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Esteri
Guerra in Israele, compleanno di fuoco e fiamme: 76 anni di contraddizioni
Gaza

Guerra in Israele, compleanno di fuoco e fiamme

Erano le 16:37 del 14 maggio 1948 quando nel salone del museo di Tel Aviv, noto oggi come Independence Hall, Ben Gurion in diretta radio, terminata la lettura del suo discorso, battendo il pugno sulla scrivania dichiarò a gran voce: “Lo Stato di Israele è nato. La seduta è tolta”. Malgrado avessero fatto di tutto per scongiurare l’evento, gli Stati Uniti riconobbero Israele dieci minuti dopo la proclamazione della sua fondazione.

Israele dal 1947 a oggiIsraele dal 1947 a oggi 
 

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Grande poco più della nostra Emilia-Romagna, nato sulle spoglie del mandato britannico della Palestina, una forma mascherata di imperialismo che permise alla Gran Bretagna di governare l'area per quasi 30 anni e prepararla al cambio della guardia, Israele oggi compie 76 anni. E oggi, come allora, festeggia il suo compleanno fra fuoco e fiamme. Israele è giovane, l’età media è 30 anni. È potente, primeggia nel mondo sul fronte economico, militare e dell’intelligence. È ramificato e altamente qualificato. L’unico al mondo ad avere propaggini extra territoriali pressoché ovunque e che in alcuni casi contano quasi, se non di più, di quelle dei suoi confini geografici. Eppure non è mai stato tanto solo. Intorno alla sua torta ci sono solo i fedelissimi della guerra. Tutti gli altri fuori, compresa la Pace.

Israele è uno Stato giovane, con un tasso di natalità altissimo e in media 3 figli a nucleo familiare. Da due decadi è inoltre in corso una sistematica e metodica pianificazione di sviluppo demografico sostenuta dal Governo e portata avanti da agenzie specializzate in grado di aiutare ebrei sparsi per il mondo a trasferirsi in Israele. Pensano a tutto: dalla pianificazione pre-Aliya fino a dopo il loro arrivo. Una macchina da guerra generatrice di “pacchetti” di trasferimento “chiavi in mano”: dalla chiusura e vendita della vecchia casa alla consegna di quella nuova, il 99,9% delle quali si trova in Cisgiordania, in colonie illegali che crescono come funghi.

Una di queste è la Nefesh b’Nefesh, il cui hashtag è #LiveLoveIsrael. Come si legge sul suo sito “Noi di Nefesh b’Nefesh riconosciamo l'enorme opportunità insita nell'aumento (dell’immigrazione) per raggiungere obiettivi strategici e rispondere a molte sfide nazionali”. L’organizzazione è in grado di fornire “la risposta necessaria a realizzare la visione sionista dell’immigrazione in Israele, sviluppando la periferia geografica, promuovendo il rapporto con gli ebrei della diaspora, mantenendo la sicurezza dello Stato, per finire con il rafforzamento dell’economia israeliana”.

Dalla sua fondazione, nel 2002, solo lei ha trasferito 75mila ebrei di origini ashkenazite – per lo più russi e ucraini - provenienti soprattutto da Stati Uniti e Gran Bretagna, rimuovendo ostacoli professionali, logistici, burocratici ed economici. L’impatto economico netto generato sullo stato di Israele solo da questi immigrati è di circa 2 miliardi e mezzo di euro.

Le organizzazioni specializzate nelle procedure dell’ Aliyah (legge del ritorno), sono decine. Israele è uno stato potente, sotto ogni punto di vista. A parte il primato economico e finanziario che gli permette di governare la finanza mondiale, possiede il più potente, pervasivo e organizzato servizio d’intelligence esistente al mondo. Ancora prima della sua nascita ufficiale, a Tel Aviv aveva messo in piedi una base operativa in grado di intercettare ogni più piccola conversazione si fosse tenuta dentro e fuori il perimetro del mandato britannico, e con i mezzi scarsi dell’epoca fu in grado di cerare una rete d’intervento che contribuì in larga parte alla sua vittoria sugli arabi quando gli inglesi se ne andarono e simultaneamente 5 stati arabi, Egitto, Siria, Iraq, Libano e Transgiordania, gli dichiarano guerra lo stesso giorno in cui venne al mondo.

Lo Stato ebraico è nato con le armi in pugno, imbracciate molto prima di vedere la luce. Il suo esercito, L'IDF, generato dalla riunificazione di realtà paramilitari come l’Irgun e l’ Haganah, formatesi in Palestina a partire dagli anni Venti del XX secolo, è considerato la forza armata più addestrata alla battaglia al mondo. La sua dottrina a livello strategico è difensiva, mentre sul campo le sue tattiche sono offensive. Disciplina e metodo sono la sua spina dorsale. Organizzato secondo il principio della leva permanente per tutti, fatta salva qualche eccezione, ha come obiettivo la sicurezza: difendere l'esistenza, l'integrità territoriale e la sovranità dello Stato d'Israele; scoraggiare i nemici; prevenire ogni forma di terrorismo che minaccia la vita quotidiana.

