Spettacoli
Claudio Cecchetto: "Ho in mente un talent show fuori dagli schemi"
Di Giordano Brega
Le voci che lo danno a capo del nuovo polo radiofonico di Mediaset (“Siamo a livello di gossip”), il progetto di un talent show legato alla musica, ma fuori dagli schemi (dal sottotitolo ”La voce non è tutto”) e non solo: Claudio Cecchetto si confessa ai microfoni di Affaritaliani.it. Il numero uno dei talent scout d’Italia – reduce dal premio ricevuto all’Italian Leadership Event organizzato da Roberto Re e giunto alla quinta edizione in Bicocca - parla a ruota libera.
ECCO LE CONFESSIONI DI CLAUDIO CECCHETTO
Ci sono voci che la vorrebbero a capo del nuovo polo radiofonico di Mediaset?
“Le ho sentite anche io, sì”.
C’è qualcosa di vero? Potrebbe essere una sfida interessante?
“Quando si parla di radio a me fa sempre piacere essere coinvolto come nome, come ipotesi. Però siamo a livello di gossip”
Quindi per ora nulla di confermato?
“No, nulla di confermato”.
Lei ha scoperto moltissimi talenti: da Jovanotti a Fiorello, Fabio Volo e Gerry Scotti, passando per Max Pezzali e molti molti altri. Oggi ne vede di nuovi nell’ambito televisivo e radiofonico?
“E’ abbastanza difficile, perché mancano i pionieri. Una volta anche le radio partivano così… in maniera amichevole. Di conseguenza c’era più spazio alla sperimentazione e all’espressione. Adesso devono fare tutti il compitino, quindi è molto difficile riuscire a capire chi potrebbe emergere”
Ma c’è qualcuno tra i giovani che la colpisce in questo panorama?
“Per il momento… per il momento… per il momento… per il momento (sorride, ndr)”.
Ma è vero che i talent show sono il formato televisivo di ciò che è stato Claudio Cecchetto negli anni ’80?
“Se l’ha detto qualcuno ne sono onorato. Però quello è un programma televisivo, quello è un talent show. Cosa diversa che essere talent scout”.
Lei però sta pensando a un talent legato alla musica diverso dai soliti…
“Diciamo che quando riuscirò a farlo si capirà. Il sottotitolo di questo talent è ”La voce non è tutto”. Ora tutti vanno a cercare la buona voce, ma di persone e cantanti intonati ce ne sono tantissimi. Adesso bisogna andare oltre il talento. Si deve cercare l’attitudine”.
Perché fa fatica a imporre un reality di questo tipo, che andrebbe gli schemi degli attuali che si vedono in Italia?
“Perché la parola talent è generalizzata. Se tu proponi un nuovo talent…. ti dicono che hanno già un talent. Se le reti ne hanno già uno non ne fanno un altro”.
E forse hanno poca voglia di sperimentare?
“La paura c’è sempre stata. Adesso, viste anche le condizioni economiche del Paese e pochi budget a disposizione, è aumentata la paura di sbagliare. Per cui vai sul tradizionale. La colpa diventa della crisi economica e non della crisi artistica”.
C’è qualche talento nella sua carriera che le è sfuggito?
“No”
Quindi non ha rimpianti?
“No, assolutamente. Anche perché io non ero a caccia di talenti. Se qualcuno emergeva da solo io ero contento lo stesso. Non invidiavo il suo talent scout. Io ho collaborato con persone di talento che comunque gravitavano intorno al mio mondo”
Oggi cambiano i meccanismi per mettersi in luce rispetto al passato. Ma quali sono le basi per emergere?
“Ci deve essere una grande passione e - come dico nel mio libro ("In diretta. Il gioca jouer della mia vita" by Baldini e Castoldi, 400 pagine, 16 euro) - il talento è un dono e il successo è un mestiere. Quindi, al di là del proprio talento, serve esercitarsi, studiarlo e fare in modo che diventi un mestiere”.
Se lei avesse vent’anni oggi cosa farebbe?
“Farei quello che fa mio figlio di vent’anni. Vivrei tutte queste nuove tecnologie e cercherei, all’interno di esse, di trovare quella che mi piace di più, quella che mi riesce meglio per godermi la vita”