Economia

Sud, Confindustria: "Imprese ferme. Un giovane meridionale su 2 non lavora"

Sud, Confindustria: "Imprese non crescono, motori economia al minimo"

Nel Sud i disoccupati sono circa 1 milione e 500 mila, mentre molti di più sono gli inattivi. Il tasso di attività si ferma al 54% e quello di occupazione al 43,4%. Resta particolarmente elevata la disoccupazione giovanile, che raggiunge il tasso record del 51,9%: in pratica, più di un giovane meridionale su due non lavora. E’ quanto emerge dall’analisi di mezza estate condotta da Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Centro studi del Gruppo Intesa Sanpaolo), secondo cui l’emergenza lavoro per i giovani, che ha caratterizzato la fotografia del Sud degli ultimi anni, non accenna a ridursi, sebbene solo un quarto circa delle domande di reddito di cittadinanza presentate facciano riferimento a persone di età inferiore a quarant’anni. L’analisi sottolinea che l’andamento degli occupati mostra elementi positivi mescolati a quelli negativi, con questi ultimi che prevalgono nei mesi più recenti (-2,2%): il primo trimestre 2019 è infatti il terzo trimestre di fila a far segnare un andamento negativo, cosicché, gli occupati al Sud tornano sotto la soglia dei 6 milioni, con un calo nella maggior parte delle regioni, tranne Molise, Puglia e Sardegna.

Sud: Confindustria, imprese non crescono, motori economia al minimo

Motori al minimo per l’economia meridionale. Secondo la tradizionale analisi di mezza estate condotta da Confindustria e Srm-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Centro studi del Gruppo Intesa Sanpaolo) il Sud, nei primi mesi del 2019, vede affievolire la sua capacità di spinta, e i segnali di frenata, già ampiamente visibili a fine 2018, rischiano di diventare veri e propri arretramenti. Aumentano- sostiene lo studio presentato dal vicepresidente per la coesione territoriale di Confindustria Stefan Pan, alla presenza del presidente Vincenzo Boccia , della ministra per il Sud Barbara Lezzi e del direttore di Srm Massimo Deandreis - il numero e l’intensità dei campanelli di allarme sul rischio di rallentamento dell’attività economica” e “il passo dell’economia meridionale si fa più lento”. Anche nel 2018, continua la lenta risalita dell’Indice Sintetico dell’Economia Meridionale elaborato da Confindustria e Srm, in aumento di circa 10 punti rispetto al 2017: tutti e 5 gli indicatori che compongono l’indice fanno segnare un piccolo miglioramento, che si fa tuttavia sempre più lieve, in particolare con riferimento al Pil, all’occupazione, agli investimenti e alle imprese, mentre continua la crescita dell’export. È ancora lontano il recupero dei livelli pre-crisi: il consumo procapite di energia elettrica è del 9,4% inferiore a quello del 2007. Ha smesso di crescere il numero delle imprese: dopo molti trimestri di aumento, infatti, nei primi mesi del 2019 le imprese attive sono meno di 1 milione settecentomila (esattamente come un anno fa). All’interno di questo insieme, aumentano le imprese di capitali, che sono al Sud ormai quasi 330.000, con una crescita del 5,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma di queste, solo 25.000 hanno più di 9 dipendenti. L’export meridionale, dal canto suo, mostra segnali di miglioramento assieme ad altri di frenata che prevalgono nel breve periodo, con l’inattesa frenata del primo trimestre 2019. Infine, il mercato domestico continua a soffrire: restano elevati i divari interni relativi al potere d’acquisto, che si traducono in minori consumi: circa 800 euro pro capite in meno nelle regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del Centro Nord.

Secondo l’analisi di Confindustria e Srm, ristagnano anche gli investimenti fissi lordi, per i quali sembra attenuarsi di intensità il rimbalzo che aveva caratterizzato gli ultimi anni, con una piccola ma significativa eccezione delle costruzioni. E restano comunque lontanissimi i valori pre-crisi: gli investimenti fissi lordi totali sono inferiori del 36,2% rispetto a quelli del 2007. In conseguenza di questo andamento lento, frena anche il Pil, che nel 2018, secondo le stime preliminari dell’ISTAT, fa registrare nel Mezzogiorno una crescita dello 0,4%, meno della metà del +0,9% della media nazionale. Fra i settori, l’andamento migliore è quello dell’industria (il cui valore aggiunto cresce del +7,4% tra il 2016 e il 2017), ma il suo apporto all’economia è pari a circa il 10% del totale: troppo poco per far recuperare al Sud anche solo i livelli pre-crisi. Non mancano settori ad alto valore aggiunto, come mostra l’approfondimento condotto, nel Check-Up, assieme all’ISTAT: ma la produttività dei settori produttivi meridionali si mantiene, in media, di circa un quarto inferiore a quella del Centro Nord. Aumentano quindi – sottolinea lo studio - il numero e l’intensità dei campanelli di allarme sul rischio di rallentamento dell’attività economica. Sul fronte creditizio, sebbene tra il 2017 e il 2018 si assista ad un forte calo dei crediti in sofferenza, che scendono al Sud in un solo anno di circa 8,3 miliardi di euro, il livello totale degli impieghi registra un calo altrettanto brusco nel quarto trimestre 2018 rispetto all’anno precedente (-5,2%), con 14 miliardi di euro in meno erogato a famiglie ed imprese meridionali. A pesare è anche il contributo limitato degli investimenti pubblici, che accentuano il proprio calo soprattutto nelle regioni meridionali. Infatti, la spesa pubblica in conto capitale pro capite del Centro Nord torna ad essere, nel 2017, di quasi 500 euro più elevata di quella del Mezzogiorno. Se i fondi strutturali rispettano i target fissati per i pagamenti, resta ridotta la spesa ordinaria, e molto basso è il contributo del Fondo Sviluppo e Coesione. Ad eccezione del credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, è in forte calo anche la spesa pubblica per incentivi alle imprese. Il passo dell’economia meridionale si fa dunque più lento – conclude l’analisi - a causa di condizioni dell’economia italiana e internazionale che restano deboli, dell’incertezza sulle prospettive economiche e delle caratteristiche endemiche dell’economia meridionale. I segnali più recenti indicano che gli elementi di preoccupazione si fanno più frequenti e più intensi, mentre quelli di dinamismo divengono più isolati.