Culture
Aldo Moro, la Chiesa apra gli occhi. Per la sua Puglia non ha fatto nulla
Aldo Moro, i voti dei cattolici e la questione meridionale mai risolta. Non solo... L'ANALISI
Di Gaetano di Thiène SCATIGNA MINGHETTI
Sono addolorato; sono in lacrime. Al tempo stesso, allibito: la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, alla quale io stesso, la mia famiglia, i miei antenati, prossimi e remoti, abbiamo dato tanto in termini di energie mentali, fisiche e di cuore; alla quale abbiamo conferito, lungo il corso storico dell’esistenza degli Scatigna - de Schatineis, nei giorni più remoti del proprio itinerario familiare genealogico, con preti e canonici ad ogni generazione - risulta oggi, per colpa di gerarchie insipienti, conniventi consapevoli, sin dalla genesi, dell’orrendo fenomeno che ne corrode le radici e gli indefettibili principi che l’hanno connotata già dalla sua origine, allorché il Cristo Signore ne affidò le sorti alle provvide cure dell’apostolo Pietro, risulta, affermavo, essere una Chiesa assediata dai pedofili e dalle lobbies interne dei gay e degli omosex. Una Chiesa insidiata dal laicismo e dalla mondializzazione; che trascura, deliberatamente, i cristiani, che colloca, in modo sistemico, i cattolici in disparte per considerare, con pensiero acritico, altri credi, ponendo sullo stesso piano religioni che, nei propri intimi precordi, albergano sentimenti di morte; motivi di distruzione e rovina. Una Chiesa, ancora, che, da alcun tempo a questa parte, privilegia il Vecchio Testamento - il primo libro pornografico, in termini cronologici, apparso sulla faccia dell’orbe terracqueo - a scapito del messaggio, della lezione, del Vangelo che costituisce, qualunque sia la considerazione nel merito della cosiddetta gerarchia, il documento fondante della Chiesa stessa. La quale, altresì, segue, a lume di quanto ora sta accadendo, ha sempre seguito, una doppia morale, un’etica ambivalente, che conta su di una sorta di archetipo, di prototipo primigenio, nella figura di un predicatore fiorentino, il padre Francesco Zapàta (1609 – 1672), dall’azione del quale ha tratto origine l’espressione video meliora proboque, deteriora sequor.
È il ritratto penoso, la fotografia opaca della Chiesa Cattolica al tempo del gesuita Bergoglio che, fornendo un’esegesi masochistica della narrazione evangelica per favorire l’accoglienza indiscriminata dei migranti, insieme con altri confratelli della stessa risma, ha tradito il Vangelo e la difesa della Fede, come gli impone la regola del fondatore, il milite spagnolo Ignazio di Loyola, che prescrive di preservarne l’integrità e la purezza dall’insidie del mondo, dalle trappole dei nemici, dagli assalti degli avversari, perinde ac cadaver, per esaltare, sempre e comunque, la Chiesa trionfante al di sopra di tutto e di tutti in un crescendo funzionalmente esaltante che ne consacri l’esistenza fino al culmine sommitale della vita e della sua proiezione oltre mondana.
Una Chiesa che, nei momenti odierni, intende sprofondare negli abissi del ridicolo con il voler proporre all’edificazione dei fedeli, alla dulìa, al culto di venerazione, una figura quanto meno ambigua, a tutto tondo deleteria, che ha predominato per lunghi anni nell’ambito della vita civile e politica italiana, determinando, negativamente, i destini di milioni di cittadini della Penisola, attraverso la capillare organizzazione partitica di un gruppo di “pescecani” che, sotto lo scudo protettivo della Croce e la malleveria della Chiesa italiana, che non gliene ha mai chiesto conto, anzi avallandone con giuliva incoscienza tutto l’operato, ha imperversato imperterrito per quasi cinquant’anni impedendo all’intero Paese ogni sviluppo delle potenzialità e l’integrale autonomia del pensiero. Aldo Moro (1916 - 1978) risulta essere il suo nome e nociva la sua presenza sia nell’ambito della cultura giuridica italiana che nella dialettica politica e amministrativa dello Stivale! Il quale, tutt’ora, soffre delle sue scelte infelici e miopi che ne hanno marchiato, in modo indelebile, la mentalità e i proponimenti.
