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"E=mc2 la formula più famosa" diventa accessibile a tutti. Il libro

"E=mc2 la formula più famosa", il libro di Vincenzo Barone. La recensione

Di Lidia Sella

Vincenzo Barone, docente di Fisica teorica all’Università del Piemonte Orientale, con la consueta maestria del grande divulgatore, ha confezionato per noi un altro splendido dono, il saggio intitolato - la formula più famosa, edito nell’aprile 2019 da Il Mulino. Questo agile volumetto non solo infatti illustra in modo autorevole e puntuale la relatività di Einstein, ma ha il merito di renderla accessibile anche a un pubblico profano. Lungo il percorso, l’autore ci accompagna con aneddoti intriganti, parentesi ironiche e frequenti rimandi a tanti e diversi ambiti del sapere. La scienza, al centro. Attorno, un corteo di pianeti: storia, arte, musica, filosofia, poesia, narrativa, mondo digitale... seducenti divagazioni, reti gettate per catturare l’attenzione. Scelta che riflette una concezione illuminata della conoscenza, tesa a un triplice obiettivo: conciliare studio e divertimento; sanare la dicotomia didattica tra umanesimo e scienza; sfidare il solipsismo specialistico che contrassegna alcune discipline. Tale approccio metodologico rispecchia una visione dove alla fine tutto si intreccia, un po’ come nelle maglie dello spaziotempo. A ben riflettere, persino noi umani siamo capsule di spaziotempomateriaenergia. E, mentre siamo intenti a meditare sullo strano miscuglio di cui siamo formati, le entità fondamentali dell’Universo sfruttano i nostri cervelli, che in un certo senso hanno concorso a costruire, per interrogarsi su sé stesse. E, grazie all’acume dei Sapiens incrociati con il Neanderthal, forse un giorno potranno finalmente agguantare tutte quelle risposte che inseguono da miliardi d’anni. A proposito di pensiero speculativo, Barone lamenta la scarsa inclinazione della filosofia a ragionare sui sensazionali traguardi messi a segno dalla scienza.

Una grave, inspiegabile lacuna. Tuttavia si potrebbe forse spezzare una lancia in favore di Heidegger. Egli non aveva che sedici anni quando, nel 1905, Einstein teorizzò la relatività speciale. Ma una ventina d’anni più tardi, il 25 luglio 1924, dinanzi ai teologi di Marburgo, tenne una conferenza su Il concetto del tempo. E, nel 1927, diede infine alle stampe Essere e tempo. Possibile che, a ispirare la sua produzione, oltre ai presocratici, ad Aristotele, a Spinoza, Hegel, Husserl e Hölderlin, non abbia influito, E = mc2 E = mc2 almeno in minima parte, anche la sconvolgente intuizione di Einstein sulla relatività? Queste due menti eccelse, in fondo, sono state quasi contemporanee. E divorate entrambe dalla medesima sete di esplorare i segreti meandri del tempo. Riguardo invece al resoconto sulle principali tematiche affrontate da Barone in questo libro, qui ci limiteremo a una carrellata per punti salienti, qualche lampo soltanto, piccoli assaggi a nutrire la curiosità del lettore.

A proposito di relatività, circola una falsa convinzione, una frase che si sente ripetere di frequente, e cioè che tutto è relativo. Si tratta di un’affermazione, ci avverte Barone, vera solo a metà. È relativo, in effetti, il moto dei corpi, nel senso che posizioni, velocità e traiettorie appaiono differenti a osservatori diversi. Però non sono relative le leggi che governano la relatività, né quelle che regolano tutti gli altri fenomeni fisici. E non è relativa neppure la velocità della luce nel vuoto, che viaggia a circa 300 mila chilometri al secondo ( per l’esattezza, 299.792.458 ), un valore che si mantiene costante in tutti i sistemi di riferimento ed è indipendente sia dal moto della sorgente luminosa che da quello dell’osservatore. Altro interessante aspetto previsto dalla relatività, sottolinea Barone, è che il tempo non è assoluto. Dipende, viceversa, dal sistema di riferimento, nel senso che ogni osservatore ha il proprio tempo. Per un orologio in movimento, il tempo scorre più lentamente. E due eventi che avvengono in maniera simultanea all’interno di un certo sistema di riferimento non risulteranno simultanei se osservati da un sistema di riferimento differente. In base a tale assunto diventa difficile, se non impossibile, distinguere tra passato, presente e futuro.

