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Economia
Pensioni, dall'Ocse allarme reversibilità. Ancora una volta donne nel mirino

Quando si tratta di pensioni, l’Italia è sempre l’osservato speciale. Questa volta nel mirino – dell’Ocse – sono finite le pensioni di reversibilità, ovvero gli assegni riscossi dal coniuge vedovo e/o dai figli fino alla maggiore età o fino ai 26 anni se studenti universitari.

Questi assegni pesano (primato negativo) per il 2,6% del Pil, contro una media dell’1% degli altri Paesi esaminati dallo studio dell’organizzazione internazionale. Ci sono però anche quelli più virtuosi: spendono meno dello 0,5% del Pil dodici Paesi tra cui Australia, Svezia, Canada, Norvegia e Regno Unito.

Le pensioni di reversibilità da noi non sono legate all’età, ma soltanto a soglie di reddito: la stragrande maggioranza dei beneficiari, l’85%, donne. Il matrimonio resta il requisito per accedere all’assegno, mentre un certo numero di Paesi ha esteso il meccanismo alle unioni civili.

Adesso dall’Ocse viene un monito: basta con tutta questa generosità. Che tradotto significa “No al versamento prima che il beneficiario abbia l’età per l’uscita dal lavoro”. Un controsenso rispetto alle finalità dell’istituto. La cosiddetta reversibilità aveva (e mantiene) l’obiettivo di dare un sostegno economico per il mantenimento della famiglia a quelle mogli che, essendosi dedicate alla famiglia ed al lavoro domestico, in caso di morte prematura del coniuge si trova(va)no prive di ogni entrata. Ovviamente lo stesso trattamento spetta anche alle vedove dei pensionati ma è soprattutto la prima categoria che verrebbe duramente penalizzata. L’obiezione che il mantenimento dell’assegno nell’attuale fisionomia favorirebbe la non ricerca di un lavoro o, al massimo, lo svolgimento di qualche prestazione in nero é di quelle che non possono e non devono trovare una generalizzazione...

La generosità previdenziale con vedove e orfani (categorie deboli) non deve fuorviare. Anzi. Nasce dalla oggettiva situazione di debolezza delle donne nel mondo del lavoro che si riflette anche nella capacità reddituale della terza età.

Oggi in Italia le donne che lavorano non arrivano al 50% (in media) di quelle in età da lavoro; percentuale che si abbassa fortemente al Sud. E in passato questi dati erano decisamente meno confortanti...anche sul piano delle differenze salariali di genere.

Fonte Inps, quelle inferiori ai 750 euro mese sono il 62 per cento delle pensioni pagate dall'Istituto: di queste, per  il 75%, le titolari sono donne.

Un universo, quello femminile, che nel nostro Paese esprime oggi talenti ed ottimi risultati scolastici/accademici ma che, con un occhio alle generazioni passate, evidenzia una consistente fragilità reddituale, più che patrimoniale. Finkit, uno studio recente, di matrice europea, che ha visto il CERP - Collegio Carlo Alberto di Torino capofila, ha proprio esaminato la situazione di cluster vulnerabili di popolazione (tra cui donne 55 e pensionati over 65) in Italia, Francia, Spagna e Portogallo che conferma la fragilità di flusso in particolare per il campione femminile a fronte di una relativa maggiore solidità patrimoniale (rappresentata in genere dalla proprietà di una abitazione che non mette però al riparo da una certa difficoltà nel far quadrare i conti a fine mese).

Tornando alle pensioni di reversibilità, é fuor di dubbio che in un quadro di rivisitazione delle pensioni possano essere ripensate, anche se le organizzazioni sindacali hanno prontamente sottolineato l'ancoraggio di questi assegni, e del loro ammontare, a precisi parametri reddituali. Ma l'auspicio é che, con sguardo prospettico, non si ingaggino battaglie di retroguardia in difesa di "sussidi" ma si generino le condizioni per incrementare il lavoro femminile, primo motore indiscusso per la crescita del Pil e la riduzione della denatalità, ora ai massimi storici. La forza delle donne (italiane) può andare oltre l'Amica Geniale...

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