Economia

UniCredit tra il dilemma Mps e il rischio di un assalto francese

di Fabio Pavesi

Vale in Borsa solo 17 miliardi, meno del 30% del suo capitale. Bnp vale 3 volte di più e con un assalto a UniCredit entrerebbe in Germania, Austria e Est Europa

C’è fibrillazione ai piani alti di UniCredit. Mai come in questo momento la banca è a un bivio cruciale.  La scelta del nuovo amministratore delegato per sostituire Jean Pierre Mustier darà le prime indicazioni sul futuro strategico dell’istituto. Che è spinto fortemente dal Tesoro alle nozze con Mps tra il malumore di molti dei suoi azionisti. Contro il matrimonio “spintaneo” si è già schierato il nocciolino duro dei soci italiani, da Del Vecchio alle due Fondazioni azioniste. 

Ma contrarietà, non ancora manifesta per ora, arriva anche dai fondi stranieri. Non va dimenticato infatti che UniCredit è di fatto una public company con azionariato diffuso su una miriade di fondi istituzionali, per lo più stranieri. 

I PONTI D’ORO DEL GOVERNO PER SIENA

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Certo, il Governo sta facendo ponti d’oro a UniCredit per spianare la strada alla fusione con la banca senese. Dalla dote da 5 miliardi, alla cessione delle sofferenze ancora in capo a UniCredit nel segmento non core a prezzi d’affezione alla società pubblica Amco. Del resto i vertici della banca di piazza Gae Aulenti hanno messo le mani avanti. La fusione deve essere neutra sul piano del patrimonio. Cioè l’acquisto di Mps non deve impattare minimamenti sui requisiti di capitale di UniCredit. Ancora meglio se dal Governo titolare del 68% delle quote di Mps arrivasse qualche dono a rendere meno riottosi i suoi soci stranieri. 

E non va dimenticato che a favore della fusione gioca anche il goodwill negativo. UniCredit comprerebbe, come avvenuto con Intesa-Ubi, una banca che vale 1 miliardo sul mercato, ma ha patrimonio netto per 6 miliardi. Un bel viatico sui conti di UniCredit nel caso della prospettata fusione.

MA COME STA UNICREDIT?

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Ma mentre la partita su Mps sta catalizzando tutte le attenzioni, pochi si soffermano sulle condizioni di UniCredit. La banca più che guardare in avanti dovrebbe cominciare a guardarsi le spalle. Da un eventuale attacco straniero da parte di qualche banca, in particolare francese. Un’ipotesi tutt’altro che remota. 

VALORE DI MERCATO DIMEZZATO RISPETTO A INTESA-SANPAOLO

Il tallone d’Achille di UniCredit è, non da oggi, il suo scarsissimo valore di mercato. La banca capitalizza infatti poco più di 17 miliardi che sono meno di un terzo del valore del suo capitale che è di 60 miliardi. Per la seconda banca italiana valere solo il 30% del suo patrimonio indica una ormai protratta disaffezione degli investitori che certo hanno pagato a caro prezzo la fiducia riposta in UniCredit

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Il Ceo uscente di UniCredit Jean Pierre Mustier

Negli ultimi 12 mesi ha lasciato sul campo in borsa il 38% del suo valore. Sei volte di più di quanto ha perso l’indice delle blue chip italiane il Ftse Mib. A tre anni ha più che dimezzato il suo prezzo. E a 5 anni la caduta di valore è stata del 60%. Tanto per dare un’idea Intesa-Sanpaolo che ha dimensioni di attivo analoghe capitalizza oggi più del doppio di UniCredit. 

MALE ANTICO QUELLO DELLA BORSA: PAGA LA CURA MUSTIER

Un male quello di Borsa che arriva da lontano e che le scelte strategiche dell’amministratore delegato uscente Mustier non hanno sanato. Anzi la sfiducia del mercato è andata crescendo. Certo Mustier ha pulito i bilanci dalle sofferenze e rafforzato il patrimonio, ma a scapito del conto economico che ha sofferto anche per la continua campagna di cessioni che hanno ristretto il perimetro di attività. Operazione pulizia andata in porto, forse propedeutica a un abbellimento in vista di un matrimonio europeo, ma con una banca, sotto la guida di Mustier che ha perso terreno sul business tipico. 

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LA CRISI DEI RICAVI E DEI PROFITTI

UniCredit è in crisi di ricavi, infatti, e vede una forte decelerazione dei profitti. Solo negli ultimi 12 mesi ha visto un calo dei ricavi totali del 7,8%, trascinati all’ingiù sia dalla flessione del margine d’interesse che dalla caduta delle commissioni. Nel 2020 dovrebbe chiudere l’anno con utili attorno agli 800 milioni. In forte calo rispetto ai 3,3 miliardi prodotti nel 2019. E ancora più pronunciato rispetto ai 4,1 miliardi del 2018 e ai 5,47 miliardi del 2017. 

Le preoccupazioni maggiori derivano proprio dalla scarsa tenuta dei ricavi. I primi 9 mesi del 2020 hanno chiuso con ricavi a 12,9 miliardi che proiettano l’intero 2020 poco sopra i 17 miliardi. Lontani i tempi, siamo nel 2017 e 2018, in cui UniCredit realizzava quasi 20 miliardi di ricavi. In pochi anni la banca ha perso per strada oltre 2 miliardi di ricavi. Business ordinario quindi in forte frenata negli anni a guida Mustier. 

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Andrea Orcel, banchiere in pole per succedere a Mustier

La forte pulizia di bilancio a fronte di una gestione operativa della banca che langue non è piaciuta evidentemente al mercato come l’attuale sottocapitalizzazione dimostra. 

DA PREDATORE EUROPEO A PREDA

E quando perdi valore sul mercato da predatore rischi di diventare preda. Ed è quello che può accadere, secondo le intenzioni del Governo, a UniCredit lanciata verso un matrimonio in Italia con una banca come Mps che mostra una ancor più pronunciata caduta del business e dei ricavi che renderebbero ancora più fragile Unicredit. 

Il rischio vero è che in questa finestra temporale, si inseriscano a sorpresa i giganti del credito transalpini. Una banca globale come Bnp Paribas potrebbe guardare di buon occhio a una calata clamorosa in Italia, via UniCredit. La banca francese vale in Borsa oggi 54 miliardi, oltre 3 volte il valore di mercato di UniCredit. Con un colpo solo entrerebbe nel florido mercato italiano del risparmio gestito, e contemporaneamente in Germania, Austria ed Est Europa aree dove è presente UniCredit. Un altro papabile all’attacco frontale alla seconda banca italiana potrebbe essere il Credit Agricole, che già ha fatto incetta in Italia di piccole banche e ora potrebbe tentare il grande balzo. 

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Il presidente del consiglio di vigilanza della Bce Andrea Enria

Il clima oggi è dei più favorevoli. La Bce spinge per fusioni paneuropee che creino pochi grandi gruppi sufficientemente robusti a reggere le nuove sfide portate dal Covid. In fondo il sistema bancario europeo è oberato da forte sovracapacità.

Fusioni e razionalizzazioni possono essere l’antidoto a reggere il nuovo scenario che vedrà quest’anno e nei prossimi anni calare la redditività a livelli più bassi del costo del capitale.  La sfida è aperta e chi si farà trovare poco capitalizzato rischia di venire mangiato.