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Un’ulteriore implicazione suggerita dalla formula di Einstein, chiarisce Barone, è che la massa è una misura diretta dell’energia contenuta in un corpo. Un corpo a riposo possiede un’energia uguale alla sua massa per la velocità della luce al quadrato. Di conseguenza, a masse anche piccolissime, corrispondono energie enormi. Un chilogrammo di materia contiene 25 miliardi di kilowat- tore, quanto basterebbe a coprire il fabbisogno energetico mensile del nostro Paese. È nelle reazioni nucleari che la massa viene convertita in energia. Per radere al suolo Hiroshima e Nagasaki fu convertito in energia un solo grammo di materia. Oggi circa il 10% dell’energia elettrica mondiale viene prodotta da oltre 400 reattori nucleari. Un impianto tipico, nell’arco di un anno, sviluppa una potenza di mille megawatt e converte perciò in energia circa 350 grammi di massa. Eppure, strano a dirsi, proprio Einstein, alla fine del 1934, in merito alla possibilità che la sua equazione della relatività speciale aprisse la strada alla produzione di energia dagli atomi, si espresse in maniera negativa: “Non sono un profeta - dichiarò - ma sono sicuro (o quasi) che non sarà possibile convertire materia in energia a fini pratici.”

La più stupefacente conversione di massa in energia radioattiva si è verificata comunque a una distanza di circa un miliardo e 300 milioni di anni luce da noi. È stata provocata da uno scontro tra due buchi neri: uno più “robusto”, con una massa pari a 36 masse solari; l’altro, più “mingherlino”, con una massa di 29 masse solari. La massa del buco nero originato dalla loro fusione misura ora 62 masse solari. All’appello mancano quindi 3 masse solari, quelle che si sono trasformate nell’energia delle onde gravitazionali emesse al momento dell’impatto e che, dopo un viaggio alla velocità della luce durato appunto un miliardo e 300 milioni di anni, ci hanno raggiunti il 14 settembre 2015, e sono state captate dai nostri potenti interferometri. La formula di Einstein, prosegue Barone, descrive anche il caso in cui l’energia si materializza. Ma così come minime quantità di massa producono enormi quantità di energia, enormi quantità di energia generano, al contrario, masse minuscole. I grandi acceleratori sono fabbriche relativistiche di massa, dove l’energia cinetica delle particelle che collidono viene trasformata in energia di massa delle particelle prodotte, quali ad esempio il quark top o il più noto bosone di Higgs.

Il processo più elementare di materializzazione è rappresentato invece dalla luce che interagisce con sé stessa e, in seguito all’incon- tro tra due fotoni, produce materia. Assolta la fase del “Fiat lux”, Dio avrebbe insomma potuto mettersi in panciolle poiché, a creare la materia, sarebbe bastato l’intervento della luce. Barone ci spiega poi che il corpo umano è assai più sensibile all’energia che alla materia. Mentre i nostri occhi sono in grado di vedere anche solo una manciata di fotoni, il cui contenuto energetico è di joule, il nostro apparato tattile non riesce a percepire una massa inferiore a qualche grammo che, convertita in energia, equivale a joule. Il corpo umano è dunque volte ( centomila miliardi di miliardi di miliardi di volte) più sensibile all’energia che alla massa. Del resto la Natura è sapiente, se ha scelto questa strada, un motivo deve pur esserci. Sull’argomento, ci viene in soccorso un brano tratto da Che cos’è la vita, testo che Erwin Schrödinger, il fisico teorico austriaco insignito del premio Nobel nel 1933, pubblicò nel 1944: “Se noi fossimo organismi sensibili al punto che un atomo singolo, o anche un piccolo numero di atomi, potesse produrre un’impressione percettibile sui nostri organi di senso, cielo, che cosa mai sarebbe la vita? Tanto per dirne una, un simile organismo non sarebbe certissimamente capace di sviluppare quella specie di pensiero ordinato che, dopo essere passato attraverso una lunga serie di stati precedenti, giunge alla fine a formare, tra molte altre idee, anche il concetto di atomo.”

Da oltre un secolo, grazie al supporto fornito dalla relatività, è stato possibile scoprire, misurare e definire realtà e fenomeni che Einstein non avrebbe nemmeno potuto immaginare. , nella sua semplicità e bellezza, conclude Barone, ha in sostanza contribuito a stabilire anche qual è la struttura dell’Universo: 5% materia visibile; 25% materia oscura; 70% energia oscura. E ha altresì consentito di capire che il cosmo su grande scala è piatto, e si espande a un ritmo accelerato. Nel combinarsi con la quantistica, questa “formula magica” ha inoltre partorito il campo quantistico. E chissà quanti altri misteri ancora ci svelerà. Sul cosmo e la vita. In un futuro prossimo. O remotissimo. Con , Einstein ci ha consegnato una chiave per aprire porte su orizzonti e scenari imprevedibili. E ha regalato ai mortali la speranza che, con l’aiuto degli scienziati, suoi ingegnosi eredi, epigoni e discepoli, la nebbia dell’ignoto presto possa dissolversi. Ecco una delle ragioni per cui questo omaggio di Barone ad Einstein risulta particolarmente commovente.