Economia
"Welfare? Troppo sbilanciato". Parla Chiara Saraceno
Welfare, spesa pubblica e pensioni. L'intervista di Affari Italiani
«E’ un problema che pesa: e, se non sarà risolto strutturalmente, peserà sempre di più». Chiara Saraceno, già docente di Sociologia della Famiglia e oggi honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino, lo dice, e da anni: in Italia c'è un welfare sbilanciato a favore degli anziani, e a scapito dei giovani. Ne parla con Affari Italiani.
Professoressa, tempo fa, all’Espresso, disse che in Italia è stato individuato uno “scontro generazionale” tra chi ha tanto (i padri) e chi poco (i giovani) e che tuttavia, dati alla mano, hanno stravinto gli anziani. Ci spiega meglio?
«Il nostro sistema di welfare è molto sbilanciato a favore degli anziani. La quota maggioritaria della spesa pubblica, infatti, va a favore delle pensioni. Poi c’è la spesa sanitaria: che, anche per motivi fisiologici, è destinata prevalentemente agli anziani. E per le età centrali e soprattutto per i giovani rimane ben poco. Non è solo una questione di entità della spesa sociale».
Cioè?
«Il problema non è una spesa sociale molto al di sotto degli standard europei (più o meno siamo nella media europea). Il problema è, appunto, questo sbilanciamento interno».
Negli ultimi 10-15 anni la ricchezza degli over 65 è aumentata, mentre la povertà è andata a colpire sempre di più gli under 35. E’ legittimo mettere in relazione le due cose?
«Dunque, sostenere che tutti gli anziani si sono arricchiti non corrisponde alla realtà. Inoltre ci sono anche gli anziani, specie anziane, in povertà. Ma è vero che gli anziani, o comunque le persone in età più matura, hanno in media redditi più alti di chi è più giovane, il che è fisiologico, quindi hanno anche maggiori risparmi accumulati. Negli ultimi anni, con la ripresa delle borse dopo la crisi, chi aveva capitale finanziario – prevalentemente le persone in età matura e anziane – ne ha visto aumentare il valore, laddove i più giovani hanno visto indebolire la possibilità di accedere ad un reddito da lavoro decente. Chi era in pensione o è andato in pensione, poi, ha avuto un reddito assicurato e protetto, a differenza di chi era nel mercato del lavoro: si può perdere lo stipendio, non la pensione. Questo spiega anche perché l’aumento generalizzato della povertà, specie assoluta, a seguito della crisi ha colpito tutte le età, e soprattutto i minori e i giovani, ma non gli anziani».
Come si corregge un sistema del genere?
«In primo luogo occorre intervenire dal lato della domanda, e non solo dell' offerta di lavoro, come si è fatto invece in questi anni, illudendosi che rendere sempre più flessibile, quindi precaria, la forza di lavoro creasse lavoro. Evitando di disperdere risorse scarse in modo inefficace e spesso ingiusto, innanzitutto. Ma occorre anche evitare di disperdere risorse scarse in interventi inefficaci e talvolta iniqui. Sotto il governo Renzi ci sono stati interventi di redistribuzione. A mio avviso sbagliati, però».
Tipo?
«Si è tolto l’Imu sulla prima casa, per esempio. E’ vero: è un provvedimento che avvantaggia tutti i proprietari. Ma appunto avvantaggia anche chi non ha un reddito modesto, cioè i più abbienti: che non ne avrebbero bisogno. È stata una misura che, fatta indiscriminatamente, non ha ottenuto l’obiettivo di un’equa redistribuzione delle risorse, anzi ne ha sottratte. E ha complicato la vita ai comuni, ai quali lo stato non ha compensato i mancati introiti. Ancora: gli 80 euro ai lavoratori dipendenti a basso reddito individuale. Una misura molto costosa (8 miliardi all’ anno) che non è andata a sostenere coloro che hanno un reddito molto basso, i cosiddetti incapienti. Addirittura si è arrivati al paradosso di alcuni lavoratori che hanno dovuto restituirli (tutti o in parte) non perché avessero guadagnato più della soglia, ma perché avevano guadagnato tanto meno da diventare incapienti. Anche i bonus per le famiglie sono un insieme frammentato e inefficiente. Nel complesso si è evitato di procedere con una riforma - sensata - che potesse introdurre un assegno universalistico per i figli: che ritengo sarebbe stata una grande misura di sostegno per le giovani famiglie. Sicuramente un’opzione migliore. Un’altra cosa che mi ha particolarmente indignato, poi: la quattordicesima agli anziani, che è andata anche a quelli che sono ben al di sopra della soglia di povertà. Piuttosto, si poteva rafforzare il REI (reddito di inclusione), cui sono state dedicate risorse largamente insufficienti. Invece è stata protetta la categoria che, rispetto alle altre, meno ne avvertiva la necessità, come emerge nettamente anche dagli ultimi dati sulla povertà, che mostrano come la metà di tutti i poveri assoluti è costituita da minori e giovani fino ai 34 anni, mentre gli anziani sono meno di un ottavo. Gli anni di questa legislatura rappresentavano una buona occasione per procedere a una riforma del welfare in direzione più efficiente ed equa. Purtroppo, non sono stati sfruttati a pieno».
Gli italiani tra i 18 e i 34 anni sono 11 milioni, gli under 18 10 milioni (dati Censis). In tutto 21 milioni. I giovani rappresentano, cioè, la minoranza della popolazione, e quindi l’elettorato meno forte: adesso e in prospettiva. C’è una mancanza di volontà politica nel sostenerli.
«E aggiungo: rimane l’idea secondo la quale i giovani possono stare a carico della famiglia. Sì, siamo pronti a chiamarli “bamboccioni” se rimangono con i genitori a lungo, ma alla fine la protezione della famiglia diventa quasi una giustificazione per non intervenire. In realtà è causa di grandi disuguaglianze: non tutti, infatti, ne hanno una economicamente solida alle spalle. Inoltre, il giovane a carico della famiglia non solo perde autonomia (perché vincolato dalle finanze dei genitori) ma grava anche sulla stessa: perché anche chi si trova nell’età di mezzo, oggi, ha prospettive lavorative e pensionistiche meno sicure rispetto alla generazione precedente».
Questo welfare così sbilanciato è uno dei nostri problemi più seri?
«Assolutamente. E’ un problema che pesa: e, se non sarà risolto strutturalmente, peserà sempre di più».
@Simocosimelli