La cosiddetta “questione meridionale”, a tutt’oggi, non è stata risolta come documenta, con scansioni quasi settimanali, sulle pagine del maggiore quotidiano pugliese, un suo ex direttore, tanto da sfiorare talvolta, il tedio, la noia. Aldo Moro, ad ogni tornata elettorale politica veniva “plebiscitato” con centinaia di migliaia di voti personali, ma mai che abbia almeno avviato a soluzione lo spinosissimo problema che angustia, che soffoca, ormai da secoli, come un capestro jugulatorio, la quotidianità civile e politica delle genti laboriose del Mezzogiorno d’Italia. Di tutto ciò è colpevole altresì, e lo ripeto, la Chiesa italiana che, con la sua sottile, quasi subliminale, azione persuasiva, riusciva a convogliare su questo politico una valanga di consensi dei quali non gli ha mai chiesto conto di come egli li impiegasse. Il quale si limitava ad usarli per vincere le lotte di potere negli sporchi giochi partitici che improntavano la realtà politica dell’Italia, sin dall’immediato secondo dopoguerra, per approdare alle vicende di “tangentopoli” che hanno spazzato via, definitivamente, innumeri velleità, segnando un discrimine ineludibile nella cronaca e nella storia amministrativa dello Stivale, e per compiere piccoli favori personali, concretizzando raccomandazioni per spianare le carriere scientifiche nelle università e nei gangli più vitali dell’alta burocrazia statale.
Per ben cinque volte costui ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio e nulla ha compiuto per la propria terra d’origine. Anzi, in quelle circostanze, rifiutati dal Settentrione, sono stati impiantati due leviatanici mostri, a Brindisi il petrolchimico della Montecatini ed a Taranto il siderurgico, attualmente denominato “ILVA”, che insieme al cementificio, presso la cittadina di Statte, nelle immediate vicinanze del capoluogo jonico, stringono in una morsa a tenaglia l’alta Terra d’Otranto: fomiti incessanti di malattie subdole e letali che colpiscono grandi e bambini con vigliacca metodicità.
Vergognoso, per Aldo Moro, sul versante della cultura, l’incontro a Roma - in Italia per una visita di Stato -, con il Presidente del Senegal, Leopold Sedar Senghor (1906 - 2001), notoriamente un poeta di alta vaglia e un latinista esperto e di molto spessore. Al momento del brindisi augurale, il Capo senegalese, convinto che, trovandosi nella culla della civiltà latina e patria, nei secoli, degli studi umanistici, potesse essere opportuno, per rendere loro uno speciale omaggio, rivolgersi agli ospiti italiani nella lingua di Virgilio. Desolatamente, l’interlocutore italiano, per tutta risposta, cavò di tasca una “cartuscella” di piccoli appunti e farfugliò una risposta, in italiano, incapace neppure di rispondere al Presidente senegalese, nella propria lingua originaria, senza il supporto cartaceo di un promemoria vergato da chissà quale piccolo, anonimo shèrpa per sopperire agli jati che inficiano la vita e l’esistenza, sia politica che squisitamente sociale, dei cosiddetti esponenti politici.
La grandissima Gianna Preda aveva intuito l’ipocrisia e la doppiezza di fondo di costui che, ogni mattina, “inghiottiva” una sacra particola per poi partecipare alle diatribe giornaliere di un partito che, con l’inganno più becero, rastrellava i voti dei cattolici per poi barattarli negli interscambi equivoci con i comunisti che ne approfittavano per occupare subdolamente e alla lettera, tutti i più delicati spazi vitali dello Stato democratico con la sua tacita complicità.
La giornalista, sulle pagine del settimanale “Il Borghese”, con acuta e brillante perspicacia, ne smascherava, quasi settimalmente, la dimensione doppiogiochista apostrofandolo con gli epiteti feroci e sferzanti di “l’uomo di Maglie” e “bacchettone barese” che troveranno un incontrovertibile riscontro nelle lettere scritte dalla prigionia nelle mani delle brigate rosse chiamando in qualità di correi tutti coloro che con il suo estenuato assenso avevano sguazzato intorno a lui a danno dell’Italia e degli Italiani onesti.
Ora, i vedovi perenni di Aldo Moro e gli inconsolabili nostalgici di quei “tempi d’oro” intendono ripulirsi la coscienza tentando di avviare, con la complicità di alcuni esponenti ecclesiastici, il processo canonico per certificare la santità di questo individuo moralmente sordido che ha fatto più danni lui al Meridione della Penisola di tutti gli eserciti francesi e spagnoli che su queste martoriate terre si sono scontrati, senza soluzione di continuità, e su di esse hanno, lungo il corso dei secoli, bivaccato come insaziabili sanguisughe.
La Chiesa universale trema e si dispera della sua salvezza per i colpi assestatile dalle esiziali decisioni del gesuita Bergoglio. Come rimediare? Come salvarla? Soltanto con un profondo percorso di ri-tridentinizazzione, ossia la reviviscenza del valore e dei principi perenni rivitalizzati dalle risoluzioni adottate dal Concilio di Trento (1545 – 1563), per “sconvolgerla”, in capite et in membris, in un lavacro totale, in una salvifica metànoia che la purifichi, finalmente, dalle scorie velenose e dalle sedimentazioni che la soffocano e la travolgono. Perniciosi frutti del “Vaticano II”.
Altro rimedio non esiste. Altra via non c’è.