Economia

Wall Street, spopola il giochino del buyback. Azionisti e manager più ricchi

Nuova ondata di buyback alla Borsa di New York. Mentre i dipendenti restano a bocca asciutta...

di Andrea Deugeni
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Il solito vizietto delle blue chip di Wall Street: alla Borsa di New York, la prima piazza finanziaria mondiale, è partita una nuova ondata di buyback. Ovvero operazioni di riacquisto di azioni proprie come se non ci fosse un domani. Come? Impiegando l'enorme cassa presente nei forzieri delle società americane per far contenti gli azionisti e anche i ricchi manager possessori di cospicui pacchetti di stock option. Un mare di liquidità che, al contrario, dovrebbe essere utilizzata per gettare le basi della crescita futura delle imprese attraverso l'attività di ricerca e sviluppo e nuovi investimenti

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L'annuncio di martedì di Apple di dare il via nel 2018 a un nuovo programma di riacquisto di azioni proprie da ben 100 miliardi di dollari (oltre la metà di quanto il colosso di Cupertino ha drenato dal mercato negli ultimi 10 anni; 33 lo scorso anno) è solo l'ultimo di una lunga lista di quelli fatti alla comunità finanziaria dai big del New York Stock Exchange. Operazioni che quest'anno, secondo JP Morgan, potrebbero arrivare a circa 800 miliardi di dollari e “aumentare di oltre il 70% su base annuale”, ha sostenuto a gennaio un’analisi di Bloomberg.

Prima di Apple, a cui va lo scettro del buyback dell'ultimo decennio, nella classifica di Standard&Poor's, assieme a Microsoft, erano state infatti Cisco e Wells Fargo a comunicare agli investitori piani di riacquisto per oltre 20 miliardi. E, prima del varo da parte del Congresso americano dei tagli fiscali promossi dall'amministrazione Trump, si erano affrettati ad annunciare futuri buyback Home Depot (per 15 miliardi), Oracle (per 12), Bank of America (per 5), Mastercard (per 4) e United Airlines (per 3 miliardi). 

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Oltre all'ottima stagione dei bilanci a stelle e strisce alimentata da un'economia che marcia a pieno regime, a scatenare una nuova ondata di operazioni di riacquisto, che secondo Bloomberg può paragonarsi a quella del 2004-2005, è stato proprio "il regalino fiscale alle imprese più grandi e più ricche" - hanno accusato i Democratici - da parte della Casa Bianca.

The Donald, attraverso una sforbiciata alla corporate tax di 14 punti percentuali (dal 35 al 21%), con una discesa ancora più significativa per i capitali offshore detenuti nei forzieri situati nei paradisi fiscali d'Oltreoceano, ha contribuito non poco a gonfiare i surplus di liquidità presenti nelle casse di Corporate America.  Proprio nel 2004-2005, sotto l'amministrazione Bush, era stato concesso l'ultimo incentivo fiscale al rimpatrio dei capitali. 

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Dall’entrata in vigore della riforma fiscale, osserva un’analisi di Bank of America citata dal sito Valori.it, meno del 10% delle aziende dello Standard&Poor’s 500 (fra cui Walmart e Fca) ha elargito un bonus retributivo ai propri dipendenti.  Nell’ultimo trimestre, in compenso, i dividendi concessi agli azionisti sono aumentati dell’8% su base annuale. Ecco dove finirà il grosso della cassa detenuta a Wall Street.  

Grazie ai corposi buyback, le blue chips a stelle e strisce azionano una leva speculativa per realizzare immediati rendimenti. Drenando le azioni, restituiscono infatti un po' di ricchezza ai soci, sostenendo le quotazioni dei titoli (associando magari all'operazione anche un successivo raggruppamento degli stessi). In più, a parità di pay-out e ipotizzando profitti stabili o in crescita, a un minore flottante sul mercato corrisponde un utile per azione più alto (Apple ha appena aumentato la cedola del 16%).

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Sempre nel 2018, anche per effetto dei dividendi, secondo quanto sostenuto da David Kostin, chief US equity strategist di Goldman Sachs, i ricavi annuali per gli azionisti cresceranno del 21,6% sfiorando quota 1.200 miliardi di dollari.

Insomma, tutti contenti: azionisti e top-manager che vengono riconfermati per i brillanti risultati (di breve).  Meno i dipendenti, estromessi  dalla festosa sbornia del buyback.