Esteri
Canada, il successore di Trudeau lo "sceglierà" Trump. I dazi al 25% fanno paura
La corsa per la leadership e le grandi sfide economiche
Canada, il dopo Trudeau e l'incognita Trump
Giochi aperti per la successione di Justin Trudeau, il premier canadese dimessosi ieri in virtù di una crescente e ormai ingovernabile opposizione. Ancora in carica per gestire gli affari correnti, Trudeau lascerà non appena il Partito liberale, il suo, avrà trovato un nuovo leader. In corsa ci sono vari nomi: ministri, ex giornalisti, banchieri. Per tutti, però, le difficoltà sono le stesse, tra le sfide economiche e i nuovi rapporti con gli Stati Uniti implicati dall’avvento della presidenza Trump.
Le sfide del Canada
Eletto nel 2015 e poi ancora nel ’19 e nel ’21, Trudeau ha visto la sua popolarità scemare fino a fronteggiare una fronda interna al partito, del resto crollato nei sondaggi a oltre 20 punti percentuali di distanza dai conservatori di Pierre Poilievre. Ricucire questo gap in vista delle elezioni federali in calendario a ottobre 2025 sarà il primo compito del successore di Trudeau: una sfida politica che sembra più un’impresa titanica, visto che si parla di un match che parte dal 44,2% a 20,2% in favore dei liberali (sondaggio CbcNEws). Al di là degli scenari elettorali, il nuovo leader dei Liberali dovrà far fronte alle sfide economiche. Nonostante un’inflazione intorno al 2% su base annua (1,89% a novembre), il costo della vita rimane alto: l’inflazione “core” – esclusi cioè energia, alimentari, alcol e tabacco – è rimasta a novembre 2024 al 2,7% invece di calare al 2,5% come previsto dagli analisti. Inoltre, il Canada è alle prese con una particolare crisi del mercato immobiliare, segnato dalla carenza di alloggi.
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A questi punti va aggiunta la questione Donald Trump. Il futuro presidente degli Usa ha minacciato tariffe al 25% per i prodotti canadesi se Ottawa non farà nulla per bloccare quella che lui chiama l’'“invasione” di droga e migranti. I rapporti col vicino, però, non si fermano qui. Nei giorni scorsi, Trump ha definito Trudeau il “governatore” del “51° Stato Usa”. Esternazione derubricata a battuta dal Canada, ma che per alcuni suona come un campanello d’allarme per la sovranità del paese.
Chi per il dopo Trudeau? I profili
I nomi in lizza per la successione sono diversi. In prima linea c’è l’ex ministra delle Finanze e vicepremier Chrystia Freeland, dimessasi a novembre in seguito a scontri con Trudeau sull’approvazione del bilancio annuale. Giornalista, è entrata in politica nel 2013 quando proprio Trudeau le chiese di guidare il suo team di consulenza economica. Da allora è stata ministra degli Esteri, gestendo il rinnovo degli accordi Nafta durante il primo mandato di Trump, e poi degli Affari intergovernativi. La sua popolarità, però, non è alle stelle, in quanto ha minimizzato le preoccupazioni economiche dei cittadini affermando che il Canada stava semplicemente vivendo una “vibecession”, un neologismo usato per indicare lo scollamento tra andamento dell’economia e percezione di esso da parte della popolazione.
Mark Carney, che non ha ancora lanciato la sua candidatura, ha invece il profilo del tecnocrate. Governatore della Banca centrale del Canada dal 2008 al 2013 e poi di quella d’Inghilterra fino al 2020, è stato anche a capo del Financial stability board. Consigliere economico dei Liberali, deve fronteggiare le critiche di chi, nel partito, non lo ritiene politicamente pronto a governare.
“Vorrei partecipare alle discussioni sulla future direzione del Partito liberale e del paese”, aveva detto Christy Clark, premier della British Columbia dal 2011 al 2017, lo scorso ottobre, quando le dimissioni di Trudeau erano chieste a gran voce da più parti. Nei suoi anni al governo della provincia canadese, Clark si è distinta per riforme come l’aumento del salario minimo da 8 a 10,25 dollari l’ora e per un sostegno tiepido alle tematiche ambientali. Un punto che potrebbe portarle l’appoggio di alcune fette dell’elettorato, preoccupate dall’approccio visto come troppo ideologico dell’attuale governo. Gioca a suo vantaggio anche il fatto che non può essere direttamente collegata ai nove anni di Trudeau poiché non ha mai avuto incarichi governativi in Canada.
Altri nomi sono quelli della ministra degli Esteri Mélanie Joly, del ministro dell’Industria François-Philippe Champagne e di quello delle Finanze e degli Affari intergovernativi Dominic LeBlanc. Joly recentemente è stata a Mar-a-Lago per discutere con Trump del rafforzamento dei controlli al confine tra Usa e Canada, ma tra i Liberali c’è chi non la vede di buon occhio per la sua timidezza sulla guerra a Gaza. Champagne ha guidato la transizione canadese verso le auto elettriche ed è stato in prima linea nell’opporsi a un secondo mandato di Trump. LeBlanc ha un lungo curriculum politico, ma è reputato troppo vicino all’ormai impopolare Trudeau. Infine, Anita Anand, ministra dei Trasporti più a volte a capo di altri dicasteri: ha gestito la distribuzione dei vaccini durante la pandemia e ha affrontato le questioni di genere relative alle molestie sessuali nelle forze armate e sui luoghi di lavoro.