Lavoro
Lavoro, il win win che introduce il Jobs Act
di Patrizia Grieco
(presidente dell'Enel)
I dati diffusi recentemente sui livelli di disoccupazione (1) nel nostro Paese, in calo per il terzo mese consecutivo, inducono a una riflessione sulla riforma voluta dal governo per cambiare il mondo del lavoro. Un dibattito che si è incentrato sull’efficacia della riforma, generando a sua volta polemiche su quanti dei nuovi posti di lavoro stabili fossero effettivamente nuove assunzioni o semplicemente trasformazioni di contratti esistenti. Una polemica a mio avviso piuttosto sterile, in primis poiché gli effetti in termini occupazionali dovranno essere valutati nel lungo periodo (e peraltro collegati alla ripresa in termini di Pil) e soprattutto perché ci fa perdere di vista quelli che possiamo definire gli aspetti sociali veramente innovativi della riforma, partendo in primo luogo da quello che definirei l’approccio “inclusivo” dell’impianto normativo, ovvero l’intenzione del legislatore di includere nel mondo del lavoro chi finora ne è rimasto escluso, attenuando quelle rigidità esistenti nella normativa pregressa. Ad esempio, grazie al contratto a tutele crescenti - e anche grazie agli sgravi contributivi - oggi è più conveniente assumere a tempo indeterminato che con un contratto a progetto.
Per un’azienda la stabilità è dunque divenuta più conveniente della flessibilità e questo - qualunque polemica si voglia fare - rappresenta un vantaggio sia per il lavoratore neo assunto che per quello che vede trasformare il proprio contratto; chi finora è rimasto escluso da tutele che sono alla base del welfare pubblico acquisisce finalmente migliori condizioni dal punto di vista previdenziale ed emerge anche in termini sociali più ampi. Chi invece è escluso dal mondo del lavoro, grazie alla flessibilità in uscita che la riforma introduce nel sistema, avrà più opportunità perché le aziende saranno più propense ad assumere. Nel nostro paese per anni, anzi decenni, un sistema bloccato ha alimentato un mercato formato da lavoratori apparentemente molto tutelati e da altri totalmente privi di diritti.
Dico apparentemente tutelati perché queste tutele non hanno impedito il raggiungimento di un tasso di disoccupazione del 12.5%, con effetti particolarmente pesanti per le fasce più giovani della popolazione; ricordiamo che il tasso di disoccupazione giovanile aveva raggiunto lo scorso giugno il livello massimo del 44,2% . Gli ultimi dati Istat registrano un calo al 40,5%; un livello ancora elevato ma perlomeno registriamo un inversione di tendenza. Se è vero dunque che abbiamo ritardato un processo di ammodernamento fondamentale per competere in mercati che ogni giorno diventano più veloci e globali, è ancor più vero che lo abbiamo fatto a danno delle nuove generazioni. Il Jobs Act sta scardinando quel sistema, cambiando il lavoro in maniera profonda, con conseguenze sui contratti, sul precariato, sulla cassa integrazione, sulla conciliazione e sul ricollocamento; un cambiamento che ha alla base l’approccio della così detta flexsecurity che mira ad unire la richieste delle imprese di essere più veloci, efficaci ed efficienti, con il concetto di tutela del lavoratore.
Si tratta di far partire un circolo virtuoso; se da una parte si stabilisce un sistema di regole che concede una maggiore flessibilità ai datori di lavoro, dall'altra si creano i presupposti per supportare i lavoratori attraverso una serie di politiche attive e di strumenti di protezione che siano in grado di favorire il processo di reinserimento nel mercato del lavoro. Si passa quindi da una tutela incentrata sul posto di lavoro ad una focalizzata sul lavoratore. Ed ecco dunque l’ampliamento del sussidio di disoccupazione anche a chi ha un contratto a progetto, la riforma dei centri per l’impiego e la creazione di un’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro volta a favorire l’incontro tra la domanda e offerta di lavoro, nonché la riforma della cassa integrazione che torna finalmente alla sua funzione originaria, ovvero quella di garantire continuità per un azienda in un momento di crisi. Un sistema che peraltro non può prescindere dalla formazione, come previsto ad esempio dal nuovo modello di apprendistato duale che viene semplificato e incentivato per le aziende, avvicinando il mondo dell’istruzione a quello del lavoro. Un modello peraltro già applicato nella maggior parte dei paesi europei.
Per troppi anni il nostro paese è stato ancorato a logiche di mantenimento dello status quo, arroccato in una posizione gattopardiana: il dibattito si è cristallizzato su posizioni polarizzate di chi da un lato, centrato sulla dimensione economica, spingeva per un mercato del lavoro caratterizzato da una maggiore flessibilità, e dall’altra di chi, prestando maggiore attenzione alla dimensione sociale, si concentrava sulle garanzia di tutele e diritti. Un dibattito dunque che metteva in contrapposizione le dimensioni sociale ed economica del lavoro che invece, per loro natura, non dovrebbero essere dissociabili. Al Jobs Act dobbiamo riconoscere il merito di aver cambiato approccio mettendo nuovamente insieme le due dimensioni del lavoro perché è solo così che si potranno ottenere nuova coesione sociale, rilancio dell’economia e al contempo avviare l’ammodernamento dell’intero paese.
1 La stima dei disoccupati a settembre diminuisce dell'1,1% (-35 mila), fonte ISTAT. Il tasso di disoccupazione, pari all'11,8%, cala di 0,1 punti percentuali, proseguendo il calo di luglio (-0,5 punti) e agosto (-0,1 punti). Nei dodici mesi la disoccupazione diminuisce dell'8,1% (-264 mila persone in cerca di lavoro) e il tasso di disoccupazione di 1,0 punti. Tra l’altro, a settembre risulta in discesa anche la disoccupazione giovanile, che si attesta al 40,5%. Si tratta di cifre che segnano finalmente un’inversione di tendenza, le migliori degli ultimi due anni, che giungono dopo un semestre di entrata in vigore del Jobs Act.