Economia

Ilva, Jindal non rilancia. Rumors. Acciaitalia in via di scioglimento

Svanisce l’ipotesi di un ritorno in pista di Acciaitalia (da cui si sono sfilati Cdp-Arvedi). Incognita Antitrust sulla strada di Mittal che tornerà al tavolo

di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni

Le proteste del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e il rifiuto ad aprire il tavolo di confronto tra Ilva (finita sotto il controllo di Am Investco Italy, ossia la cordata formata da Arcelor Mittal (85%) e dal gruppo Marcegaglia (15%), col supporto finanziario di Intesa Sanpaolo) e i sindacati, imponendo una pausa di riflessione per permettere alle rispettive “diplomazie” di far ripartire la trattativa “col piede giusto”, come suggerito anche dal viceministro Teresa Bellanova, avevano fatto alzare il sopracciglio ai più sospettosi, che già intravedevano la volontà di far tornare in gioco Acciaitalia (la cordata guida dall’altro gruppo indiano dell’acciao, Jindal, assieme a Cassa depositi e prestiti, Arvedi e Leonardo Del Vecchio).

leonardo del vecchio
Leonardo Del Vecchio

Ma si tratta di una falsa pista: fonti vicine ad Acciaitalia rivelano ad Affaritaliani.it che la gara per Ilva è da considerarsi ormai chiusal’esito dell'asta è da intendersi definitivo e, oltretutto, la cordata è in via di dissoluzione (Cdp e Arvedi, che ora ha aperto il dossier Piombino, sono già usciti dalla società). Per Aditya Mittal, figlio di Lakshmi Mittal e amministratore delegato della divisione europea del gruppo il problema, semmai, potrebbe essere legato al giudizio sull’operazione da parte dell’Antitrust Ue, atteso a fine ottobre secondo quanto annunciato dal Commissario Ue alla concorrenza, Margrethe Vestager (che ha parlato di un “caso complesso”, ma anche di “indicazioni positive” grazie alla cooperazione in essere con le autorità italiane). Così i Lakshmi Mittal può concentrarsi sulla ricerca di una soluzione che mette d’accordo governo, istituzioni locali e sindacati offrendo “un futuro sostenibile” ad Ilva, come dallo stesso manager “fortemente” auspicato.

fabio gallia claudio costamagna piercarlo padoan
 

Mittal ha già riconosciuto come “la comunità di Ilva abbia sofferto moltissimo per le negligenze ambientali”, sottolineando come la nuova proprietà voglia “migliorare queste condizioni”. Meno loquace Mittal si è finora dimostrato sull’altro punto caldo, quello dell’occupazione e dei livelli retributivi. Un punto su cui il viceministro Teresa Bellanova ribadisce che “uno spazio di trattativa esiste”, augurandosi tuttavia che il segnale sia giunto “in modo forte e chiaro all’azienda aggiudicataria e agli investitori” e ribadendo che “la difesa del salario coincide con la difesa di professionalità che hanno fatto dell’Ilva una delle più grandi fabbriche del mondo”.

Il punto dolente, come noto, è che AM Investco Italy dopo essersi impegnata col governo (che il 28 settembre scorso ha approvato le modifiche e integrazioni proposte dalla nuova proprietà al piano ambientale Ilva del 2014, che limita a 6 milioni di tonnellate annue di acciaio la produzione fino al completamento del piano ambientale stesso, nell’agosto del 2023) a garantire 9.407 occupati, peraltro destinati a scendere gradualmente sino a 8.480 (livello che sarà raggiunto nel 2021 e mantenuto sino almeno al 2024), e a offrire una retribuzione media di 50 mila euro annui per addetto (in questo caso destinata a salire a 52 mila euro annui dal 2020), non ha più fatto cenno a tale impegno nella lettera di avvio procedura, rinviando anzi alla contrattazione coi sindacati la definizione della paga base dei “neosassunti”. Categoria che poi altro non sarebbe che gli attuali operai Ilva che saranno rilevati “non in continuità” dall’attuale amministrazione straordinaria. Un passaggio non secondario, perché i sindacati temono che Mittal intenda proporre uno “scambio” tra tempi e modi della salvaguardia ambientale e della salvaguardia occupazionale, retribuzioni comprese. Troppo per Calenda che sul dossier Ilva si è impegnato in prima persona: il titolare del Mise, per principio, ha deciso così di sospendere il tavolo al Ministero fra Investco e sindacati, bollando lui stesso le proposte del colosso Arcelor-Mittal come "Irricevibili".  

lakshmi mittal
Lakshmi Mittal

Dato che AM Investco Italy nel piano stima un costo del lavoro di circa 450 milioni di euro l’anno (equivalente a poco più di 47.800 euro per addetto a inizio piano, a 53 mila a fine piano), ripartire da una paga base per i “neoassunti” significherebbe per un operaio di quinto livello veder calare la propria retribuzione da 3.000 a 2.300 euro al mese, con un risparmio medio per l’azienda tra i 6 mila (a inizio piano) e gli 8 mila euro all’anno (a fine piano) per addetto: troppo per i sindacati e il governo.

La soluzione potrebbe essere ridurre i previsti 4.500 esuberi (ma Bellanova al riguardo ha già ricordato che nessuno verrà licenziato e i lavoratori che non saranno riassunti rimarranno in forza all’amministrazione straordinaria venendo impiegati nei lavori di bonifica, per i quali sono già stati erogati 1.083 milioni di euro) da parte di AM Investco Italy e accettare che i contratti vengano stipulati sulla base delle norme del “Jobs Act” da parte dei sindacati.

Con un compromesso sulla retribuzione in busta paga e sempre che Vestager non si metta di traverso, imponendo un tetto più basso alla produzione di acciaio di Ilva o misure compensative. In ogni caso non ci sarà nessun “colpo di scena” col ritorno in pista di Acciaitalia, quindi l’unica opzione è trattare a oltranza sino a trovare un’intesa in grado di soddisfare tutte le parti.