Economia
Usa, i dazi di Trump tegola per Conte. Ko anche Brembo, Sogefi e Pirelli
La Germania è il 1° obiettivo della nuova offensiva della Casa Bianca, ma con la Francia è anche il primo mercato di sbocco delle oltre 2 mila aziende italiane
Il “giorno x” per l’industria mondiale dell’auto è arrivata: in concomitanza con la festività del “President’s Day” che tiene chiusi i mercati finanziari negli Usa, Trump anche sulla base di un rapporto del Dipartimento del Commercio il cui contenuto è stato mantenuto finora riservato, deciderà se utilizzare o meno il pretesto della “sicurezza nazionale” per imporre dazi del 25% sull’import di auto e componenti.
Visti i precedenti c’è da essere certi che quanto meno minaccerà di farlo, dopo aver già aumentato i dazi su alluminio e acciaio e mentre sta trattando con la Cina sotto la minaccia di alzare al 25% i dazi su 200 miliardi di dollari di importazioni annue. La nuova misura colpirebbe in primo luogo l’Europa e dunque preoccupa particolarmente la Germania e i suoi tre grandi marchi (Bmw, Daimler e Volkswagen), ma potrebbe toccare anche il Giappone e forse la Corea (mentre Canada e Messico sono al riparo avendo già rinnovato gli accordi del Nafta negli scorsi mesi).
Se Fiat Chrysler Automobiles, grazie ai suoi stabilimenti in Nord America, è relativamente immune alla notizia, pure se non al rallentamento economico che l’applicazione dei dazi rischierebbe di accentuare in tutta Europa (dopo che già in gennaio le vendite nel vecchio continente sono calate del 16,6% contro il -4,6% del mercato), chi rischia maggiormente un contraccolpo è l’intera produzione industriale italiana, già salita di solo lo 0,8% nel 2018, il dato più debole degli ultimi 4 anni, con la produzione del solo settore auto in calo già del 5,9% rispetto al 2017.
Un calo che gli esperti del settore mettono in relazione al “dieselgate” che ha portato a una serie di nuove regole di omologazione finendo col limitare la produzione di molti gruppi italiani integrati nelle filiere produttive dei marchi tedeschi. L’export italiano ha così chiuso il 2018 con un +3% in deciso rallentamento dal +7,6% dell’anno precedente mentre il surplus di bilancia commerciale per la prima volta da cinque anni è scivolato sotto i 40 miliardi (a 38,9 miliardi).
L’export italiano intra-Ue a fine 2018 appariva già in calo prima dello 0,3% rispetto a 12 mesi ma è riuscito a contenere i danni (sui mercati extra Ue il calo sempre sul dicembre 2017 è stato del 5,1%). I dazi di Trump abbattendosi sulle auto europee farebbero scivolare il settore auto e componenti ancora più verso il basso e finirebbero col rendere quasi inevitabile una manovra correttiva del governo Conte in estate, visto che la crescita del Pil finora ipotizzata dal governo per il 2018 (+1%) sarebbe a quel punto virtualmente irraggiungibile. Che il rischio sia concreto lo hanno capito anche gli investitori: a Piazza Affari se Fca oscilla a -0,1%, Brembo, che produce impianti frenanti, cede un punto.
Poco meno perde Pirelli (pneumatici), mentre Sogefi (sistemi di filtrazione, componenti per sospensioni, impianti di gestione aria e raffreddamento motori) perde oltre l’1,2%. Ma i rischi vanno ben oltre pochi grandi nomi prestigiosi (tra cui va ricordata anche Magneti Marelli).
Il settore della componentistica per auto in Italia secondo i dati dell’ultimo Osservatorio sulla componentistica automotive italiana è rappresentato da 2.190 imprese tre subfornitori, specialisti, società di engineering e design piuttosto che sistemisti e produttori di moduli, che davano lavoro a 165.676 addetti (250 mila considerando anche gli addetti indiretti), in grado di fatturare complessivamente 46,5 miliardi di euro l’anno, con esportazioni per un controvalore di 21,2 miliardi e un saldo di bilancia commerciale positivo per 5,7 miliardi.
La decisione di Trump peserebbe inoltre sul settore in un momento già particolarmente delicato a causa delle incertezze circa l’impatto della Brexit e della decisione del governo italiano di tassare le nuove auto a benzina e diesel per incentivare le elettriche.
Insomma, se Angela Merkel ha i nervi a fior di pelle, Giuseppe Conte e i suoi vice non possono certo dormire sonni tranquilli in attesa di vedere come andrà a finire questo ennesimo, per quanto previsto, braccio di ferro dell’amministrazione Trump sul terreno del commercio internazionale.
Luca Spoldi