Economia

Linee guida e tanti buoni propositi. Il solito G7 che non decide (quasi) nulla

Luca Spoldi

Il documento finale del vertice di Chantilly parla di intese "di principio", per il varo si dovrà attendere l'esito dei negoziati all'Ocse

Ha ancora senso il G7, ossia la riunione, nata nel novembre 1975 per iniziativa della Francia, dei ministri delle Finanze delle sette principali economie avanzate (Stati Uniti, Giappone, Canada, Germania, Gran Bretagna Francia e Italia)? In termini economici sempre meno, visto che rappresenta attualmente meno del 58% della ricchezza mondiale rispetto al 65% che rappresentava ancora nel 2010, con nazioni come la Cina (16,4% della ricchezza mondiale), la Spagna (2,3%) o l'India (1,9%) che non prendono parte alla riunione pur avendo visto crescere significativamente le proprie economie in questi anni.

Anche politicamente la rilevanza del G7 è sempre più dubbia. Al di là di riunirsi in location prestigiose (questa volta nel castello di Chantilly, in Francia), stringere mani e scambiarsi convenevoli prima e dopo i lavori ufficiali, per poi concludere tutti insieme per la rituale foto di gruppo, i capi di governo raramente raggiungono intese che si traducono in atti concreti di lì a poco. Semmai tracciano linee guida, esprimono buone intenzioni, o lanciano moniti.

In questo caso il monito è tutto contro Libra, il token che Facebook conta di introdurre dal prossimo anno per consentire anche a chi non dispone di un conto corrente di poter liberamente acquistare merci e servizi attraverso i suoi marketplace su Facebook, Instagram e Whatsapp e che i "grandi della terra" temono possa diventare una "valuta sovrana". Ipotesi che il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire, stoppa senza appello perché "bisogna considerare tutti i rischi legati al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo internazionale".

Affermazioni che ricordano i recenti tweet di Donald Trump contro i Bitcoin e le criptovalute in genere che secondo lui sono "basate sul nulla", cosa che "facilita il comportamento illecito" mentre "the Donald" preferisce una "valuta affidabile" chiamata "dollaro degli Stati Uniti". Dichiarazioni che sanno un poco di luddismo (e molto di populismo) e non fanno differenza tra la funzione di mezzo di pagamento e di deposito di valore, che Libra e le altre valute digitali possono svolgere, e funzione speculativa, che le cripto come qualsiasi altro asset fisico o digitale ugualmente possono avere, ma tant'è.

"C'è una preoccupazione generale e la decisione è che questa preoccupazione si tradurrà in un'azione", ha commentato il ministro italiano, Giovanni Tria, aggiungendo: si è parlato di "un'azione per il controllo di quanto sta accadendo, la preoccupazione quindi darà luogo ad un intervento". Intervento che, auspica il comunicato finale del G7, avverrà prima che Libra sia "effettivamente implementata".

Con la sensazione, da parte degli addetti ai lavori, che il gran parlare, analizzare e cercare di normare le criptovalute (Libra compresa) alla fine faccia il gioco di queste ultime, che per avere successo a lungo termine debbono rimanere rilevanti e sempre più lo saranno se i riflettori delle autorità resteranno puntati su di loro, offrendo la prova provata della loro ormai riconosciuta.

Quanto alle linee guida, Le Maire ha annunciato trionfalmente: "i ministri delle Finanze dei paesi del G7 hanno raggiunto un accordo sulla webtax e sulla tassazione minima globale sulle società", tema che stava a cuore alla Francia che di recente ha varato una propria webtax che a Trump non è affatto piaciuta  nonostante le rassicurazioni date dallo stesso Le Maire che si tratta di "una tassazione ragionevole, che non è mirata ad alcuna azienda o ad alcun paese in particolare" (ossia non è pensata per tassare i colossi a stelle e strisce come Facebook, Amazon, Netflix o Google).

Ma anche in questo caso è vano cercare un impegno vincolante nel documento finale del vertice, che invece recita: "i ministri delle Finanze hanno trovato un consenso sull'urgenza di fronteggiare le sfide fiscali poste dall'economia digitale". Per ora è dunque un'affermazione di principio, se si tradurrà in un impegno concreto lo si vedrà entro fine anno dall'andamento dei negoziati in corso all'Ocse sull'ipotesi di introdurre una "digital tax" omogenea per tutti i 139 paesi aderenti all'organizzazione.

Sulla tassa "minima" alle società sembra di essere poco oltre le "buone intenzioni", visto che il comunicato ufficiale del G7 "auspica progressi supplementari nel contesto del G20 e un accordo globale sulle grandi linee dell'architettura di queste regole entro gennaio 2020". Solo a quel punto, forse, si inizierà a discutere di quale debba essere il livello "minimo" (la Francia lo vorrebbe tra il 13% e il 15% e di quali saranno nel concreto le regole per applicarlo (flat tax o tassazioni proporzionali, con o senza soglia minima di esenzione, con o senza deduzioni e detrazioni sui redditi d'impresa e così via).

E dato che spesso il diavolo si nasconde nei dettagli, Tria ha già messo le mani avanti, ricordando che se "sui principi generali più o meno c'è un accordo generale" per quanto riguarda sia la webtax sia la tassazione minima per le imprese, il problema "è che poi sull'applicazione pratica il meccanismo concreto è molto complesso". Anche perché "bisogna tener conto degli impatti sui singoli paesi e sulla crescita globale" di tali provvedimenti. Appunto.