Economia
Il “regalo” di Natale per gli agricoltori emiliani: paghiamo se non producete
Dimenticate il chilometro zero. La tendenza della sinistra occidentale è ridurre le produzioni agricole nei Paesi sviluppati. Dai 500 ai 1500 euro a chi...
Multinazionali e grandi gruppi si sfregano la mani. L’Agenda 2030 entra in Italia, dopo l’Olanda...
Dai 500 ai 1500 euro l’anno, per 20 anni, per ogni ettaro non coltivato, è questa l’offerta della Regione Emilia Romagna a chi non coltiva il proprio terreno.
A dicembre la Regione guidata da Stefano Bonaccini del Pd ha pubblicato un bando affinché di fatto gli agricoltori smettano di coltivare e produrre cibo sul territorio, e dà 500 euro a chi lo fa in collina e montagna, 1500 euro in pianura.
Eppure dagli stessi dati pubblicati dell’ente in altri report risulta che “negli ultimi 40 anni, la riduzione del numero di aziende agricole è andata accentuandosi. Nel 2020 le aziende sono 53.753, poco meno di un terzo delle oltre 170.000 del 1982. Parallelamente si è persa anche superficie agricola, sia totale che utilizzata (SAT e SAU): sempre rispetto al 1982, la prima è diminuita del 25%, la seconda del 19%. Ma, diversamente dalla contrazione numerica delle aziende, la perdita di superficie agricola è andata progressivamente attenuandosi”. Il processo accentuatosi, spiega l’ente, è invece la graduale riduzione delle imprese individuali a vantaggio delle società di persone e di capitali. Anche se nel 2020 quella delle aziende individuali o familiari rimane comunque la forma giuridica prevalente, l'83% del totale.
La pianura padana emiliano romagnola è il principale parco agricolo italiano, insieme alla Puglie. Forse il cibo dovrà produrlo solo il terzo mondo e le multinazionali? Quei soggetti che in fatto di tracciamento dei cibi presentano non poche incognite? Difficile rispondere. I motivi profondi della deliberazione, si può fare domanda entro il 15 marzo (e intanto la Regione impegna 211.600 euro ai quali seguiranno, immaginiamo, altre erogazioni per il raggiungimento dell’obiettivo), li spiega la Regione stessa. Il primo: “Contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, anche riducendo le emissioni di gas a effetto serra e rafforzando il sequestro del carbonio, come pure promuovendo l’energia sostenibile”. Il secondo: “Favorire lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali come l’acqua, il suolo e l’aria, anche riducendo la dipendenza chimica”. Ed ecco il terzo obiettivo: “Contribuire ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi”.
Un trend, questo dell’Emilia Romagna, che segue quello olandese (ricordate le proteste di masse dei contadini dei Paesi Bassi?) e di altri Paesi occidentali.
I contenuti sembrano tanto la parte di sviluppo sostenibile elencata dall’Agenda 2030 dell’ONU che da un lato chiede il massimo di produzione per debellare la fame nel mondo e dall’altro sostiene “l’ insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo”, come recitano i documenti dell'ente.
In attesa di una rigenerazione dei terreni emiliano romagnoli e della biosfera locale gli abitanti dovranno sempre di più dimenticare il chilometro zero, il buon senso e un equilibro delle comunità. Forse perché la terra la lavorano i poveri del terzo mondo, pagati a niente con tanti pesticidi, quelli che il parlamento europeo non vuole togliere dall’agricoltura del continente?
A quando il divieto di coltivare l'orto per non produrre CO2 e contrastare i "cambiamenti climatici"?
(per chi volesse approfondire - SRA26 - Ritiro seminativi dalla produzione; atto di approvazione: Delibera di Giunta regionale n. 2133 del 4 dicembre 2023)