Economia

Rete in fibra, rivoluzione solo tecnologica? Il tour di Affari in Open Fiber

Jessica Castagliuolo

Fibra ottica: cos’è, cosa consente, quanto è diffusa e in che modo può cambiare il nostro Paese

Affaritaliani.it ha visitato la sede romana di Open Fiber per conoscere da vicino il mondo della rete ultraveloce in fibra ottica e l’innovativo Service Operation Center. L’azienda si è aggiudicata tutti i bandi di gara indetti dal MISE per operare nelle aree bianche, ma quali sono gli impatti in termini di equità sociale e rilancio del territorio? Ne abbiamo parlato con il direttore commerciale Simone Bonannini

La connessione in fibra ottica è per molti ormai sinonimo di velocità e innovazione tecnologica, ma di cosa parliamo nel concreto e, soprattutto, cosa consente?

Questo sistema di cablaggio è diverso da quello in rame, finora maggiormente in uso e utilizzato per la rete ADSL o la FTTC (misto tra rame e fibra).  In particolare la rete ultra veloce Open Fiber è realizzata in modalità Fiber To The Home (FTTH), letteralmente “fibra fino a casa”; questo significa che l’intera tratta, dalla centrale all’abitazione del cliente, viene realizzata in fibra ottica, consentendo di navigare fino alla velocità di 1 Gigabit al secondo.

Per spiegare le potenzialità di questa modalità Gianluca Gentili, responsabile del Service Operation Center di Open Fiber, utilizza l’esempio della conversazione vocale.

In una conversazione standard a una distanza ravvicinata non avremmo problemi ad ascoltare con chiarezza la voce del nostro interlocutore, ma se solo questo si allontanasse di qualche metro sentiremmo inevitabilmente di meno. Passando dalle onde sonore a quelle luminose questo fenomeno prende il nome di attenuazione e quando il mezzo di trasmissione è la fibra ottica l’attenuazione è molto bassa. Un’altra caratteristica della fibra ottica è la bassa interferenza; se due persone parlano e una terza si intromette, quest’ultima finisce chiaramente per disturbare la conversazione, “La fibra invece-  spiega ad Affaritaliani.it Sabrina Martire, Responsabile Service Desk nella struttura del Service Operation Center di Open Fiber-  essendo un dielettrico naturale non subisce le interferenze di altri campi magnetici e ha una latenza molto bassa permettendo quindi anche a lunghe distanze di non avere ritardi di comunicazione tra i dati spediti e quelli ricevuti”.

Per continuare con il confronto con la voce  utilizzata da Gentili, diremmo che il noise (il rumore), che i teorici della comunicazione consideravano l’elemento di imperfezione di ogni comunicazione umana, è praticamente azzerato. Ma tutte le potenzialità della fibra ottica saranno ancora più lampanti e necessarie all’alba della rivoluzione tecnologica, nonché comunicativa, economica e sociale, che ci attende con il 5G: “La bassa latenza sarà proprio quello che ci abiliterà alle tecnologie del futuro”, evidenzia ancora Sabrina Martire.

Open Fiber, a Roma il Service Operation Center per una supervisione centralizzata.

Open Fiber entro fine anno raggiungerà circa 7,9 milioni di case, uffici e aziende, e l’intera attività di monitoraggio della rete avviene nel centro operativo romano.  “Riusciamo a centralizzare completamente tutta la supervisione grazie a strumenti all’avanguardia che ci permettono di intervenire, qualora ci venga segnalato un disservizio, in tempo reale. Riusciamo a capire dove si localizza il guasto e a far intervenire le nostre imprese di rete, che sono nel territorio, in poche ore grazie all’utilizzo di “riflettori” (capaci di fornirci in tempo reale indicazioni sulla qualità della nostra rete) messi in  punti strategici della nostra rete e efficaci processi di collaudo che “caratterizzano” tutti i nostri clienti”, conclude la responsabile. 

 

Rete ultraveloce di Open Fiber, quale impatto nel nostro Paese? L’intervista di Affaritaliani.it a Simone Bonnanini.

L’Agenda digitale Europea del 2020 prevede che tutta la popolazione debba essere connessa ad almeno 30 Mbps e che almeno il 50% della popolazione utilizzi servizi a 100 Mbps. In linea con gli obiettivi fissati il nostro Paese intende raggiungere la copertura ad almeno 100 Mbps per l’85% della popolazione, estendendo quella ad almeno 30 Mbps per tutti i cittadini italiani.

Innovare è sempre maggiormente avvertito come un diritto, che reca in nuce il discusso problema del digital divide. In questo contesto è bene evidenziare che il progetto di cablatura di Open Fiber non interviene esclusivamente nelle grandi città e nelle aeree più urbanizzate. Le cosiddette “aeree bianche”, costituite da piccoli centri e zone rurali, in cui vive il 40% della popolazione, non saranno escluse dall’ondata di innovazione tecnologica.  L’azienda infatti vi costruisce una rete pubblica con gli strumenti e le risorse definiti dalle gare Infratel.  In particolare Open Fiber si è aggiudicata tutte e tre le gare per la realizzazione e la gestione della rete pubblica a banda ultralarga, vale a dire 7.700 Comuni in 19 Regioni in aggiunta alla Provincia di Trento,  oltre 14 milioni di cittadini, 9.6 milioni di unità immobiliari e più di 500mila sedi aziendali e di P.A.  interessate.   In aggiunta a questi dati anche il terzo bando Infratel, che coinvolge Calabria, Puglia e Sardegna coinvolgendo circa 900 Comuni con il cablaggio per circa 300mila Unità immobiliari.

