Economia
Pensioni future: come aumentarle (e perché nessuno lo dice)
di Piero Righetti
Secondo una recente indagine, nel corso della quale è stato interpellato un campione significativo di lavoratori giovani e meno giovani, una delle domande e delle preoccupazioni più ricorrenti è risultata la seguente: "Qquando cesseremo di lavorare per limiti di età o di salute quale sarà la nostra pensione?". Una domanda tanto più insistente quanto più alta è la convinzione che questa pensione, oltre ad ottenerla ad un'età sempre più elevata, sarà sicuramente inferiore, e di molto, a quelle che vengono oggi pagate a chi ha già lasciato il lavoro.
Secondo calcoli comunque approssimativi e per grandi linee chi oggi ha un'età tra i 40 e i 45 anni e un'anzianità lavorativa tra i 15 e i 20 anni, molto difficilmente potrà ottenere una pensione superiore al 40/50 per cento di quella che sarà la sua ultima retribuzione.
E questo principalmente per i seguenti motivi: nell'ordine: 1) queste pensioni saranno calcolate esclusivamente con il metodo contributivo; 2) il posto fisso, a tempo indeterminato è sempre più raro e sostituito da più rapporti di lavoro a tempo determinato spesso intervallati da periodi di non occupazione; 3) le retribuzioni, soprattutto nel settore pubblico, sono ormai ferme da anni ad importi che l'aumento di fatto del costo della vita e quello sistematico delle tasse, sia dirette che indirette, riducono ulteriormente. A tutto ciò va aggiunto, di contro, che la necessità di poter contare su una pensione adeguata alle proprie esigenze, personali e familiari, è ulteriormente accentuata dal fatto che la c.d. "speranza di vita" e cioè la durata media delle nostre vite è in costante aumento.
In sintesi: diminuiranno le pensioni e aumenteranno le necessità.
Ma di quanto sarà concretamente l'importo medio della pensione di chi oggi ha non più di 40/45 anni di età?
Soltanto l'Inps - che in pratica è ormai diventato quasi l'unico istituto pensionistico italiano - e alcuni Fondi pensione privati possono riuscire a calcolarlo con un minimo di approssimazione.
L'obbligo di inviare queste previsioni-proiezioni esiste per legge da quasi 20 anni, ma solo recentemente l'Inps ha cominciato a mandare (per ora ad un ristrettissimo numero di interessati) queste comunicazioni con quella che viene chiamata la "busta arancione", mutuando l'espressione dal colore della lettera che in Svezia viene inviata sistematicamente agli assicurati per comunicare l'importo delle prestazioni cui hanno diritto. Tito Boeri, Presidente Inps, ha però assicurato che quanto prima il suo Istituto cercherà di aumentare notevolmente il numero di queste comunicazioni. Staremo a vedere.
Ma che può fare chi oggi lavora per aumentare la propria pensione futura?
In alternativa alla Lotteria Italia, al Superenalotto e al Gratta e Vinci resta una sola possibilità: crearsi una pensione complementare, integrativa di quella che pagherà l'Inps. Di pensione e di previdenza complementare in Italia si parla molto poco e, in questi ultimi 2/3 anni, praticamente mai.
Eppure la possibilità e le modalità con cui costituirsi volontariamente questa seconda pensione sono state introdotte in Italia più di 20 anni fa (con il D.Lvo 21.04.1993 n. 124) e completamente ridisciplinate più volte e, da ultimo, con la Finanziaria 2007.
Per troppi anni però ci si è cullati nella convinzione che il nostro sistema pensionistico fosse uno dei migliori e più generosi di tutto il mondo più industrializzato. Forse lo è stato. Ma poi le cose sono cambiate: l'aumento del numero e dell'importo delle pensioni in pagamento, l'aumento della durata media della vita, le crisi economiche e finanziarie via via scoppiate e, da ultimo, la necessità di ridurre il deficit del Bilancio statale hanno ridotto, e di tanto, questo quadro idilliaco e questa certezza di una buona pensione futura. Da ultimo la riforma Fornero ha inferto il colpo di grazia sia a chi si credeva ormai vicino alla pensione, sia a chi aveva cominciato a lavorare da pochi anni.
Tutto questo avrebbe dovuto spingere i diretti interessati, i giornali e i media in generale a parlare della necessità di pensare a costituirsi volontariamente una seconda pensione, integrativa di quella pubblica. E invece niente. Un po' per l'ostilità delle più importanti società di assicurazione che hanno tutto l'interesse a pubblicizzare ed estendere le assicurazioni sulla vita, a scapito appunto della vera previdenza complementare, un po', come detto, per la scarsa attenzione di giornali e televisioni e per il disinteresse di tutti noi a sostenere delle spese "oggi" per avere "domani", un domani che inconsciamente sembra sempre lontanissimo, un po' di pensione in più. Meglio, molto meglio, fare un viaggio o cambiare macchina.
E invece lo sbaglio è grave, pesante. Mentre in quasi tutto il mondo più industrializzato (quello "storico" non certo, almeno per ora, Cina e India) la previdenza complementare è molto diffusa, in Italia gli iscritti a questa previdenza volontaria erano, un po' di tempo fa, poco più di 7 milioni, meno di 1/3 quindi di tutti quelli che lavorano. E di questi 7 milioni, quelli che continuano a versare periodicamente delle somme, spesso minime, sono ormai soltanto 5 milioni. In pratica vengono versate ai vari Fondi di previdenza complementare e all'apposito Fondo Inps soltanto le quote di Tfr via via maturate, e nemmeno integralmente. Eppure le norme sulla previdenza complementare attualmente in vigore sono abbastanza chiare ed elastiche e consentono di poter ottenere anticipatamente in tutto o in parte gli importi complessivamente versati per una serie di esigenze quali spese sanitarie, acquisto della casa, necessità oggettive (come, ad es., il licenziamento). Alcuni di questi Fondi prevedono anche la possibilità di fruire del così detto Long Term Care, coprono cioè il rischio di "non autosufficienza" derivante da infortunio o da malattia, facendo scattare in questi casi il diritto all'assistenza a domicilio o in strutture specializzate. Sarebbe quindi necessario parlare molto di più di questi problemi e della possibilità di costituirsi una seconda pensione, che sarà tanto più consistente quanto maggiori saranno la durata e l'importo dei versamenti. Una seconda pensione che mediamente potrebbe arrivare anche al 20-30% delle ultime retribuzioni.
Accanto ad una maggiore pubblicità e conoscenza di queste problematiche servirebbero però più consistenti esenzioni fiscali e riduzioni della tassazione ordinaria. Le misure oggi previste sono infatti limitate. Perché non stabilire, ad esempio, che l'intera somma versata per questi fini può essere detratta dai redditi e dalla tassazione invece di limitarla ad importi massimi non certo elevati come avviene oggi?
Il Governo Renzi invece, un anno fa, ha addirittura "remato contro" la previdenza complementare stabilendo, con la legge n. 190 del 2014, la possibilità per tutti i lavoratori dipendenti con almeno 6 mesi di anzianità lavorativa di chiedere la liquidazione in busta paga degli importi di T.F.R. maturati mensilmente, compresa la parte già destinata alla pensione integrativa. Bastava, per ottenerla, una semplice richiesta, oltre tutto irrevocabile. Un bel modo per aiutare i cittadini a costituirsi un futuro meno problematico e a rischio povertà! Per fortuna ben pochi hanno avanzato questa domanda, forse soltanto uno dei soliti "zero virgola" di cui ogni tanto si parla. Davvero un bello schiaffo per il Governo.