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Economia
La Cina non è vicina: troppe bugie ed economia traballante fanno paura
Xi Jinping

Siamo alle comiche. Un gigante dai piedi d’argilla, con 300 miliardi di dollari di debiti, si diverte a giocare sul significato delle parole mentre le società che rappresentano il 40% delle vendite di case cinesi sono fallite. Per molto meno, nel 2008 ci siamo ritrovati tra capo e collo la crisi dei mutui subprime e l’inizio della grande depressione che per tre anni ha terrorizzato il mondo. C’è anche Country Garden, il più grande promotore immobiliare privato cinese, sta spaventando i mercati. Non ha pagato gli interessi sul debito e potrebbe chiudere il trimestre in pesante rosso e trovarsi insolvente al 30 settembre. Non esattamente una prospettiva rosea. E la banca centrale cinese che fa? Immette sul mercato pronti contro termine per un valore complessivo intorno ai 18 miliardi, con scadenza a sette giorni. Sarà sufficiente? Difficile dirlo.

Perché, e quindi torniamo al problema iniziale, la trasparenza non è esattamente la specialità della casa. Pensiamo al Covid. Senza volersi addentrare in teorie più o meno complottiste, è vero che l’opacità comunicativa è costata probabilmente (nella migliore delle ipotesi) un mese di prevenzione al mondo che si è ritrovato improvvisamente travolto da un virus di cui non sapeva nulla. Tornando all'economia: sono in scadenza 2,2 trilioni di titoli di debito a lunga scadenza. I tassi saranno giocoforza in rialzo: riuscirà Pechino a reggere l'urto?

Ancora. La Cina nel mondo dell’auto elettrica primeggia, dimostra di essere all’avanguardia. Ma non vuole spiegare come intende smaltire le batterie esauste. Una potenziale bomba batteriologica, visto che gli accumulatori hanno al loro interno acidi pericolosissimi per l’ecosistema. Che cosa vuole fare la Cina per il futuro? Come intende muoversi? E sulla guerra in Ucraina, vuole giocare il ruolo di mediatore o preferisce agire dietro le quinte, armando Putin ma tenendolo “a catena corta” per poter sottomettere la Russia? Non si capisce. Per il momento, Pechino continua a giocare con il destino del mondo sfruttando una sua totale autosufficienza e la capacità di assimilare competenze dall’esterno. Ha sempre fatto così, da millenni. E non sembra voler cambiare orientamento. Non è ancora giunto il momento di dire Zàijiàn (“addio”) a Pechino. Ma certo serve, da parte loro, un po’ di Shànyì (“buona volontà”).  
 

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