Esteri

"Svuotare la striscia di Gaza": il piano (irrealizzabile) di Trump che scuote il Medio Oriente

Il presidente Usa chiede a Giordania ed Egitto di accogliere gli sfollati per "ripulire Gaza". Un piano del tutto irrealizzabile, come dimostrano i precedenti. Con buona pace dell'estrema destra israeliana che mira a tornare nella Striscia

di Mauro Indelicato

"Svuotare la striscia di Gaza": il piano (irrealizzabile) di Trump che scuote il Medio Oriente

Donald Trump è andato giù duro a proposito del futuro di Gaza: “Sto osservando la Striscia – ha dichiarato il 25 gennaio ai giornalisti che lo seguivano a bordo del suo Air Force One – è totalmente distrutta. Ho chiesto a Re Abdallah II di Giordania di accogliere parte dei palestinesi, lo chiederò anche agli egiziani”.

Tradotto, vuol dire che il presidente Usa ha seria intenzione di evacuare Gaza e trasferire altrove i suoi abitanti: “I palestinesi possono andare in Giordania e in Egitto – ha infatti incalzato il capo della Casa Bianca – noi intanto ripuliamo Gaza”.

Ma l'idea di evacuare Gaza, a partire dal 7 ottobre 2023, ha sempre rappresentato uno spettro da evitare a tutti i costi agli occhi dei leader arabi. Uno spettro però che le parole di Trump potrebbero aver reso drammaticamente attuale, con tutte le conseguenze del caso.

"Palestinesi in Giordania ed Egitto", una frase che colpisce il ventre molle del Medio Oriente

La Striscia di Gaza ha al suo interno oltre due milioni di abitanti. Il loro forzato spostamento creerebbe gravi problemi a qualsiasi Paese che andrebbe a ospitarli. A partire dai problemi di ordine economico, vista la necessità di reperire ingenti fondi per l'accoglienza. Già soltanto guardando alla situazione economica dei Paesi chiamati in causa da Donald Trump, ossia Egitto e Giordania, i limiti del piano del presidente Usa sono ben evidenti. Il Cairo sta scontando una grave crisi legata a un debito sempre più alto e a una povertà sempre più diffusa. Stesso discorso è possibile farlo per Amman, il cui governo non sta navigando in buone acque.

Non ci sono le risorse quindi per accogliere eventuali sfollati. E qualora Washington dovesse farsi carico delle ingenti spese, circostanza però che creerebbe non poche perplessità politiche oltreoceano, ci sarebbero comunque da affrontare tematiche di ordine sociale e legate alla sicurezza. L'afflusso repentino di oltre un milione di profughi, inciderebbe infatti sugli equilibri sociali e politici sia dell'Egitto che della Giordania. Questo spiega perché proprio le forze de Il Cairo, negli ultimi mesi soprattutto, hanno sbarrato il confine con la Striscia ed evitato ogni attraversamento illegale del valico di Rafah.

Perché il piano di Trump non si potrà realizzare: i precedenti

A dare manforte ai timori dei leader arabi sono anche i dati derivanti dai precedenti storici. Re Hussein, padre dell'attuale sovrano della Giordania, nel 1970 ha lanciato il cosiddetto “settembre nero” contro le organizzazioni palestinesi. In quella circostanza, l'esercito del regno hashemita è stato scagliato contro i leader palestinesi e, al termine delle operazioni, i profughi ereditati dalla guerra con Israele del 1949 sono stati trasferiti in Libano.

Qui l'afflusso improvviso di sfollati ha alterato gli equilibri sociali, politici e religiosi, contribuendo a far scivolare Beirut in una lunga guerra civile. Né Abdallah II e né tanto meno il presidente egiziano Al Sisi, hanno oggi intenzione di correre il rischio di assistere nuovamente a simili scenari. Da qui il loro prevedibile rifiuto, già in parte esplicitato, al piano di Trump: “Ogni tentativo di sradicare i palestinesi da Gaza – si legge ad esempio in una nota delle scorse ore del ministero degli Esteri egiziano – rappresenta una violazione che minaccia la stabilità della regione”.

Senza il via libera de Il Cairo e di Amman, le parole di Trump difficilmente si tradurranno in fatti. A Washington, saranno probabilmente gli stessi collaboratori del presidente Usa a sottolineare al tycoon l'impraticabilità del suo piano.

Un favore alla destra israeliana che sogna di tornare a Gaza

Il dibattito sul futuro di Gaza è molto sentito ovviamente anche sul versante israeliano. Tel Aviv ha abbandonato la Striscia nel 2005, a seguito della scelta compiuta dall'allora premier Ariel Sharon. Da quel momento, nessun primo ministro ha mai palesato l'idea di un ritorno. Lo stesso attuale primo ministro Benjamin Netanyahu non ha parlato della volontà di occupare Gaza nel lungo periodo al termine dell'attuale guerra.

Ma è pur vero che la maggioranza di governo alla Knesset, il parlamento israeliano, è retta da due partiti estremisti che, al contrario, del ritorno a Gaza ne hanno fatto una bandiera politica. Il riferimento è a Sionismo Religioso, retto dal ministro delle finanze Bezael Smotrich, e a Potere Ebraico, retto da Itamar Ben Gvir. Per loro, le parole di Trump potrebbero rappresentare un inatteso e insperato favore. Forse nemmeno tanto voluto e tanto pronosticato dallo stesso capo della Casa Bianca.