Economia

Caro Conte, ecco perché Arcelor ha fallito: il contratto era sbagliato

Mario Benotti

E alla fine è dovuta intervenire la magistratura, le Procure di Milano e di Taranto adesso cercheranno di dare una verità giudiziaria a questa intricata – e delirante – vicenda che va sotto il nome di ILVA. Ma la magistratura accerta possibili reati, fornisce se del caso una verità giudiziaria ma certamente non indica linee di politica industriale, che la politica e questo Governo non sono all’evidenza in grado di indicare. I fatti di questi ultimi giorni legati all’ILVA di Taranto debbono indurre tutti a riflettere seriamente sul futuro industriale del nostro Paese. Il Governare  richiede senso di responsabilità, oggi tutti si affannano a dire la loro , si  legge di ipotesi le più incredibili da parte del Governo – ammesso che siano vere - ma tutti si comportano nella coalizione di maggioranza come se tutto fosse successo all’improvviso: E pensare che già Il Foglio dello scorso  24 ottobre scorso dava conto di una conversazione intervenuta con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Programmazione Economica Mario Turco, del M5S, Professore di Economia all’Università del Salento, in cui di fatto si illustrava   come lo sviluppo della Città pugliese “ non va visto solo legato allo stabilimento dell’acciaio incentivo alla paralisi economica di Taranto, che non ha prodotto  un effetto moltiplicatore positivo ne sul piano sociale ne su quello industriale”. Incredibile se si pensa che l’ILVA di Taranto è  il più grande insediamento siderurgico d’Europa. Bisogna avere il coraggio di dire che la crisi di oggi nasce da scelte che sono state fatte negli anni passati non necessariamente lontani  durante le operazioni di privatizzazione e cessione, ovvero durante i periodi di commissariamento a seguito di crisi, tutte scelte mai legate a temi di ordine industriale ma sempre improntate a soluzioni di natura finanziaria. Prima agli Acciai Speciali Terni dove agli inizi degli anni 90 si lasciò la libertà ai tedeschi – che avevano acquistato le acciaierie con la Krupp prima in una cordata con Agarini e Riva per poi acquistarla tutta con la Thyssenkrupp - di spostare in Germania le linee di produzione dei cosidetti  acciai elettrici per gli impieghi anche di natura elettromagnetica ( senza alcuna lungimiranza posto che oggi tutti parliamo di mobilità elettrica ) , ciò che costituiva i prodotto di punta dell’Azienda che vede quindi iniziare nel disinteresse generale il suo declino. Per quanto riguarda l’ILVA di Taranto – al di la delle vicende di carattere giudiziario, vi è un tema certamente di ordine industriale. Nel momento seguito alle indagini della magistratura si confrontarono due cordate, la Anglo-Franco-Indiana Arcelor Mittal Investco e l’italiana Acciaitalia. Arcelor Mittal offriva 1 mld 800 mln circa – oltre ad un complicato meccansimo di affitto d’azienda sul modello del rent to buy. Acciaitalia 1 mld 200 mln circa. Quest’ultima offriva 600 milioni di Euro in meno allo Stato, ma garantiva una valorizzazione delle linee produttive di ILVA e 8000 posti di lavoro., Arcelor Mittal con il suo piamo prevedeva una serie di esternalizzazioni del lavoro sulle bramme e sui coils e questo portava inevitabilmente alla diminuzione dei posti di lavoro.  La vicenda che si è ingenerata  sull’ILVA di Taranto è per questo surreale, molti all’interno del M5S adesso saranno forse contenti  ma certamente questa storia ha in se tutti i mali del Paese. E’ surreale perché – al di la di ogni altra considerazione legata all’incertezza dl diritto in Italia e allo scudo penale che ovviamente è soltanto una scusa per abbandonare il Paese peraltro di dubbia compatibilità costituzionale – sarebbe bastato qualche tempo fa alla politica fare due chiacchere e ascoltare uno dei massimi esperti mondiali dell’Industria siderurgica che è un Italiano, il Prof. Carlo Mapelli ,Ordinario di Ironmaking e Steelmaking nel Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano.

