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L’Italia ha i saraceni alle porte. Di nuovo. Storia dell'Emirato di Bari

James Hansen

L’Italia ha di nuovo i saraceni alle porte. L’Emirato di Bari fu il più duraturo episodio di governo nella storia dell’Islam nell’Italia continentale

Di James Hansen

L’Emirato di Bari — L’Italia ha di nuovo i saraceni alle porte. Dal punto di vista storico, non è certo una novità. Ma mentre la conoscenza popolare ammette un vago ricordo dell’Islam in Sicilia—e la derivazione della parola “arancia” attraverso la lingua araba (probabilmente d al sanscrito nagarañja , “frutto prediletto dagli elefanti”) —dimentica altre e interessanti esperienze. L’Emirato di Bari all’orecchio moderno suona come uno scherno leghista, ma è una realtà storica, esistita tra l’847 e l’871. Fu il più duraturo episodio di governo nella storia dell’Islam nell’Italia continentale— cioè, ad esclusione della Sicilia, ma anche della Sardegna, dove invece i seguaci di Muhammed non sono mai penetrati in maniera significativa. Dispiace ricordare che secondo le cronache dell’epoca la conquista della città pugliese avvenne da parte di un musulmano da poco, tale Kalfün, ricordato come un servo o forse uno schiavo scappato, un berbero da niente, fuggito dal prestigioso emirato siciliano. L’impresa, condotta com’era da una figura di secondo o anche terzo piano, fu percepita come questione di modestissima importanza dai contemporanei. Il successore di Kalfün, Mufarrag ibn Sallam, venne ignorato quando fece richiesta al Califfato di Baghdad per ottenere il titolo di wali —governatore provinciale—in riconoscimento della conquista. Il terzo ed ultimo Emiro di Bari fu Sawdan, salito al potere nel 857 dopo l’omicidio di Mufarrag. Ancora più intraprendente dei predecessori, invase il Principato di Benevento, finalmente guadagnando da Baghdad l’agognato riconoscimento per il suo regno come provincia del Califfato. Secondo le cronache ebraiche dell’epoca, Sawdan governò Bari bene e con saggezza. La Chiesa invece lo detestò. Il monaco benedettino e storico longobardo Erchemperto lo definì nequissimus ac sceleratissimus. Si sa invece che fiorì l’economia cittadina, segnatamente nel commercio degli schiavi, del vino e della ceramica. Con la risultante prosperità arrivò anche un grado di rispettabilità. Secondo il Chronicon Salernitanum , legati baresi furono ricevuti a Salerno e fatti ospitare nel Palazzo Vescovile—per quanto, la storia ricorda, contro la volontà del Vescovo. Proseguì, fiorente anche questo , il saccheggio occasionale dei territori cristiani nei dintorni, raggiungendo Capua ad ovest e estendendosi sul Gargano a nord, dove gli uomini dell’Emiro arrivarono a razziare il Santuario di Monte Sant’Angelo. Né la Chiesa né i principati confinanti erano contenti del riottoso vicino. Finalmente riuscirono a interessare l’imperatore carolingio Ludovico (oppure Luigi) II, detto il Giovane, al problema. Nell’870 lui guidò una forza di lombardi e franchi, assistiti da una f lotta di Sclaveni (più in là diventeranno croati) alla riconquista di Bari. La città cadde nel febbraio del 871, con la consueta strage degli abitanti .

La tradizione dei problemi italici con l’Islam è molto vecchia. Una quindicina d’anni fa ha fatto scalpore un saggio del politologo americano Francis Fukuyama, secondo il quale la diffusione delle democrazie liberali, del capitalismo e lo stile di vita occidentale potrebbe segnare la fine dello sviluppo socioculturale dell'umanità, diventando la forma finale di governo nel mondo—ossia, nella sua visione, “La fine della storia” . Però, i saraceni sono sempre là fuori.