Esteri
Biden, Putin e Xi flirtano col decoupling: ma ancora non esiste e l'Ue frena
Disaccoppiamento? Ne parlano tutti, ma non lo fa nessuno. Pechino e Mosca lavorano all'anti SWIFT, Biden preme per le supply chains democratiche. Ma...
Dall'Ucraina si rilancia l'ipotesi del decoupling tra Usa, Russia e Cina
Tu chiamalo, se vuoi, decoupling. O meglio disaccoppiamento. Un concetto che, se applicato alle economie globali può davvero portare a una disruption in senso localista e minilaterale dell'architettura commerciale mondiale. Un termine diventato familiare all'opinione pubblica da qualche anno, più o meno dal 2018. Cioè da quando si è compreso che la contesa tra Stati Uniti e Cina era qualcosa di serio che poteva portare non solo a un innalzamento di tariffe e battaglia sulla bilancia commerciale, ma persino a una separazione dolorosa delle economie mondiali. Alla faccia degli affari.
Eppure, a distanza di qualche anno questo disaccoppiamento non si è ancora realizzato. Anzi, le economie restano interconnesse durante i tentativi di costruzione di una cortina di ferro tecnologica su alcuni settori più sensibili come quello delle infrastrutture di rete 5G oppure sui semiconduttori. E di questo tema se ne torna a parlare con vigore in riferimento a quanto sta accadendo in Ucraina. Anche la Russia potrebbe disaccoppiarsi, o forse solo lei. D'altronde Mosca è abituata a questo approccio, visto che durante la guerra fredda (quella vera) l'economia dell'Unione Sovietica era davvero separata da quella degli Stati Uniti e dell'occidente.
Disaccoppiamento? Tutti ne parlano, ma per ora (quasi) nessuno lo vuole davvero
Una situazione completamente diversa rispetto a quella attuale, dove le tensioni tra Washington e Pechino non sono mai sfociate in una separazione delle due economie. Anzi. L’escalation conflittuale tra le due potenze nel 2019 portò il Financial Times a inserire nella lista di parole dell’anno il termine decoupling, ovvero disaccoppiamento: l’intenzione di ridisegnare le supply-chain della globalizzazione e rilocalizzare la produzione delle imprese americane fuori dalla Cina, preferibilmente verso altre destinazioni o negli Stati Uniti (reshoring).
Un clima di tensione che ha spinto con ancor più forza Pechino a prioritizzare la propria autosufficienza tecnologica e a spostare il proprio focus dalle esportazioni alla domanda interna, in una strategia nota come doppia circolazione. A ogni modo, se nel 2016 il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina ammontava a 346,8 miliardi di dollari e nel 2018 era arrivato a sfiorare i 420 miliardi, nel 2019 la guerra dei dazi ha sortito i suoi primi effetti, facendolo scendere a 345,2 miliardi e nel 2020, dopo la firma dell’accordo di fase uno, a 283,6 miliardi di dollari.
Eppure, nonostante il sostegno bipartisan, il disaccoppiamento economico è un'impresa ardua. Se l'amministrazione Biden vuole avere successo, gli Stati Uniti non solo dovranno riordinare ampie parti della propria economia globalizzata, ma anche assicurare la partecipazione di altri paesi che sono grandi partner commerciali della Cina e investitori in essa. Entrambi gli obiettivi saranno più difficili da raggiungere di quanto molti a Washington si aspettino.
(Segue...)