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Economia
"L'intelligenza artificiale è sempre più autonoma: dobbiamo governarla. O..."

"L'intelligenza artificiale è sempre più autonoma: dobbiamo governarla. O..."

"L'intelligenza artificiale può arrivare a cambiare le logiche concorrenziali in qualsiasi settore: è una tecnologia disruptive". Gianluca Maruzzella, cofounder e CEO di Indigo.ai, spiega ad Affaritaliani.it quali siano le peculiarità dell'intelligenza artificiale, la tecnologia che più di ogni altra sta modificando stili e caratteristiche del mondo del lavoro e che, nei prossimi anni, cambierà ulteriormente il panorama entro cui ci muoviamo. Con un interrogativo che si fa sempre più cogente: sarà anche etica? O, al contrario, contribuirà a propalare distorsioni e discriminazioni?

Maruzzella, è vero che l'AI democratizza la tecnologia o, al contrario, i vari Microsoft, Amazon & co diventeranno ancora più giganti?
L'idea che l'AI renda la tecnologia accessibile ad un pubblico più ampio è sicuramente valida, specialmente quando facciamo riferimento ai modelli di AI generativa che si basano sul linguaggio, come ChatGPT, utilizzato da una media di 13 milioni di utenti al giorno. L'interazione attraverso il linguaggio naturale, tipico dell’essere umano e appreso sin dall’infanzia, semplifica e rende naturale l'utilizzo dell'AI per un vastissimo numero di persone. Questa grande accessibilità amplifica il suo effetto trasformativo e conferisce a chi la utilizza un vero e proprio “potere”: se guardiamo al mondo aziendale, le imprese che scelgono di usare  queste tecnologie diventano “più intelligenti” e capaci di compiere task molto più complessi senza necessariamente avere una competenza tecnica più approfondita. D’altro canto, avere un tessuto imprenditoriale costellato di tante aziende improvvisamente molto più intelligenti (grazie alla tecnologia) non impedisce ai colossi tech tradizionali di crescere ulteriormente: non a caso l’AI è dominata da grandi aziende tech internazionali. 

Come lo spiega?
Con il fatto che la complessità e il costo del training dei modelli di AI sono così alti che possono essere appannaggio solo di pochi. Pertanto, se da una parte è facile immaginare che il processo di creazione delle intelligenze artificiali sia sempre più centralizzato, dall’altra diventa fondamentale porsi degli interrogativi sulla democratizzazione effettiva di questa tecnologia: quante aziende, di fatto, partecipano al processo di sviluppo dell'AI? Come vengono educati questi modelli? Chi trae più beneficio da un modello educato in un modo piuttosto che un altro? Di fatto, le varie big tech che abbiamo citato, stabiliscono le regole del gioco e mai come in questo momento  la regolamentazione dell'AI è diventata una questione critica e soprattutto urgente. 

La verticalizzazione delle Pmi che, tipicamente, si specializzano in un segmento e poi vendono i loro servizi alle large corporation: è un modello di business che l'AI può aiutare a mantenere o spazzare via?
L’Intelligenza Artificiale, per la sua natura disruptive, può arrivare a cambiare letteralmente tutti i meccanismi a cui siamo abituati, comprese le logiche concorrenziali in qualsiasi settore. Da una parte potrà “dare i superpoteri” ad aziende anche più piccole per aiutarle a migliorare il proprio business, dall’efficienza operativa ad un miglior servizio, passando per un nuovo paradigma di personalizzazione. Dall’altra, l’AI potrà ridurre anche la barriera all'ingresso nel caso in cui qualche large corporation possa o voglia provare a internalizzare la propria catena del valore. 

E quindi?
Dal mio punto di vista la risposta è nei dati: se la PMI si è specializzata in un determinato verticale ed è stata brava a centralizzare un processo di raccolta di una grande quantità di dati in uno specifico segmento, magari con una specializzazione maggiore rispetto a una large corporation, questi dati - che possono essere forniti al modello dalla PMI stessa - rappresentano la più grande leva competitiva a disposizione. In altre parole, a parità di AI, vince quella che ha un accesso migliore ai dati.

