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L'arco dell'impero, una lettura del caos mondiale

di Ivan Brentari

In questo nuovo libro, il soldato intellettuale Qiao Liang studia la finanza e i flussi monetari, mettendoli a confronto con lo scoppio delle guerre più recenti

Nel libro "L'arco dell'impero" un generale dell’esercito cinese cerca i legami fra dinamiche finanziarie e guerra

Qiao Liang è un soldato-intellettuale: ha il grado di maggior generale dell’Aeronautica cinese, ma si occupa da sempre di modelli teorici e strategici, più che di operazioni sul campo. Nel 1999 la sua opera più nota, Guerra senza limiti, scritta con Wang Xiangsui, rivoluzionò il concetto stesso di guerra ed ebbe fortuna anche in Occidente, venendo paragonata all’Arte della guerra, il capolavoro di Sun Tzu. L’arco dell’impero (LEG Edizioni, 2021) giunge a più di vent’anni di distanza, con un’approfondita introduzione del generale Fabio Mini. Qiao studia la finanza e i flussi monetari, mettendoli a confronto con lo scoppio delle guerre più recenti.

arco dell'impero
 

Il punto di rottura della modernità è il 1971. In quell’anno gli Stati Uniti dichiarano la fine della convertibilità aurea del dollaro. La valuta americana cessa di essere ancorata a un valore stabile come quello dell’oro e diventa, per così dire, una moneta reputazionale: il dollaro è forte e affidabile perché gli USA hanno un esercito poderoso e si presume che nessuno metterà in discussione il loro primato. Anche il petrolio comincia ad essere pagato da tutti esclusivamente in dollari, cosicché ogni paese deve procurarsi cospicue riserve di moneta a stelle e strisce.

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Da quel momento, quando ne hanno bisogno, gli americani stampano banconote con le quali comprano beni e ricchezze di altri paesi. Beni e servizi in cambio di pezzetti di carta verde, dice Qiao. Per il militare cinese, il 1971 segna l’inizio di una nuova civiltà: la Civiltà Finanziaria.

Gli USA tralasciano l’economia reale per buttarsi su quella finanziaria. La loro vera merce d’esportazione diventa il dollaro stesso. Aprono i rubinetti della valuta e irrorano gli altri mercati mondiali di dollari, generando benessere diffuso. Dopodiché, a intervalli più o meno regolari, chiudono il rubinetto e rastrellano dai mercati esteri tutti i dollari in libera uscita. Come? Alzando i propri tassi d’interesse, di modo che le prospettive di guadagno richiamino all’ovile di Wall Street i capitali in uscita. La fuga del denaro ovviamente abbatte le economie degli altri paesi, e i grandi fondi avvoltoi americani calano sulle realtà in crisi per acquisire aziende e asset strategici con quattro spiccioli. Almeno fino alla prossima apertura del rubinetto, quando il gioco ricomincia.

A volte, nota Qiao Liang, l’attrattività del mercato americano non è sufficiente per recuperare i dollari, occorre una spinta. Quale? La guerra. Gli USA destabilizzano un’area per renderla più caotica e meno attrattiva per gli investitori, che quindi scappano e vengono accolti nel porto sicuro di Wall Street.

È alla luce di questa dinamica che, per Qiao, bisogna rileggere molte guerre recenti. Le due guerre in Iraq, ad esempio. Nella vulgata è passato il concetto che siano state combattute per il petrolio. No, dice Qiao, gli USA sono fra i primi produttori mondiali di petrolio e non ne hanno certo bisogno. Le guerre irachene sono state combattute per il dollaro. Destabilizzando un’area in cui si estrae petrolio si provoca automaticamente un rialzo del prezzo del greggio. Che, appunto, viene venduto in dollari.

Discorso simile per la guerra in Jugoslavia, a fine anni Novanta. Quello americano non era un attacco a Milošević, era un attacco all’euro, che si stava preparando a debuttare. Aprendo un conflitto nel cortile di casa dell’Europa gli americani colpivano, ancor prima della nascita, una moneta potenzialmente molto concorrenziale nei confronti del dollaro. Sotto la patina dell’Alleanza Atlantica, oggi è l’Europa, con la sua industria ad alta tecnologia e la sua moneta, la vera concorrente degli Stati Uniti, sottolinea Qiao. Una teoria poco in voga in Occidente, che tuttavia offre uno sguardo diverso anche sulla recente guerra in Ucraina.

Qiao Liang è un pensatore originale, per certi versi eretico, anche nelle critiche, che non mancano, alla Cina e ai limiti della sua visione strategica. L’arco dell’impero raccoglie scritti risalenti a circa dieci anni fa, e l’edizione italiana è di novembre 2021, tre mesi prima della nuova fase della guerra in Ucraina. Tuttavia potrebbe essere scritto oggi, e forse anche domani. In ogni caso resta un’occasione unica per capire come viene visto il nostro mondo dall’estremo oriente.