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Economia
Pnrr, sui tempi lite Draghi-Meloni. SuperMario: "Non ci sono ritardi”

A specificare i ritardi è stato il ministro dell’Economia Daniele Franco

Il Pnrr mette su fronti opposti Draghi e Meloni ed è la prima volta dopo il voto. Il premier uscente ha presentato ai ministri la nuova relazione sullo stato di attuazione del piano, rivendicando che “nel primo semestre del 2022, l’Italia ha raggiunto ancora una volta tutti gli obiettivi” e “non ci sono ritardi nell’attuazione”. Poco prima però le agenzie avevano battuto un lancio in cui Meloni, parlando all’esecutivo nazionale di FdI, diceva l'opposto: “Ereditiamo una situazione difficile: i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata”.

A specificare i ritardi è stato il ministro dell’Economia Daniele Franco. Che nella Nota di aggiornamento al Def spiega come “l’ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest’anno sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def”.

Il cronoprogramma iniziale presentato a Bruxelles prevedeva la messa a terra di 13,8 miliardi tra 2020 e 2021 e 27,6 quest’anno. Nel Documento di economia e finanza le cifre erano già state riviste al ribasso. Poi nel corso dell’estate la situazione è ulteriormente peggiorata: sui 41,4 miliardi complessivi che avremmo dovuto impiegare, si legge nella Nadef, saremo in grado di spenderne solo 20,5. La metà. Mancano insomma all’appello 20 miliardi che avrebbero potuto contribuire alla crescita del pil dopo il crollo dell’anno pandemico. Una “battuta d’arresto”, ammette il documento, che attribuisce i ritardi ai “tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr” e agli “effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche” che hanno mandato deserte diverse gara.

Perché Draghi si dice “pienamente soddisfatto”? Tutti gli obiettivi e traguardi previsti alla fine di ciascun semestre sono stati finora rispettati e hanno consentito all’Italia di incassare le rate previste. Dopo i 24,9 miliardi di prefinanziamento, in aprile è arrivata la prima rata da 21 miliardi e la seconda sta per essere erogata. Ma le “milestone” che la Commissione ha valutato finora sono qualitative: disegni di legge, decreti attuativi e regolamenti da approvare, relazioni da scrivere, bandi da aggiudicare. Solo nei prossimi anni scatterà il controllo sul rispetto dei target quantitativi. Ovvero l’effettiva “messa a terra” delle risorse. E su quel fronte siamo messi molto male. Il track record, ad oggi, è preoccupante. Tanto che il Tesoro, alla luce dei ritardi, ha dovuto posticipare le previsioni di spesa, scrivendo che nel 2023 – sotto la regia del prossimo governo – le pubbliche amministrazioni dovranno riuscire a mettere a terra la bellezza di 25,9 miliardi di investimenti a valere sul Pnrr. Quest’anno la cifra si è fermata a 9,5.

Draghi ne è consapevole. Non è un caso se, dopo aver detto ai ministri che l’arrivo delle risorse dipende “dal raggiungimento di obiettivi e traguardi, e da nient’altro”, ha aggiunto che “la prima fase, dedicata soprattutto al disegno e all’approvazione delle riforme, si sta esaurendo”. E “nei prossimi mesi e anni occorre attuare queste riforme sul campo, monitorando continuamente i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi quantitativi indicati nel Pnrr”.

“Occorre ora fare in modo che gli investimenti vengano portati a termine nei tempi e nei modi previsti, assicurando che le risorse europee siano spese in modo trasparente e onesto”. Insomma: se non va così, la responsabilità sarà di chi viene dopo. E ancora: “Spetta al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione, e sono certo che sarà svolto con la stessa forza ed efficacia”. Ecco perché Meloni ha fatto cadere il velo, smentendo questa lettura e avvertendo che la “situazione difficile” è al contrario un’eredità da gestire.

Quell’eredità renderà indispensabile negoziare con la Commissione qualche ritocco al piano o un allungamento del cronoprogramma, auspicato anche dal Portogallo. Dopo l’accordo raggiunto martedì dai ministri delle Finanze, il futuro esecutivo avrà anche la possibilità di aggiungere al piano un nuovo capitolo RePower Eu con interventi mirati a ridurre la dipendenza dal gas russo. A disposizione ci sarebbero fino a 2,7 miliardi, la cifra più alta (a pari merito con la Polonia) tra quelle previste per i diversi Paesi membri.

Moody's: possibile downgrade Italia senza riforme Pnrr

Moody's potrebbe procedere con un downgrade del rating dell'Italia, lasciato invariato venerdi' scorso a Baa3 negativo in una ggiormnamento dopo le elezioni politiche, qualora il Paese non centrasse le riforme contenute tra gli obiettivi del Pnrr. L'agenzia di rating specifica nel suo rapporto che il taglio potrebbe avvenire: "Se dovessimo prevedere un significativo indebolimento delle prospettive di crescita a medio termine del Paese, forse a causa della mancata attuazione delle riforme che favoriscano la crescita, comprese quelle previste dal Pnrr". Mentre la valutazione di Moody's potrebbe anche migliorare, si legge nel testo, "se le istituzioni italiane, le prospettive di crescita e la traiettoria del debito si dimostrassero resistenti ai rischi derivanti dall'incertezza politica, dalla sicurezza energetica e dall'aumento dei costi di finanziamento". 

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