L'Intelligenza Artificiale gioca quindi un ruolo strategico a fronte di un futuro problema occupazionale del nostro Paese: è stimato infatti che entro il 2040 ci sarà una mancanza di 3,7 milioni di lavoratori a causa di un invecchiamento della popolazione: ma in Italia abbiamo capito come sfruttare questa grande opportunità? E sono già stati avviati percorsi formativi adeguati?
La velocità con cui l’essere umano produce ricchezza aumenta sempre con il progresso tecnologico. Si stima che entro il 2100 il PIL globale sarà 34 volte più grande di adesso; in realtà potrebbe verificarsi una crescita ancora più rapida spinta da una nuova rivoluzione tecnologica, come l’AI, che possa alimentare ancora più velocemente il progresso. Quindi, indipendentemente da quanti lavoratori ci saranno nel 2040 in Italia, la vera sfida da porsi per guidare questo grande cambiamento sociale e tecnologico, anziché subirlo, è quella di capire come sfruttare l’AI per assicurarci un grande avvenire. Sono fermamente convinto che - se programmiamo bene - abbiamo tutto il potenziale per creare un futuro fantastico dove rispettando l’essere umano e l’ambiente abbiamo la possibilità di desiderare, creare e ottenere tutto quello che vogliamo. La ricetta giusta è una combinazione di formazione (dalle università ai centri di ricerca abbiamo bisogno di persone in grado di plasmare la tecnologia), lavoro (le aziende non devono avere paura di sperimentare e adottare la tecnologia) e strategia istituzionale (urge la necessità di avere una strategia solida, condivisa, di adozione dell’AI a tutti i livelli della società).

L'AI è etica?
Dico sempre che quando parliamo di AI stiamo facendo una delle conversazioni più importanti della nostra epoca: si tratta di una tecnologia trasformativa che avrà un impatto a 360° su qualsiasi aspetto della nostra vita. Pertanto, costruirla nel modo “giusto” è di fondamentale importanza e deve essere una priorità di tutti gli addetti ai lavori. Di per sé non si può dire che un’AI sia intrinsecamente etica oppure no: le intelligenze artificiali si basano sui dati su cui vengono istruite e - questi modelli così grandi come ChatGPT - hanno avuto modo di leggere e studiare ampiamente una mole enorme di dati presenti sul web. In un certo senso, possiamo dire che la tecnologia sia di per sé sempre neutra e, se è educata sui dati che noi stessi abbiamo prodotto online, funge da specchio della nostra società. Penso siamo tutti consci del fatto che online si trovino un sacco di riferimenti molto lontani dall’essere corretti, pieni zeppi di bias e non necessariamente rappresentativi della realtà (questo accade anche perché la maggior parte della popolazione che accede ad internet è maschia, bianca, caucasica). Non trovo sia colpa della tecnologia, quanto piuttosto di come le persone scelgono di relazionarsi.

Che cosa si aspetta per il futuro?
Il discorso si complica ancora di più quando parliamo di AGI (Artificial General Intelligence), una Intelligenza Artificiale ancora più potente di quelle disponibili attualmente e che ha una capacità intellettiva superiore a quella dell’essere umano. In questo caso,  temi come l’etica e l’allineamento ai valori umani non sono solo cose su cui riflettere, ma scelte strategiche che potrebbero cambiare il corso della nostra storia. Ci troviamo pertanto in uno dei momenti più decisivi nella storia dell’umanità: da un lato abbiamo di fronte l’accelerazione esponenziale del progresso, dall’altro potremmo avere conseguenze inaspettate. Abbiamo approfondito questi temi pensando a svariati scenari futuri in Talk Magic, il podcast di Indigo.ai dedicato all’AI dove in uno degli episodi, mettendo da parte allarmismi e sensazionalismi, abbiamo provato a dipingere un quadro affidabile delle sfide nella creazione di una Intelligenza Artificiale, dare alcune definizioni di base e sottolineare l’importanza della ricerca preventiva in questo ambito.

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