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I giganti del web dimostrino ora che credono nella privacy
Nelle settimane scorse, il braccio di ferro tra FBI ed Apple per la vicenda dell' iPhone dell'attentatore della strage di San Bernardino ha riempito le pagine dei giornali, dividendo l'opinione pubblica tra quelli pro e quelli contro il colosso di Cupertino, che a seguito dello sblocco del telefonino del terrorista da parte dei federali ha dichiarato: "Questo caso non avrebbe mai dovuto essere aperto. Crediamo profondamente che le persone negli Usa e in tutto il mondo abbiano il diritto alla protezione di dati, sicurezza e privacy."
Non possiamo sapere quanto tale affermazione rappresentasse la ferma posizione dell'azienda nel tutelare la sfera privata dei propri clienti, o se fosse il frutto di una sopraffina strategia di marketing, fatto sta che da oggi Apple e tutti gli altri colossi del web americani hanno l'opportunità di dimostrare veramente che per loro la privacy è un valore da difendere.
Ieri, è stato infatti approvato a Strasburgo il nuovo Regolamento Europeo sulla protezione dei dati, che ha l'obiettivo di dare una svolta radicale per creare il clima di fiducia di cui gli utenti hanno bisogno affinché il mercato digitale decolli nell'area UE.
“Con così tanti interessi in gioco, è impossibile fare tutti felici”, aveva avvertito il deputato tedesco Jan Albrecht, parlamentare che ha condotto i lavori della legislazione del Regolamento sulla Privacy, e infatti, per garantire il rispetto delle più severe regole, l'UE ha voluto mostrare i muscoli, introducendo multe che potranno arrivare fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo dei trasgressori, cifre che non possono essere ignorate neanche da giganti come Apple, che con i suoi 234 miliardi di fatturato, rischierà potenzialmente sanzioni fino a 9,36 miliardi di dollari.
L'Europa diventa quindi un territorio scivoloso per le multinazionali americane, dato che il nuovo testo di legge sarà applicabile anche ai trattamenti di dati personali non svolti all'interno del territorio dell'Unione Europea, se relativi all'offerta di beni o servizi a cittadini residenti nella UE: in parole povere, se fino ad oggi un utente europeo che acquistava online da un sito web con sede negli USA doveva soggiacere alla legge americana, con il nuovo Regolamento le aziende americane ed altri soggetti stranieri che si propongono nell'area UE dovranno essi adeguarsi alla nostra normativa comunitaria per non essere sanzionati pesantemente.
Che gli americani minaccino ora di ritirarsi dal nostro mercato digitale sbattendo la porta in faccia all'Europa è uno scenario altamente improbabile, dato che secondo le stime della Commissione UE un mercato unico digitale pienamente funzionante potrebbe apportare fino a 415 miliardi di euro all'anno all'economia dell'UE, e difficilmente gli USA rinuncerebbero a un boccone così ghiotto.
D'altra parte, se per adeguarsi alla privacy europea ci saranno 2 anni prima che le nuove disposizioni siano direttamente applicabili, il tempo a disposizione è in realtà limitato, perché la lista della spesa con le nuove regole appena emanate è lunga e richiederà sforzi e risorse non indifferenti riguardanti diritto all'oblio, consenso chiaro ed informato al trattamento dei dati personali, diritto di trasferire i dati ad un altro fornitore di servizi, diritto di essere informati quando i propri dati sono stati violati, ed anche l'obbligo per le imprese di utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile all'utente nelle informative sulla privacy.
Se dall'altra parte dell'oceano non si festeggia, in Italia c'è invece il pericolo dell'autocommiserazione che spesso ci caratterizza, cioè quello di recepire in modo distorto l'opportunità che le nostre imprese hanno di giocare finalmente ad armi pari con le aziende straniere sul mercato digitale, scambiando il nuovo Regolamento per l'ennesima burocrazia introdotta da Bruxelles per complicarci la vita, che porterà solo scocciature e costi superflui per le aziende, dimenticando che se magnati del web come Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, figurano nella classifica di Forbes trai più ricchi del mondo ci sarà pure qualche motivo.
Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy - @Nicola_Bernardi