 

Israele compie gli anni. Oggi, come 76 anni fa – all’indomani della sua nascita venne attaccato dagli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano – festeggia il suo compleanno fra fuoco e fiamme. Questa volta però, invece di essere guardato con ammirazione, mezzo mondo lo tratta da Paria. Non è mai stato così solo e isolato. Solo i fedelissimi della guerra, legati a lui a doppio filo per inconfessabili ma evidenti ragioni finanziarie, sono stretti intorno alla sua torta. In sette mesi è riuscito a passare da Stato vittima a Stato carnefice, distruggendo in meno di 220 giorni una narrazione perfetta tessuta nel corso di cento anni di indefessa propaganda. E questo malgrado da settimane le macchine della propaganda e del ricatto abbiano ripreso a girare a tutto vapore, tanto da far dichiarare 11 ore fa alla Casa Bianca che "A Gaza non è in atto un genocidio". Ma chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare non solo sa bene che lo è. E sa anche che l’orrore è a tal punto abnorme da non trovar parole per descriverlo, nemmeno fra il “vocabolario” di guerra.

Da quando è nato Israele non conosce Pace. Tanto meno ha trovato soluzione al conflitto con i nativi palestinesi che dal 1948 sono costretti a sottostare al suo dominio. Sanguinose guerre, ondate repressive si sono succedute, unitamente ad altrettante reazioni scomposte, da parte dell’una e dell’altra parte. Dal 1948 i Diritti Umani vengono calpestati da Israele, ogni giorno, nei cosiddetti Territori Occupati, con la politica segregativa di Gaza e con gli abitanti arabi di Gerusalemme Est.

Ogni tentativo per arrestare questa lunga scia di sangue, di fuoco e di odio fino ad oggi si è dimostrato vano. Sangue a fuoco che continuano a scorrere anche nel tragico conflitto in corso, scatenato dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre che ha ucciso 1139 israeliani, in risposta del quale Israele a scatenato una controffensiva che in oltre sette mesi non ha ottenuto null’altro che la distruzione totale dell’80% degli edifici e delle infrastrutture della Striscia di Gaza e l’uccisione e il ferimento di più di 110.000 civili palestinesi, due terzi dei quali sono donne e bambini.

Già all’alba di Israele, in anticipo su tutti, Albert Einstein aveva ravvisato molti parallelismi tra il partito del primo ministro Menachem Begin e i nazisti. In una lettera del 2 dicembre 1948 indirizzata al New York Times, firmata da altri 28 intellettuali ebrei, fra i quali Hannah Arendt, redatta quando Begin era in visita negli Stati Uniti per raccogliere sostegno dai sionisti americani, Einstein scrisse che il partito politico di Begin è «strettamente simile, nella sua organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nel fascino sociale, ai partiti nazista e fascista», ammonendo che «Prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin, e alla creazione di una immagine di sostegno americano ad elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi del Sig. Begin e del suo movimento».

In quella lettera aperta Einstein scrisse anche del massacro terroristico del pacifico villaggio di Deir Yassin e di come il partito di Begin mantenne addirittura in vita alcuni abitanti del villaggio trasportando alcuni di loro come trofei vivi per le strade di Gerusalemme. La missiva si chiudeva con un avvertimento di straordinaria attualità:

“Alla luce delle soprascritte considerazioni, è imperativo che la verità su Begin e il suo movimento sia resa nota a questo paese. È ancora più tragico che i più alti comandi del sionismo americano si siano rifiutati di condurre una campagna contro le attività di Begin, o addirittura di svelare ai suoi membri i pericoli che deriveranno a Israele sostenendo Begin. I sottoscritti infine usano questi mezzi per presentare pubblicamente alcuni fatti salienti che riguardano Begin e il suo partito, e per sollecitare tutti gli sforzi possibili per non sostenere quest’ultima manifestazione di fascismo”.

Preoccupazioni mai sopite e che oggi, con prepotenza, scuotono le coscienze e interrogano la gente che si trova ad assistere al primo sterminio consumato in diretta nella storia dell’umanità. Senza dimenticare che per gli arabi domani, 15 maggio, coincide con l'anniversario della al-Nakba. L'inizio di un drammatico interminabile calvario. Una tortura fisica e psicologica crudele, con la quale è impossibile scendere a patti e convivere. Un solo giorno senza termine sotto il cui cielo la Pace non è contemplata.

Buon compleanno Israele. Anche se hai lasciato fuori dalla porta metà dei tuoi principi fondativi e distorto metà delle tue promesse. Anche se hai lasciato fuori dalla porta metà dei tuoi figli, le cui ragioni non ascolti da mesi e che stai prendendo a calci come fossero traditori. Anche se hai lasciato fuori dalla porta la Pace, della quale in molti temono tu non sappia più cosa fartene e tanto meno cosa sia.

 






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