E’ stato sbagliato il piano industriale proposto da Acerlor Mittal con Marcegaglia perché la decisione di proseguire con il solo ciclo integrato basato sul carbone poteva essere accettata ma sono stati sottovalutati problemi significativi, che stanno mantenendo la produzione ben al di sotto dei 6 milioni di tonnellate che erano stati programmati – illustra il Prof. Mapelli – per tutta una serie di ragioni tecniche: E’ stata prevista – ad esempio - una scansione del piano di spegnimento e riaccensione degli altoforni che non prevedeva il rifacimento dell' Altoforno 1 al termine della sua vita tecnica utile. L’altoforno 2  è oggi  vicino alla fine della sua vita tecnica utile ed il suo rifacimento comporterebbe un investimento di circa 115M€ che non fu previsto. Senza l’Altoforno 1  con Altoforno 5 fermo non si possono garantire 6Mt/anno di acciaio prodotto a taranto dal 2018 al 2023 , data indicata per la riapertura di Altoforno 5 che è quello con maggiori prestazioni” Non si è intervenuti sul sistema di smaltimento dei gas prodotti dalle acciaierie ma i problemi non finiscono qui: ILVA non è in grado di aggredire nuovi mercati perché non sono mai stati previsti nel piano gli investimenti per dotarla di  forni siviera che consentirebbero di entrare nuovamente nel mercato dei tubi; non sono stati previsti investimenti per migliorare l’efficienza dei sistemi di trattamento sottovuoto per innalzare il livello qualitativo di diversi prodotti; manca un adeguato e rapido investimento sulle colate continue per migliorare la qualità superficiale die prodotti e limitare gli scarti di produzione, manca un’adeguata manutenzione delle centrali e dei desolforatori che impediscono alle centrali di ricevere i gas prodotti dagli impianti per la produzione del coke.

Oltre a generare problemi di produttività le carenze sinteticamente individuate nell’elenco sopra citato, i mancati interventi non hanno consentito il miglioramento della qualità dei prodotti richiesti dal mercato.

Ci sono vie di uscita? Si, risponde ancora Mapelli. Sono operazioni molto tecniche come l’immediato rifacimento dell’altoforno 2 e completa automazione del piano di colata al fine di superare in modo radicale le contestazioni  della Procura della Repubblica, e procedere con gli stessi interventi su tutti i piani di colata degli altoforni per garantire la sicurezza degli operatori; procedere nel 2020 alla manutenzione dell’altoforno 4.

I due interventi comporteranno la previsione di ammortizzatori sociali per almeno 5.000 addetti per sei mesi, soli sei mesi e non perpetui come propone Arcelor Mittal , ma consentiranno a ILVA di marciare a 6Mt/anno a partire da metà del 2020, adeguare le acciaierie con l’introduzione dei forni siviera, di cui sono dotate tutte le acciaierie concorrenti ma – soprattutto - stringere alleanze con i due principali player nazionali nel settore dei prodotti piani: Arvedi per la possibile futura condivisione della tecnologia di laminazione in linea e per saturare attraverso il materiale di Arvedi prodotto a Cremona gli impianti di Genova e Novi Ligure e Marcegaglia, per garantire a quest’ultimo la fornitura di circa 1Mt/anno di nastri prodotti da ILVA che garantirebbero a ILVA un’entrata sicura su circa il 20% della produzione e consentire a Marcegaglia di approvvigionarsi in modo competitivo”.Installare sulle cokerie il Coke Dry Quenching per recuperare energia e migliorare la sicurezza della popolazione rispetto all’emissione degli Idrocarburi Policiclici Aromatici. “

Fin qui la conversazione tecnica con il Professor Mapelli. Fino a quando la politica non si renderà conto che ILVA è solo la punta di una situazione gravissima in cui versa il Paese? Come si fa a non voler trovare una soluzione industriale ad esempio per Alitalia che non sia soltanto di natura finanziaria? Come si può pensare anche in questo caso di svendere – perché di questo sembrerebbe trattarsi – un asset importante mascherando il tutto dietro alla ricerca di un partner “industriale” come se Alitalia non fosse già in se una Compagnia aerea? Certo, lo Stato ci ha messo molti soldi, ma chi li ha spesi forse male di certo non lo faceva in totale solitudine. Possiamo mai lasciare al “ mercato” i collegamenti aerei in un Paese in cui certo non esistono grandi infrastrutture funzionanti, con un mezzogiorno non certamente florido, con un turismo il cui futuro verrebbe gestito altrove. Torneremo su Alitalia per cercare di fare un pochino di chiarezza. Ecco, occorre fare tutti una riflessione sull’industria e sul lavoro, in maniera cosciente e coerente non fosse altro per onorare la memoria di Luigi Einaudi e apprezzare il fatto che la libertà, il mercato e soprattutto la giustizia sociale vanno sempre insieme.