessuna opera d’arte è stata venduta da una società all’altra: le opere d’arte sono vendute da una persona o da un’associazione a una società, per il suo museo; poi, la persona o l’associazione ha ceduto il suo credito a chi è socio di quella società.

Nel dibattimento, la Presidentessa fa una domanda a Ariane Schindelholz: “Perché sono state fatte le fatture?”. Ariane risponde: “Perché ci sia una scrittura sul valore di questo lavoro”. La Presidentessa: “Non hanno pensato di fare un promemoria, invece di fare una fattura?”. Ariane ribadisce che, siccome erano servizi effettivamente forniti, dovevano formalizzarli, scriverli, come amministrazione. Tanto i servizi resi quanto i servizi ricevuti vanno formalizzati, perché hanno un valore, dice Ariane Schindelholz in maniera semplice e precisa. Nella sentenza, il riassunto è che, secondo la dichiarazione di Ariane Schindelholz, avrebbero fatto queste cose per un promemoria! È uno stravolgimento completo degli elementi del processo.

Nella sentenza scompare l’analisi, scompare il dettaglio, cioè il tempo che interviene nel fare, nel pragma nella dimensione di sembianza. Scompare il fare, quindi l’impresa. La società non esiste. È lì così, formalmente. Scrivono che non c’è reddito, quindi non c’è l’imponibile sul reddito: allora, non c’è evasione né rispetto all’Irap né rispetto all’Ires, perché non c’è la capacità contributiva. Dunque quella società non ha né evaso né favorito evasione da parte di altri. Riconoscono che non c’è evasione perché non c’è reddito. Perché, addirittura, non c’è attività d’impresa. Ma, allora, se è questo il ragionamento per l’Irap e per l’Ires, è un ragionamento anche per l’Iva, allora non è evasa nemmeno l’Iva. Quindi, nella sentenza le giudici scrivono che è un’attività senza reato, che non c’è il reato fiscale! Salvo poi, per l’Iva, fare la forzatura, salvo poi scrivere che per l’Iva c’è l’art. 21, comma 7, del decreto n. 633/72. Eh no, se tu hai scritto che non c’è reddito, che non c’è l’attività d’impresa. Allora: o c’è attività d’impresa e, quindi, non c’è stata evasione, perché valgono tanto le fatture emesse quanto le fatture ricevute; oppure, come tu scrivi, non c’è stata attività d’impresa – le società non esistevano –, quindi non c’è stato reddito. Fra parentesi, nella sentenza, concedono che le società svizzere esistono. Mentre nella requisitoria, il Pubblico ministero sosteneva che non esistevano né le società svizzere né quelle italiane! Confusione, sommarietà, frammentarismo, fumosità. Nullismo.

La sentenza scrive, praticamente, che non c’è stato reato fiscale. Ma, con una forzatura, attribuiscono il reato per l’Iva.

Hanno voluto imbastire, a tutti i costi, una condanna, per rinsaldare tutto ciò che è stato costruito in sette anni. Altrimenti, la loro gigantesca falloforia si sarebbe volatilizzata.

Hanno portato nella sentenza, pateticamente gravando, tutto ciò che non è stato discusso nel dibattimento: sommarie informazioni testimoniali, informative della Guardia di finanza, segnalazioni bancarie.

Non è una sentenza. È un’intesa di casta. L’intesa senza nessuna intelligenza delle cose, senza nessun intendimento