Si tratta quindi di una rete molto capillare e nevralgica, che abbraccia anche le zone più remote del territorio italiano. Ma in che modo può impattare una tale rivoluzione in queste zone, tra l’altro spesso vittime di spopolamento e disparità sociale? Ne abbiamo parlato con Simone Bonannini, direttore commerciale di Open Fiber. 

Bonannini: "Portare la rete ultraveloce di Open Fiber nelle aeree bianche del Paese? Significa riportare il tempo in mano alle persone!"

“Quando mi si chiede: ‘Cosa fai? Cabli e vendi fibra ottica? ‘ dico ‘No, regalo tempo, lo riporto in mano alle persone’”, racconta Simone Bonannini ad Affaritaliani.it.

Alla nostra domanda sull’impatto sociale ed economico che la rete ultraveloce può avere all’interno delle aeree bianche, il direttore ha infatti risposto: “Per molti anni abbiamo sentito parlare di smart working, ma nella realtà non si era mai affermato, non solo per un motivo culturale ma anche per il problema delle barriere tecnologiche: per lavorare da remoto occorre interagire con i propri colleghi in tempo reale. Oggi, portando l’infrastruttura in fibra il più possibile vicino alle abitazioni delle persone, questo problema si è risolto.  In Italia non tutte le persone vivono nelle grandi città, ma anche nei piccoli borghi, magari in collina. Portare delle infrastrutture in questi posti significa consentire a queste persone di non andare in ufficio alcuni giorni della settimana; accade così che, a livello ambientale ci saranno meno emissioni di Co2, mentre da un punto di vista economico si riattivano delle economie locali, evitando la sovrappopolazione delle  periferie e l’evoluzione di fenomeni sociali degradanti.  Tutto questo significa migliorare la vita delle persone a 360 gradi”.

Un mondo più connesso e anche più bello quello che ci viene descritto, ma effettivamente in Italia a che punto siamo con la diffusione della FTTH rispetto ad altri paesi europei?   

Digital Divide in Italia, Bonaninni: “Un problema di offerta, non di cultura”. 

Open Fiber a fine settembre, rispetto al suo piano complessivo, nelle aree a successo di mercato era a uno stato d’avanzamento del 50%, mentre già a fine anno si arriverà al 60% di Unità immobiliari connesse: un traguardo senz’altro importante nel nostro Paese, dove spesso si parla di gap digitale. Ci siamo interrogati sui motivi sottostanti a questo ritardo, che sembra però essere meno reale di quanto spesso si annuncia:

 “Siamo sicuri che in Italia non ci sia abbastanza cultura digitale, o forse non c’è un’offerta digitale appropriata? Crea la rete, e vedrai che la domanda arriva! La tecnologia deve essere fruibile. Open Fiber è il più grande progetto in Europa di cablatura FTTH fatta da un soggetto neutrale, questo significa che forniamo un’infrastruttura a chiunque, a parità di condizione economiche, non divenendo competitors. Siamo assolutamente pionieri in questo”, sottolinea il direttore.

I veri ostacoli alla cablatura del Paese sono in realtà, secondo quanto appreso dalla nostra visita nella sede di Open Fiber, un’eccessiva burocratizzazione o una scarsa adesione di una parte della popolazione, che si traduce ad esempio con la ritrosia di alcuni amministratori a intervenire sui condomini.  In realtà le operazioni condotte risultano essere poco invasive: solo nel 20% dei casi non è stato possibile riutilizzare condotti già esistenti, come ad esempio quello elettrico o telefonico. Un’altra partita si gioca infine sul ruolo delle competenze. Sempre maggiormente si è alla ricerca di nuove figure professionali per raggiungere gli ambiziosi obiettivi.

Si capisce che per Open Fiber portare la fibra ottica, non si traduce esclusivamente in una questione meramente pratica: significa costruire una rete di comunicazione, avere un progetto ambizioso di inclusione tecnologica che tenga insieme il nostro Paese, che lo faccia avanzare, che possa colmare un digital divide ormai troppo ingombrante. 

L’Italia dimostra così di essere ancora una volta un Paese all’avanguardia che, nonostante le difficoltà, vuole fare la differenza, essere attore del cambiamento per non lasciarsi scappare tutte le possibilità che possono essere offerte dalla nuova rivoluzione tecnologica globale che ci attende;

“Eliminare il digital divide non è solo uno slogan, per me significa eliminare seriamente un problema sociale ed economico esistente. Dobbiamo capire che nella nostra attività siamo pionieri: abbiamo un tessuto abitativo e imprenditoriale molto frastagliato rispetto ad altri paesi europei, la nostra sfida è essere più  capillari possibile. Il nostro progetto è molto italiano e mira a ristabilire il nostro stile di vita, che si è un po’ perso negli anni ma che è quello che ci invidiano nel resto del mondo”, conclude Bonannini.